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28 feb 2020

[Recensione] Saya no uta - Song of Saya

沙耶の唄, 2003
Saya no uta è un perfetto esempio di quei miscugli inumani di generi che possono uscire dal Giappone, e che solo una visual novel giapponese poteva sperare di far funzionare così bene. Potremmo definirla una storia di horror lovecraftiano con forti elementi thriller, romantici ed erotici.

Una qualità che non dovrebbe sorprenderci, considerando che è frutto del genio malato di Gen "Urobutcher" Urobuchi, che sarebbe diventato autore di Psycho Pass, Fate/Zero e Puella Magi Madoka Magica!

A seguito di un terribile incidente stradale, Sakisaka Fuminori, uno studente di medicina, ha perso i genitori ed ha dovuto subire una procedura neurochirurgica sperimentale per salvarsi da un coma altrimenti irreversibile. Al suo risveglio, però, il mondo è cambiato: ogni cosa sembra ricoperta di uno strato di carne e viscere; le persone intorno a lui, compresi i suoi amici di sempre, hanno l'aspetto di mostri indefinibili, viscosi e purulenti, coperti di occhi e tentacoli, la cui stessa voce è una tale distorsione blasfema dei suoni umani da urtargli le orecchie; persino al tatto e all'olfatto il mondo che conosceva si è trasformato in un inferno nauseabondo che minaccia ogni giorno di farlo impazzire. Lui sa, è abbastanza razionale e istruito da rendersene conto, che la sua è solo una distorsione cognitiva causata dall'incidente, mentre la realtà non è cambiata affatto, ma n quelle condizioni ogni parvenza di vita normale gli è preclusa. Mentre contempla il suicidio, però, una notte, nella sua camera d'ospedale compare una ragazzina, Saya, l'unica ad apparirgli perfettamente normale e anzi incredibilmente bella e angelica. Divenuti l'un l'altra l'unico rifugio di affetto e serenità in un mondo di estraniante solitudine, i due iniziano presto a vivere insieme. Ma...


Ma è molto difficile a questo punto provare a descrivere cosa sia Saya no Uta senza commettere reato di spoiler e quindi rovinare l'effetto delle sue scene migliori. Certo posso dire questo: erano anni che un videogioco o un libro (nelle visual novel il confine fra i due reami è molto labile) non mi facevano provare un'esperienza di Orrore di questa intensità.

Perché la visual novel, evitando di commettere l'errore che troppi horror hanno commesso negli anni, ovvero quello di mostrare la natura e la forma di ciò di cui dovremmo aver paura, valorizza a fondo il carattere lovecraftiano del setting (creature talmente abominevoli che la mente semplicemente non riesce a comprenderle, e la cui visione è sufficiente a mandare in frantumi la razionalità umana), abilmente evidenziato anche da molti degli ottimi dialoghi, e lascia che l'orrore si formi da solo nella testa del lettore/giocatore molto prima di divenire esplicito. Anche i disegni spesso si soffermano su dettagli parziali, lasciando tutto il resto in ombra.




Inoltre, Saya no Uta è anche un eroge, quindi ci sono scene... esplicite. Come se non bastassero abomini purulenti e e il gore e il cannibalismo, vogliamo farci mancare efebofilia, stupro e tortura? Ma non sia mai, Urobuchi, non sia mai!

Battute a parte, le scene di sesso sono abbastanza poche e danno l'impressione di essere messe lì a caso, giusto perché la Nitroplus si sentiva in dovere di onorare il proprio brand; spesso mi sono sembrate forzate e non necessarie, e non certo perché erano troppo "fucked up" per essere erotiche (insomma... il mio limite è un po' più in là). Allo stesso tempo, però, ho trovato che la maggior parte di esse non stonassero nel complesso, dato il contesto di degenerazione mentale mista a dolce intimità in cui si svolge la storia. Certo la loro assenza dalla versione censurata del gioco presente su Steam non ne inficia il godimento, anzi, potrebbe sicuramente migliorarlo per le persone... più sensibili. O meglio, meno malate. (Per noialtri, invece, c'è JAST USA.)

Perché oltre agli elementi pruriginosi, al suo cuore Saya no Uta è altro. La narrazione si incentra di volta in volta su personaggi diversi, facendoci vedere il mondo dalla loro prospettiva, e ho trovato interessante notare come il genere della storia sembrasse mutare ad ogni cambio: per Koji era un thriller, per Yō e Omi era un horror splatter, ma per Saya e Fuminori è, indiscutibilmente, una storia d'amore. Di amore vero, sincero, tenero, fra due persone che hanno solo l'un l'altra in un mondo che li rifiuta ed emarginalizza senza che né gli uni né gli altri ne abbiano alcuna colpa, e che sono disposti a tutto per aiutarsi e per raggiungere la propria felicità.


Ecco, questo, forse, è il più grande risultato di Song of Saya: più dell'efficacia dell'atmosfera e della colonna sonora, più della paura e dell'orrore, più della qualità dei dialoghi e dei disegni, più del suo tono lovecraftiano, è il cambio radicale, quasi ontologico di prospettiva a cui obbliga il lettore senza nemmeno che se ne renda conto. In una storia in cui protagonisti, villain, e anti-eroi che si aggrappano disperatamente all'ultimo filo di lucidità rimasto sono mescolati in un continuo gioco delle tre carte, Saya no Uta riesce a dipingere l'abominevole e, con un gioco di mano, a renderlo... bello. Romantico. Malinconicamente dolce.

22 feb 2020

[Recensione] Il Seggio Vacante

The Casual Vacancy, 2012

Il Seggio Vacante, primo libro di J.K. Rowling destinato esclusivamente a un pubblico adulto, abbandona totalmente l'universo Harry Potter per lanciarsi nel campo minato della quotidianità, della psicologia e della politica, e ne esce decisamente a testa alta, dimostrando una sensibilità e una qualità narrativa da me del tutto inaspettate.

La vita del tranquillo paesino di Pagford, nella campagna inglese, è sconvolta dalla morte improvvisa di Barry Fairbrother, stimato insegnante e personalità molto attiva nella comunità locale. La sua scomparsa, e ancora più il seggio che lascia vuoto nel consiglio comunale, saranno il catalizzatore che farà emergere prepotentemente i conflitti e le ipocrisie che ribollivano appena sotto la superficie apparentemente idilliaca di Pagford.
«Kay ci rimase malissimo, non avrebbe dovuto fare nomi; a Londra non era una precauzione importante, ma a Pagford evidentemente si conoscevano proprio tutti.»
Leggendo Il Seggio Vacante, il mio primo paragone è stato con I Malavoglia: un romanzo corale di una piccola comunità di pettegoli il cui fragile equilibrio è spezzato da un singolo evento casuale, e in cui le vite dei personaggi si intrecciano e si influenzano a vicenda in una complessità tanto (spesso) indistricabile quanto perfettamente realistica.

Lo stile narrativo è ovviamente ben diverso: la Rowling, per quanto efficace nel suo continuo cambiare il focus del suo sguardo indagatore mantenendo una voce neutrale e priva di giudizi, non ha il piglio verista di Verga, anzi sparse qua e là nel romanzo sono diffuse una miriade di immagini e analogie, poetiche tanto quelle più raffinate quanto quelle più crude e caustiche; ma qualcosa nella carrellata di presentazioni che si susseguono nella prima parte del libro mi ha riportato la mente ad Aci Trezza.

«Krystal era passata lentamente da una classe all'altra come una capra che avanza nel corpo di un boa constrictor: visibilissima e disagevole per entrambe le parti.»

A differenza del capolavoro verghiano, però, la tematica è tanto intimamente personale (la psicologia dei personaggi e i loro conflitti, sia interiori che esteriori) quanto apertamente politica: questa, infatti, intesa come piccola politica locale con le sue questioni specifiche e le sue bassezze, è presente con chiarezza nella testa di ognuno dei personaggi, e anzi molti ne sono attivamente coinvolti, laddove in Verga i cambiamenti del Risorgimento erano un qualcosa di indefinito che si agitava sullo sfondo e di cui si sentivano solo gli effetti remoti, le onde d'urto.

Che dire, quindi, di questo cast corale? Detta nel modo più semplice e brutale, è una carrellata variopinta di persone di merda. A parte Barry Fairbrother, la cui assenza aleggia su tutte le vicende del romanzo e che pur coi suoi difetti sembra veramente l'unica persona decente in paese, per motivi diversi e in modi diversi sono tutte persone di merda; quella merda banale, quotidiana, tutto sommato perdonabile nella maggior parte dei casi, che ciascuno di noi sicuramente conosce e riconosce bene, ma che viene accuratamente nascosta sotto un velo più o meno sottile di ipocrisia, finzione e opportunismo, o al contrario esposta con ricercata e ribelle ostentazione.

Ognuno dei personaggi è ben delineato, caratterizzato in maniera complessa e tridimensionale, e l'autrice dimostra una maestria non indifferente sia nel farli emergere con chiarezza dalle pagine sia nel dar loro un arco o quantomeno una backstory.  

Quasi nessuno, infatti, è presentato come del tutto "negativo" o irredimibile. Da Sukhvinder, fondamentalmente una vittima; a Colin "Cubicle" Wall, una persona ansiosa, severa, con un brutto segreto, ma profondamente buono, che si rende conto di essere malato e si impegna con tutte le sue forze per non fare del male al prossimo; a Krystal Weedon, una ragazza problematica e violenta ma, come Barry ha saputo dimostrare, capace di migliorare perché, in fondo, col cuore al posto giusto, sebbene piagato da condizioni difficilissime su cui non ha alcuna colpa; persino a Simon Price, quasi l'archetipo dell'orco domestico che viene inspiegabilmente sempre difeso e giustificato dalla moglie, e a Stuart "Ciccio" Wall, curiosissimo misto fra un patetico bulletto adolescente e un ricercato filosofo nichilista, la Rowling non nega l'emergere di un barlume di luce, una speranza di redenzione. Quasi paradossalmente, la persona ritratta in maniera più impietosa è Shirley, apparentemente una vecchietta innocua, socialmente attiva e affabile, ma in realtà astiosa, egocentrica, vendicativa, assetata di potere, razzista e omofoba; ma nemmeno lei è priva di una storia che, almeno in parte, spiega il suo carattere.
«Lo sbaglio che faceva il novantanove per cento dell'umanità, secondo Ciccio, era quello di vergognarsi di se stessi: mentire su come si è, cercare di essere qualcun altro.»
Dal punto di vista del tema politico-sociale, ammetto nuovamente di essere stato sorpreso. Dalla Rowling, che ormai è diventata un meme per il suo far diventare i suoi personaggi retroattivamente gay, neri o trans o che altro a caso, mi aspettavo un'attenzione esclusiva a temi civili sovrastrutturali, denunce superficiali a esempi quasi caricaturali di razzismo o sessismo; invece, ne Il Seggio Vacante ho trovato un'attenzione molto sensibile a temi sociali quotidiani a 360°, che certo toccano anche il razzismo e l'omofobia ma che, di base, si fondano sul classismo e sul campanilismo.

Pagford, infatti, è da anni presa dal dibattito sui Fields, un quartiere problematico e disagiato costruito a seguito di una speculazione edilizia di un ex-nobile. La zona è "contesa" fra Pagford (che vorrebbe liberarsene e non averne i bambini nella propria scuola) e la vicina cittadina di Yarsil (di cui fa teoricamente parte, ma che vi fornisce ben poco in termini di servizi); inoltre, essa comprende il centro di riabilitazione per tossicodipendenti di Bellchapel (il cui edificio appartiene al comune di Pagford).

Rowling indaga con sottigliezza le varie sfumature che l'argomento acquista nelle teste dei vari personaggi, pur senza mai perdere il focus sulla loro interiorità, e intelligentemente evita di raggiungere una conclusione dogmatica e didattica (qualcuno direbbe "buonista" o "cattivista"), invece presentando tutte le dovute (e realistiche) complessità del caso.

Coincidentalmente: anche qui, come in Joker, la tragedia centrale della storia è messa in moto da tagli al servizio sanitario pubblico. Una curiosa quanto deliziosa analogia che mi sento di evidenziare.

Non riusciva mai a cogliere l'immensa mutevolezza della natura umana, né che dietro ogni faccia, anche la più anonima, si nascondeva un mondo unico e in continuo fermento esattamente come il suo.

Ma più di ogni altra cosa, a essere messo alla berlina è un comprensivo campionario di ipocrisia. Pagford e i suoi abitanti respirano ipocrisia, finzione, dissimulazione. Da questo punto di vista capisco perché Rowling l'abbia definito un romanzo "profondamente inglese". Fra i personaggi si svolge tutto un gioco di frecciatine, di finta cordialità soprattutto con persone che si odia, di passivo-aggressività, di cercare di prevalere socialmente a suon di pettegolezzi saputi (o raccontati) prima degli altri o a suon di attenzioni o compassioni ricevute; un equilibrio di facciata nel quale la ventata di genuinità ingenua di un personaggio come Ciccio (che rappresenta una "sincerità" falsa, ostentata e ipocrita quanto quella dei suoi "nemici ideologici", ma comunque profondamente destabilizzante) e il flusso di verità scomode (quasi dei segreti di Pulcinella) rivelate da "il fantasma di Fairbrother" risultano ancora più dirompenti.

Insomma, davvero un bel romanzo, maturo e ambizioso, che mostra un lato dell'autrice sorprendentemente sofisticato.