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21 feb 2022

[Recensione] L'Impero dei Cadaveri - La trilogia di Project Itoh, pt. 1

Il romanziere giapponese Satoshi Itō, famoso col bizzarro nome d'arte di Project Itoh, è quel tipo di scrittore la cui stessa vita sembra fatta apposta per essere rappresentata su un palcoscenico. La sua carriera letteraria, stroncata nel 2009 da un tumore combattuto a lungo, era iniziata davvero solo nel 2006, quando era già malato, ma la manciata di romanzi fantascientifici di cui è stato autore (insieme a essay, recensioni e storie brevi) gli sono bastati ad assurgere ad uno dei nomi più amati del panorama contemporaneo nipponico. Amico di lunga data del game designer il Maestro Hideo Kojima, fra le sue opere si annovera anche la novellizzazione di Metal Gear Solid 4.

All'inizio degli anni '10, il blocco di programmazione noitaminA promosse la realizzazione di una trilogia di film anime basati sui suoi romanzi principali. Più che una trilogia, un trittico, in quanto le tre opere sono del tutto slegate fra loro ma, messe fianco a fianco col beneficio del senno di poi, costituiscono un interessante quadro complessivo nel quale un gioco di rimandi e analogie fa emergere una serie di fili tematici totalmente diversi nell'esecuzione ma sorprendentemente simili nelle riflessioni che sembrano voler indurre, e che quindi riescono a tracciare un tutt'uno sorprendentemente completo della poetica del defunto scrittore.

(屍者の帝国 Shisha no teikoku, 2015)

Il primo di questi film, che mi piace immaginare sul lato destro del trittico, L'Impero dei Cadaveri appunto, è ironicamente tratto dal suo ultimo romanzo, completato e pubblicato postumo. Si nota, in effetti, l'esame di un tema probabilmente molto "vicino" a una persona che sa essere ormai prossima alla morte, accompagnato da una profonda malinconia sottostante. La cosa che per prima salta all'occhio di questa storia gotica-cyberpunk, però, è come la stragrande maggioranza dei suoi elementi sia in realtà presa di peso dalla letteratura e dalla storia ottocentesca: in un passato alternativo in cui gli studi del dottor Victor Frankenstein (sì, quel Frankenstein) hanno permesso la diffusione su scala globale di una tecnologia in grado di rianimare i cadaveri, sostituendo i "ventuno grammi dell'anima" con un elemento artificiale, il benessere del mondo occidentale è ormai interamente basato sul lavoro di questi "zombie", che non possiedono ragione, linguaggio o alcun ricordo della loro vita ma si prestano perfettamente ad essere usati come lavoratori e soldati. A Londra, lo studente di medicina John Watson (sì, lui) sta conducendo ricerche illegali per replicare il successo di "The One", la creatura di Frankenstein, l'unico cadavere rianimato ad avere un'anima, allo scopo di resuscitare Friday, il suo """"""""""""""""amico""""""""""""""" ricercatore recentemente scomparso. Le sue ricerche attirano l'attenzione dei servizi segreti inglesi e del loro capo, il misterioso "M" (la cui segretaria sta in un ufficio identico a quello di Moneypenny e si chiama Moneypenny stando ai titoli di coda, e voglio sia messo a verbale che guardando il film ho colto la citazione ben prima che la esplicitassero), che lo recluta per mandarlo in Afghanistan a recuperare quella che è al tempo stesso la chiave per le sue ricerche e un oggetto dal valore geopolitico infinito: gli appunti originali di Frankenstein, recentemente rubati dallo scienziato russo Karamazov

Con l'aiuto della guardia del corpo Burnaby, da qui parte un roller coaster di azione, avventura, discorsi filosofici e un po' di gore che porta Watson, Burnaby, Friday e la bella Hadaly Lilith (un ginoide inventato da Thomas Edison che poi si farà chiamare Irene Adler, per qualche motivo) in giro per il mondo per sventare due opposte cospirazioni.

OK, giusto per completare il quadro e perché non riesco più a prendere la cosa sul serio, interrompo la sinossi per elencare l'insieme di altri nomi noti che per ragioni a me totalmente incomprensibili cicciano fuori per tutta la durata del film: l'ex presidente americano Ulysses Grant, il generale giapponese Seigo Yamazawa, la compagnia chimica Osato, la macchina analitica di Babbage, Sherlock Holmes, e letteralmente il Nautilus. Sarò perfettamente sincero, non riesco proprio a capire il senso di questo potpourri di figure storiche e letterarie della letteratura inglese ottocentesca, perché non mi sembra aggiungere nulla tematicamente né contestualmente e anzi l'ho trovato un'inutile distrazione (e un inutile ricordo dell'esistenza di League of Extraordinary Gentlemen). Forse perché il richiamo iniziale a Frankenstein ha richiesto di rendere anche altre figure letterarie "reali" in quell'universo? Non lo so. Però boh, va bene così immagino.

Dicevo, il roller coaster. Un roller coaster che funziona bene momento-per-momento, anche grazie ad un'animazione di altissimo livello da parte del Wit Studio e un cast di doppiatori eccellente sia in giapponese (Kana Hanazawa, Daiki Yamashita, un cameo di Akio Ootsuka) che in italiano (Pietro Biondi, Gianfranco Miranda). Palleggia con maestria scene d'azione avvincenti, momenti di inquietudine gotica, la suspanse per il disvelarsi progressivo dell'intreccio, e anche l'aspetto emotivo-sentimentale su Watson, Friday e Hadaly: alcune scene di Friday, in particolare, sono semplicemente strazianti, e se lo spettatore le collega anche all'idea che sono state scritte da un uomo conscio di essere prossimo alla fine dalla propria vita assumono un peso ancora maggiore. Ah, l'ho già detto che il legame omosessuale fra Watson e Friday è letteralmente a una parola dall'essere esplicito?

Ma pecca di una certa incoerenza tematica e di più di un salto logico che mette a repentaglio la sospensione d'incredulità. Soprattutto dal momento in cui l'aspetto fantascientifico\cyberpunk (con un vago elemento di misticismo) viene totalmente abbandonato, in favore di elementi di pura magia senza spiegazioni, in una serie di sequenze e di elementi visivi che sembrano presi di peso da Guilty Crown (un anime che al solo nominarlo mi triggera reazioni istintive di fastidio e odio). Chissà, forse questo dipende dal fatto che il romanzo sia stato completato da Enjō dopo la morte di Itoh, che potrebbe non aver colto appieno le intenzioni dell'autore originale. Oppure, a me piace pensare che, almeno dal punto di vista estetico, un po' di colpa ce l'abbia il coinvolgimento dei Supercell (in questo come negli altri due film), con redjuice al character design e i cazzo di Egoist alla canzone finale

(Ah, i Supercell! I miei vecchi arcinemici! Dio benedica la fine del loro dominio di terrore sul mondo degli anime pretenziosi!)

Voglio essere del tutto sincero su questo film. Non ho capito alcuni sviluppi di trama. Non ho capito in che modo dovrebbero funzionare i piani dei villain. Non ho capito che diamine cercassero di fare i fratelli Karamazov. Non ho capito perché a un certo punto siano usciti i cristalli di Guilty Crown da tutte le parti. Non ho apprezzato la piccolezza quasi meschina delle motivazioni di alcuni personaggi. Tuttavia, mi sembra di cogliere, nell'abuso della tecnologia dei cadaveri come base dell'economia globale, un riferimento al colonialismo e/o a quelle dinamiche di sfruttamento che, oltre a costituire il prezzo del benessere del mondo moderno, ne sono anche il principale punto di fragilità; ma il tema sembra buttato lì, superificiale, e sospetto di essere solo io a vedercelo.

Propone anche, attreverso lotta fra le due opposte cospirazioni, un'alternativa fra due possibili visioni estreme di mondi futuri, fra due possibili vie d'uscita dalla matassa di quel mondo solo superficialmente diverso dal nostro (che mi hanno ricordato un po' l'alternativa fra due dei finali di Deus Ex: Invisible War, per qualche motivo), ma anche quel tema sembra comparire dal nulla e poi nel nulla cadere. Come se Enjō avesse infilato a forza qualche trope caro a Itoh prendendolo da altre sue storie.

Insomma, per quanto io non possa assolutamente dire che non mi sia piaciuto, non ho capito dove volesse andare a parare. Né se volesse effettivamente andare a parare da qualche parte.

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