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30 ago 2016

[Recensione] Amnesia: The Dark Descent


Nella vasta ondata di titoli indie-horror per PC usciti negli ultimi anni (in curiosa coincidenza con l'inspiegabile esplosione dei Let's Players su YouTube), The Dark Descent è fra i più noti e apprezzati. Invece di puntare a banali jumpscare o a più complessi "horror esistenziali", Amnesia crea un senso di terrore grazie all'ambiente, al comportamento imprevedibile dei nemici, e all'atmosfera di costante vulnerabilità, e lo fa in maniera intelligente e molto efficace.

La storia è abbastanza tipica: il protagonista, l'inglesissimo Daniel, si risveglia in un castello in Europa dopo aver bevuto una pozione per cancellarsi la memoria, lasciandosi solo un messaggio che gli dà un unico, criptico obbiettivo: deve trovare un uomo, il conte Alexander, e ucciderlo. Esplorando il castello e i suoi vasti sotterranei, troverà non solo messaggi e parti del suo diario (convenientemente sparsi in ordine cronologico) che lo aiuteranno a ricostruire gli eventi che lo hanno portato in quel luogo sperduto nei boschi prussiani e a odiarne così tanto il conte, ma anche i terribili segreti di secoli di magia e alchimia, sorvegliati da presenze terrificanti e incomprensibili che lo inseguono con intenti ben poco amichevoli.

Il nucleo del gioco è molto semplice, e si può descrivere come un efficace misto fra adventure game in prima persona, survival horror e stealth: si dovranno risolvere enigmi (per aprire porte o riavviare macchinari) interagendo con l'ambiente e con gli oggetti circostanti, e allo stesso tempo nascondersi da mostri dai quali è impossibile difendersi se non "mettendo quante più porte, muri, e preferibilmente continenti possibile fra sé e il mutante" (cit. Yahtzee). Ho trovato molto divertente la parte esplorativa ed enigmistica del gioco, perchè gli ambienti sono abbastanza ben curati e la storia è abbastanza intrigante da invogliare la ricerca di flashback e pagine di diario, e perché i puzzle sono abbastanza intuitivi e meccanicamente semplici da non risultare mai troppo esoterici, ma è chiaro che il vero cuore del gioco è nell'horror.


Fin dall'inizio viene creata un'atmosfera in cui si percepisce chiaramente la presenza di qualcosa di pericoloso, e il non sapere nulla del posto dove ci si trova stabilisce immediatamente la tensione del sentirsi costantemente in pericolo anche senza esserlo davvero. In questo senso risulta poi fondamentale la meccanica della sanità mentale: stare al buio, guardare un mostro, o vedere fenomeni terrificanti riduce la sanità mentale di David, che può essere poi recuperata solo progredendo nel gioco, ovvero superando ostacoli o risolvendo enigmi (il che dà un pathos ulteriore al costante sforzo del giocatore di avanzare, anche mentre David sta per impazzire dal terrore); stare alla luce, però, lo rende ovviamente molto più visibile ai mostri, e in ogni caso né l'olio per la lanterna né i fiammiferi per accendere le torce sono infiniti. Si crea quindi questa costante ed efficacissima tensione fra esigenze opposte: il bisogno di stare nascosto e di risparmiare olio da un lato, e il bisogno di sentire la sicurezza della luce dall'altro. Lo spawn e il movimento dei mostri, poi, è casuale in alcune sezioni, quindi è necessario stare sempre all'erta, tendere l'orecchio per qualsiasi rumore sospetto, e farsi una mappa mentale di quali potrebbero essere i posti più sicuri dove nascondersi in caso di brutti incontri. Cosa faccio, attraverso questo corridoio al buio fino a chiuderm in quella stanza illuminata, rischiando di avvicinarmi ancora di più alla pazzia, o accendo la lanterna e mi rendo vulnerabile? Oppure accendo una delle torce lungo il cammino, così non spreco olio? Ma se dovessi improvvisamente fuggire da quei tizi vestiti da schiavi sadomaso, le torce mi impedirebbero di avere la copertura dell'oscurità per un tratto così lungo! È un duello mentale fra la paura istintiva e la razionalità pianificatrice, che si unisce a quello (tipico del genere horror) fra le due nature umane, ovvero la paura dello sconosciuto e la curiosità che desidera svelarlo; mentre da un lato vorremmo chiuderci in una stanza a piangere finché i mostri non vanno via, dall’altro, porco cane, vorremmo guardare, vorremmo scoprire cosa sta succedendo e cosa ci sta inseguendo. Sfuggire ai mostri è stato, nella mia esperienza, abbastanza semplice, data la loro IA molto limitata, ma questo non toglie la potentissima carica d'adrenalina che si sente a stare nascosti in un armadio o dietro una colonna, senza poter né scappare né sbirciare mentre un mostro incomprensibile sfonda la porta della stanza, solo per scoprirlo svanito apparentemente nel nulla quando finalmente i suoi versi cessano e torna il coraggio di guardare.
Oh pissin' blimey, there's jam coming out of the walls! (cit.)

Detto questo, ovviamente non è privo di difetti. L'effetto dell'atmosfera inizia a scemare, alla lunga, anche solo per il fatto che si affida a un repertorio di "scary tricks" abbastanza limitato da dare al giocatore il tempo di abituarsi e prevederli (ho risolto un puzzle, scommettiamo che è spawnato un mostro dietro la porta?); i suoni ambientali inquietanti sono d'effetto all'inizio, quando non si sa mai se ci si trova o meno in pericolo, ma una volta capito come cambia la colonna sonora quando il mostro c'è davvero diventano un po' eccessivi e fastidiosi (e, a questo proposito: in un horror, mettere una musica tesa e intensa quando ci sono mostri e toglierla quando non ci sono più è un modo perfetto per vanificare tutto il lavoro fatto per creare terrore, ed è davvero un brutto errore). L'effetto visivo e sonoro della perdita di sanità è molto fastidioso alla lunga, e le risorse da trovare in giro (olio, fiammiferi, medkit) erano forse troppo abbondanti per non far sparire abbastanza in fretta l'elemento survival. Quest'ultima cosa però potrebbe essere colpa mia, insomma, sono ligure, non ho bisogno dello spauracchio di un mostro che mi divora la faccia per decidere di spegnere la luce quando o se vedde beniscimo anche sensa. Nessun mostro è più spaventoso di una bolletta salata. I dinè no crescian miga in sci erboi! 

A parte queste piccole lamentele, Amnesia: The Dark Descent rimane un titolo horror solidissimo, con una storia semplice ma ben raccontata, un buon doppiaggio, una grafica di buon livello, un level design adeguato, e un gameplay efficace nella sua semplicità. Funzionano bene gli enigmi, funziona bene l'horror, funziona bene lo stealth. Non è perfetto, ma dimostra di capire come si fa un horror teso e esasperante molto meglio di titoli come Dead Space. La modding community, poi, è molto attiva, e il videogioco stesso dà la possibilità di installare e giocare facilmente le "custom stories", aumentando di molto la longevità del titolo.

16 ago 2016

[Recensione] Kobane Calling


Devo ammettere di non essere particolarmente un seguace di Zerocalcare. Non perché non mi piaccia, anzi, ho sempre apprezzato le strisce che ho letto sul suo blog, il suo impegno politico-sociale (per il quale è stato anche indegnamente linciato dalla solita manica di analfabeti che popola l'Internet), e la devastante precisione con cui descrive i modi cogitandi di molta parte della nostra generazione. Semplicemente, non mi è mai capitato di leggerne le opere principali, e sono stato restio a cominciare per via del mio… ehm… problema con il dialetto romano. Oh, ragazzi, so che non dovrei, so che è brutto da parte mia, me ne rendo conto, giuro, ma non ce la faccio, la parlata romanesca mi farebbe suonare irritanti anche Papa Francesco e Emanuela Pacotto. Diciamo che sono un attivista contro il maltrattamento delle occlusive sorde intervocaliche, dishamo, sgusade, shè, aj gabido? Quest'opera mi ha attirato perché è qualcosa di completamente diverso rispetto all'immagine che mi ero fatto di Zerocalcare: giornalismo di guerra a fumetti? Racconto della realtà direttamente vissuta sul fronte curdo, fra l'utopia socialista ed egalitaria dei guerriglieri, le ambiguità autoritarie del governo turco, e la guerra con l'ISIS? Di un fumettista italiano noto per disegnare la sua coscienza come un armadillo e sua madre come una gallina? Il tutto con un titolo che richiama uno dei migliori album dei The Clash? Dovevo averlo.

Ed è stato uno dei migliori acquisti che abbia fatto quest'anno. Kobane Calling è un simil-reportage dei due viaggi fatti da Zerocalcare nel Rojava, il territorio fra Turchia, Siria e Iraq controllato dai guerriglieri curdi, il primo nei mesi dell'assedio di Kobane e il secondo in quelli immediatamente successivi la sua eroica riconquista da parte di un gruppo di donne e uomini comuni che si sono rifiutati di lasciarla alle mani dell'ISIS. Loro, musulmani, isolati dal mondo, senza aiuti, considerati terroristi dal governo turco, con alle spalle decenni di persecuzioni, sono stati il simbolo della resistenza all'avanzata di un nemico che, all'epoca, sembrava incomprensibile e inarrestabile, e sono tutt'ora il simbolo di un'utopia di convivenza difficile, ma che in mano loro sembra dannatamente possibile; non perché abbiano creato un paradiso terrestre a cui tutti dovremmo ispirarci, ma perché hanno «un metodo, una tensione a migliorare, che poi ognuno dovrebbe declinare dentro sé stesso e nel suo contesto» (per citare l'opera stessa). E li racconta con quel misto, tipico del suo stile, di umorismo e serietà, satira ed emozione, riuscendo tanto spesso a far ridere come a scioccare, a sorprendere, raccontando aspetti della questione ISIS e della questione turco-curda che a noi per qualche motivo non arrivano attraverso quello che dovrebbe essere il giornalismo. Lo fa credendoci, e talvolta lasciandosi andare a confronti con l'Italia o ad appelli ideologici ed emotivi, ma con onestà intellettuale, mettendo sempre in chiaro che si tratta solo della sua, personale esperienza, e di quello che a lui è stato riferito.

Zerocalcare racconta gli eventi dei due viaggi ponendo il mondo con cui viene a contatto
in continuo contrasto con quello della sua quotidianità, di Rebibbia, dell'Italia, in un confronto non sempre serio ma non sempre lusinghiero. La piccola sfera del campanilismo di quartiere confrontata a quella delle difficoltà di un territorio in guerra; la civilizzata ipocrisia di una nazione ricca e stabile, fra notiziari viscidi e politicanti bavosi, con l'utopico idealismo di una nazione che cerca di nascere fra fra vita militare e aspirazioni pacifiche. L'autore si lascia spesso andare a riflessioni di natura politico-idealistica, o a più semplici momenti di contemplazione in cui si rende conto che, cazzo, tutto quello che ha sentito al telegiornale fino adesso è ora proprio lì, davanti ai suoi occhi, ed è così diverso da come l'aveva capito. A mio avviso i momenti più forti di quest'opera sono proprio quelli di più crudo verismo, quelli in cui un fumettista che si vanta di far fatica a pensare il mondo oltre il suo quartiere si dimostra un giornalista migliore di certi emuli di Oriana Fallaci. Quando dà interamente la parola a un esponente del PKK che racconta le persecuzioni subite dal governo turco; quando una ragazza racconta come, se tornasse in Turchia, sarebbe condannata a ventidue anni di galera per aver una volta, a sedici anni, partecipato a una manifestazione ambientalista; quando un guerrigliero curdo avverte di fare attenzione alle macerie, perché l'ISIS in fuga mette mine ovunque, e poi racconta come i soldati del califfato catturati neanche sapessero contro chi stavano combattendo; le difficoltà incontrate dal gruppo di italiani alla dogana turca o al confine fra Iraq e Rojava. Piccoli fattoidi che aiutano a farsi un'idea di quale sia la situazione nella polveriera mediorientale, al di là di quello che giunge a noi attraverso i resoconti e le generalizzazioni che ci fanno percepire quella zona come un tutt'uno indistinto e sabbioso.

In definitiva, si tratta indubbiamente di un'opera coraggiosa e matura la cui lettura consiglio indistintamente a chiunque. Il magistrale equilibrio fra momenti seri e momenti comici, pur nella serissima attualità dei temi trattati, rende Kobane Calling non solo un brillante esempio di come il fumetto sappia assumere con efficacia molti "ruoli" diversi, ma anche un'opera letterariamente interessantissima di uno scrittore tutt'altro che da sottovalutare.