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31 gen 2017

[Commenti] The Last of Us (DLC e multiplayer)

Oltre al post precedente, in cui parlo del gioco principale, aggiungo un paio di commenti riguardo i due DLC fondamentali, e riguardo il multiplayer.



Left Behind è eccellente. Seriamente, se non ce lo avete già e non avete l'edizione GOTY, compratelo, perché è una splendida esplorazione della storia e del personaggio di Ellie, che aiuta molto a riempire quello che mi era sembrato un buco importante nella sua caratterizzazione. Poco gioco effettivo, ma tanta esplorazione, tanta atmosfera, tanto sentimento, e un interessantissimo parallelo che viene creato fra la storia di Ellie e Joel, quella di Ellie e Ryley, e quella (esplorata attraverso i soliti collezionabili) di una squadra di soldati rimasta isolata.

Per quanto riguarda la "famosa controversia" di questo DLC… la scena è dolcissima, e per come è stata presentata la relazione fra le due l'ho trovata persino naturale, ma… non riesco a togliermi la pulce nell'orecchio che sia stata una cosa buttata un po' lì giusto per cercare, ad essere buoni, la mossa pubblicitaria, o ad essere cattivi, un po' di "progressive points" per fare bella figura coi Moral Guardian liberali dell'internet, in un momento storico in cui basta tossire senza mettersi la mano davanti alla bocca per essere accusati di essere misogini, razzisti, omofobi, nazisti, apologeti dello stupro, sostenitori di Donald Trump, lettori di Libero, e di annacquare il Barbera d'Asti a tavola. Tutte cose troppo gravi e incivili, soprattutto le ultime due, per essere sbandierate con questa leggerezza, ma sto divagando. Intendiamoci, considero assolutamente credibile che


Ecco, forse questo è uno dei più grandi peccati del movimento SJW: hanno avvelenato così tanto il dibattito su questi temi che è ormai impossibile godere di protagoniste femminili forti, personaggi di colore, elementi LGBT ecc., senza farsi venire il dubbio che l'intenzione degli autori non fosse semplicemente di fare una bella storia, ma di fare "SJW pandering". 
I videogiochi hanno sempre avuto donne forti come protagoniste o co-protagoniste, o personaggi omosessuali o di colore trattati con rispetto, eppure solo oggi si parla di propaganda e si hanno reazioni apertamente avverse quando appaiono. Questi temi non possono più essere trattati solo nel proprio merito, come una caratteristica fra tante di quel singolo specifico personaggio, che possa quindi essere valutato solo per la sua umanità e la sua qualità, ma finiscono sempre, anche inconsciamente o involontariamente, per essere visti in relazione a quest'immatura ondata di veleno che, sotto la scusa di portare avanti battaglie di sinistra, sta reintroducendo categorie, divisioni e schemi di valutazione che nemmeno la destra più reazionaria osava più tirare fuori apertamente. 
Per cui, non si può più valutare il personaggio, l'artista, l'opera, nei suoi pregi e nei suoi difetti, ma bisogna o glorificarlo acriticamente perché "progressivo" o denigrarlo acriticamente perché "propagandistico". Gone Home non viene criticato per la banalità della sua storia o per l'eccessiva linearità, ma perché "ci sono lesbiche quindi è propaganda femminista", così come non viene elogiato per l'efficacia della sua atmosfera o perché la storia è raccontata egregiamente, ma perché "ci sono lesbiche quindi amatelo o siete omofobi". Per cui il valore di personaggi, autori, opere, viene ridotto a ragionamenti di razza, genere, e orientamento sessuale, ovvero filtrato attraverso quegli elementi che il progressismo di sinistra ha per anni cercato di rendere ininfluenti, e la mia fede nell'umanità si abbassa ancora, insieme alla qualità del giornalismo online e al QI medio nelle sezioni commenti di YouTube. Ma sto divagando. Di nuovo.


Ho anche qualche lamentela sul multiplayer, ma visto che è la prima volta che ne parlo su queste pagine credo sia giusto farvi presente che il sottoscritto che si lamenta di un multiplayer competitivo è un po' come il flusso delle maree, o le foglie degli alberi che ingialliscono e cadono d'autunno, o la pioggia nel weekend in cui volevi lavorare nell'orto: un aspetto naturale e ineludibile dell'ordine fisico dell'universo, fateci l'abitudine. 

1) Innanzitutto: ma ce n'era davvero bisogno, in un gioco con una trama cosi matura e così  tanto incentrata sul mostrare la violenza insensata dell'uomo sul suo prossimo, di mettere un multiplayer competitivo, come un Uncharted qualunque? O quantomeno, c'era davvero bisogno di mettere due trofei che obbligano di fatto a giocare almeno CENTOSESSANTOTTO partite?
2) In secondo luogo: il matchmaking è veramente pessimo. Ho visto partite in cui una squadra aveva tutti e quattro i giocatori di livello >200 mentre l'altra squadra ne aveva tre di livello <10.
3) Il sistema di livellamento e di microtransazioni crea dei grossi divari fra giocatori, perchè sblocca a quelli di livello piu alto (o, ancora peggio, quelli disposti a pagare un paio di decine di euro) potenziamenti e armi che sbilanciano l'equilibrio delle partite per motivi che non hanno nulla a che fare con l'abilità. Nel complesso evita di scadere nel pay to win, ma il fatto che ci si avvicini così tanto è comunque squallido in un gioco che F2P non è.
4) Non dico di arrivare a quelle compensazioni lag eccessive che si vedono a volte in Team Fortress 2 (il facestabbing deve morire, e ancora di più chi lo sfrutta consciamente), ma quando i proiettili che passano attraverso le coperture sono la norma invece dell'eccezione mi sembra palese che ci sia qualcosa che non va. Seriamente, i muri e l'area d'effetto delle bombe non sono un vero e proprio codice, sono piu una traccia (cit.).
5) Il drop casuale di materiali per il crafting crea un pericoloso elemento di fortuna, perché a parità di cassette aperte è possibilissimo trovarsi con una molotov, un fumogeno, e un coltello da instakill contro un giocatore che invece ha giusto un po' di zucchero e un paio di forbici dalla punta arrotondata.
6) Spawnare vicino a un nemico con una molotov accesa in mano, e immediatamente dopo esattamente su una mina però no, dai…
7) La mancanza di qualunque sistema di reporting o kicking è abbastanza imperdonabile negli anni '10, visto che significa non solo doversi attaccare al treno in caso di incontro con un cheater (e ce ne sono, eh!), ma anche lasciare impuniti i patetici idioti che si dedicano ad attività quali teabagging e griefing.
8) Infine: c'è un sistema di meta-gioco, per il quale il punteggio ottenuto in partita si trasforma in provviste per il proprio clan (di Firefly oppure di cacciatori), che bisogna far crescere e sopravvivere per 12 settimane. Ogni partita corrisponde a un giorno. Questo sistema è una buona idea perché mitiga l'inutilità insita in qualunque multiplayer competitivo dandogli un senso di progresso e di scopo, ma dall'altro lato fa sì che ragequittare una partita che sta andando male sia non solo lecito, ma persino consigliato. A meno che non siate come me (patologicamente completisti quanto patologicamente avversi al multiplayer competitivo), in quel caso vorrete solo farvi in fretta quelle 24 settimane per arrivare al platino e levarvi da quest'incubo.

Screenshot da vg247.com
Ha i suoi pregi, in primis il fatto di essere relativamente unico nel panorama dei multiplayer da TPS e il modo in cui replica efficacemente l'atmosfera del gioco, ma in generale lo trovo troppo frustrante, sbilanciato, casuale e confusionario per essere divertente. Detto tutto questo, se vorrete comunque  lanciarvi in quest'ennesimo vaso di Pandora di gente che non curerebbe i compagni neanche in cambio di soldi e gente che usa il microfono solo per respirarci rumorosamente dentro, mi permetto di darvi un consiglio: avete un nemico alle spalle. SEMPRE.

28 gen 2017

[Recensione] The Last of Us


Il videogioco, come medium artistico, sta crescendo, e questo ormai celeberrimo titolo che nel 2013 ha fatto incetta di premi ne è la prova più lampante. Non abbiamo più solo insipide cavalcate di violenza, monotoni nidi di ripetitività competitiva, tredicenni che urlano epiteti nel microfono, e indie poco considerati, ma anche The Last of Us, l'equivalente videoludico dell'Oscar Bait: storie che toccano tutte le note che hanno successo assicurato con i critici, che si prendono qualche rischio ma non troppi, e che vengono abilmente impacchettate in una presentazione impeccabilmente nella media.

Partiamo dalla trama. Siamo in un'apocalisse zombie, in un mondo in cui la vita umana ha perso valore e l’istinto di sopravvivenza schiaccia qualunque moralità e etica (l'ambientazione più collaudata e sicura dopo la Seconda Guerra Mondiale, insomma). Vent'anni dopo la diffusione di una terribile infezione fungale che colpisce il cervello umano[1], il nostro protagonista Joel e la sua compagna di contrabbando Tess si trovano a dover scortare una ragazzina pericolosamente somigliante a Ellen Page, Ellie, per consegnarla a una fazione di idealisti rivoluzionari, in quanto potrebbe essere la chiave per curare l’epidemia. 

Dopo un prologo eccellente, efficacissimo nel trasmettere la confusione e la disperazione del momento in cui esplode l'epidemia, e che si conclude con la scena più emotivamente intensa del gioco, il viaggio di Joel e Ellie procede per tappe estremamente banali e prevedibili (l’evoluzione del loro rapporto e la progressiva perdita d’innocenza di Ellie sono da manuale), ma anche estremamente ben presentate. Grafica, dialoghi e recitazione sono a livelli stellari (Troy Baker, Ashley Johnson e Nolan North in primis), e spesso si può dire lo stesso della regia. 

Spesso, ma non sempre: ho trovato alcune scene chiave un po' frettolose, come se avessero avuto paura di andare fino in fondo: le scene più drammatiche terminano improvvisamente con uno stacco su nero proprio nel momento in cui dovrebbero entrare nel vivo (le reazioni, le conseguenze, gli sviluppi, il trauma etc.), per passare seccamente al capitolo successivo, come a dire "OK, questa è fatta, andiamo avanti".

Le animazioni facciali e il mo-cap sono grandiosi, e Tess assomiglia un casino a una mia amica. Screenshot preso da pushsquare.com.

Dove brilla davvero è nella presentazione dei personaggi e del mondo. Tutti sono caratterizzati in modo sorprendentemente approfondito, grazie a piccoli tocchi di personalità negli atteggiamenti o nei non detti, grazie alla grafica delle espressioni facciali, ovviamente grazie alla recitazione, ma anche grazie a quei piccoli elementi marginali non necessariamente utili all'intreccio che però aiutano a costruire personaggi vivi e complessi: gli indizi sull'omosessualità di Bill, la spiritualità di David, i sensi di colpa di Marlene, eccetera. 

Anche la narrativa ambientale data dai collezionabili, dai dettagli nelle mappe, dalle conversazioni fra i nemici aggiunge moltissimo nel processo di world-building: vengono subito in mente la comunità nelle fogne di Ish, la cui storia scopriamo attraverso una serie di elementi ambientali, o il camper con due piccoli cadaveri coperti da un lenzuolo proprio vicino a una foto di famiglia, o i piccoli tocchi di umanità dati alle comunità ostili che si incontrano. 

Ciò nonostante, non posso dire di essermi trovato particolarmente coinvolto emotivamente, se non nel prologo appunto. Questo certo a causa della tragica prevedibilità della trama, ma soprattutto della caratterizzazione un po' generica e inutilmente violenta di Joel, che mi hanno reso molto difficile il processo di identificazione e mi hanno lasciato quindi molto più distaccato di quello che mi sarei aspettato.

E qui, come si suol dire, casca l’asino. Il mio giudizio complessivo sulla trama, infatti, dipende principalmente da questo: questa disconnessione che ho percepito fra giocatore e avatar è o meno intenzionale? Perché qui c’è il fulcro di come si debba interpretare il finale e, con esso, la storia nel suo complesso. Dunque, alla fine, e metto sotto spoiler, si scopre che



Ora, la mia visione in merito è questa.


Il personaggio di Ellie da solo regge il 70% della qualità del gioco. Screenshot preso da pushsquare.com.

Il problema è che questa interpretazione, a giudicare dai commenti che ho letto in giro per l'interwebz, mi sembra non essere quella prevalente: molti non solo comprendono le azioni di Joel (sensato: io stesso probabilmente avrei agito allo stesso modo, avendo torto quanto lui), ma addirittura le considerano giuste, quando non addirittura soddisfacenti. Il che mi fa pensare che, se il messaggio del gioco è "l'umanità fa schifo e se non ci fosse la società ci ammazzeremmo a sangue freddo per un paio di scarpe", allora il gioco ha assolutamente ragione, perché io non riesco proprio a capire come si faccia a lodare pubblicamente un'azione del genere senza avere vergogna di guardarsi allo specchio, ma tralasciamo; il punto è che non so se la mia interpretazione fosse o meno l'intenzione degli autori.

Quindi, i casi sono due: o è corretta la prima interpretazione, e allora siamo di fronte a un gioco valido, con un nucleo tematico certamente coraggioso, ma presentato in maniera troppo superficiale perché non risulti inferiore ad altri titoli che hanno fatto cose simili ma prima e meglio (Spec Ops: The Line, The Walking Dead, This War of Mine, persino Metal Gear Solid 3 in parte); oppure è corretta la seconda, e allora siamo di fronte a un gioco fondamentalmente mediocre, con un finale confuso e eticamente ignobile.

Il gioco è ricco di momenti leggeri e contemplativi, in cui si lasciano sviluppare i rapporti fra i personaggi. Screenshot preso da mp1st.com.

Vorrei dare ora un po' di attenzione al gameplay. Abbiamo la nostra tipica combinazione di sparatorie in terza persona, stealth, esplorazione, e crafting, che si alternano in una sequenza lineare di setpiece. Devo ammettere che ho apprezzato il fatto che le risorse siano così scarse, perché spinge il giocatore a delle scelte: cosa faccio, esco e uso lo shotgun su questo gruppo di infetti, senza sapere se magari ce n'è un altro dietro l'angolo e rischiando di finire i colpi? Mi muovo e uccido silenziosamente tutti i soldati, sperando di raccattarne qualcosa di utile, o li evito e vado dritto all'obbiettivo? Uso questo coltello che ho appena fabbricato per aprire quella porta e riempirmi di provviste, o lo tengo casomai incontrassi dei clicker? 

Certo, alle difficoltà più alte la scarsità di munizioni e materiali è tale che molte di queste scelte sono ridotte a un obbligo: evita sempre gli scontri, uccidi sempre furtivamente, tieni i colpi per le sparatorie obbligate, ricarica sempre il checkpoint se anche un solo tuo colpo va a vuoto. Ma rimane un formato divertente. Apprezzabile è anche il fatto che le animazioni in combattimento, e mi riferisco in particolare ai takedown, siano così violente, crude, viscerali, cosa che amplifica ancora di più il senso di malata disperazione del mondo e delle azioni dei personaggi. 

Il tutto è competente e solido, ma come dicevo è nella media: lo shooting è nella media, il crafting è nella media, l'aspetto horror è nella media, e lo stealth… lo stealth no, quello è decisamente sotto la media.

Si va dall'affrontare gruppi di umani più miopi e sordi delle guardie del primo Metal Gear Solid (e che pure sembrano riuscire a comunicare telepaticamente, visto che quando uno solo di loro vede Joel tutti gli altri sanno immediatamente dov'è e dove sarà per tutta l'eternità), all'affrontare gruppi di zombie che sembrano individuarci o non individuarci in base al tiro di un dado (troppe, troppe volte ho visto un runner o uno stalker voltarsi di scatto mentre io mi stavo avvicinando alla velocità di una tartaruga monca, o addirittura mentre ero completamente immobile alle loro spalle, troppe volte sono stato visto senza alcuna ragione apparente[2]); senza contare che anche loro sembrano avere una hive mind tipo Borg (e non facciamo finta che questo non sia il più tipico e grave difetto degli stealth mediocri).
A questo si aggiungono alcune sezioni in cui, dopo aver pulito silenziosamente un'intera area di nemici, se ne vedono altri spawnare dal nulla perché il gioco aveva deciso che quella sarebbe dovuta essere una scena di shooting.


Insomma sì, ho parecchie lamentele sullo stealth, e sul combattimento in generale (ad esempio, il fatto che gli attacchi corpo-a-corpo nemici sembrano colpire in base alla tua posizione quando inizia la loro animazione e non quando l'arma effettivamente dovrebbe colpire; per dire, ho visto più volte David letteralmente teletrasportarsi un metro più avanti per colpirmi con un machete che io avevo abbondantemente schivato). Ma lasciamo stare: il punto è che l'esperienza “puramente ludica” di The Last of Us è adeguata ma mediocre, e per citare un articolo di clickonline.com «Batman, Adam Jensen and Solid Snake could offer a richer gameplay experience while comatosed».
 
...davvero? «Gaming's Citizen Kane moment»? Seriamente? Ok, adesso state davvero esagerando, dai.

Insomma, The Last of Us è sicuramente un gran bel gioco, ma il fatto che venga salutato come il picco dell'evoluzione del medium mi lascia abbastanza perplesso. Non mi sentirei mai di sconsigliarlo, né di non considerarlo fra i migliori della sua console, ma stiamo comunque parlando di una storia derivativa che non presenta nulla di nuovo. E, sinceramente, mi gira un po' il belino a leggere commenti che lo lodano come se avesse inventato il concetto di “storia drammatica e matura” e “protagonista antieroe”, perché mi ricordo che Metal Gear Solid è uscito quindici anni prima, Silent Hill 2 dodici anni prima, e Spec Ops: The Line un anno prima.




[1] Interessante il tentativo di rendere “realistico” lo scenario, ma, come spesso avviene, più si tende al realismo più ogni minima crepa diventa una rottura catastrofica: bella l’idea dei funghi, ma trattandosi di parassiti, l’ospite continua ad essere, fondamentalmente, un essere umano fatto di carne e ossa, che ha bisogno di funzionare come tale, ovvero ha bisogno di cibo, acqua, temperature appropriate eccetera. Infatti, le formiche infettate dal vero Ophiocordyceps unilateralis muoiono entro una decina di giorni. Insomma, realisticamente questa apocalisse zombie sarebbe finita al primo inverno, sia gli ospiti che i funghi (che, peraltro, vengono da paesi tropicali) sarebbero morti malamente entro l’epifania; se non in tutti gli USA, quantomeno nelle regioni meno calde, lasciando uno spazio più che sufficiente al governo centrale per gestire il resto. 

[2] In particolare, non ho ancora capito perché in una particolare sezione delle fogne c’è un punto in cui, se anche solo per sbaglio metto un piede su una certa scala, tutti gli infetti fino in Perù scoprono istantaneamente dove sono, anche se mi muovo furtivamente. Non riesco a capire se sia un bug o un tentativo goffo di “obbligare” il giocatore a seguire un certo percorso.

24 gen 2017

[Commenti] La voce delle stelle, Il giardino delle parole, 5 cm al secondo

In attesa di vedere questo "Kimi no na wa" che sembra essere stato così mostruosamente apprezzato dal pubblico e dalla critica di tutto il mondo, ho deciso di recuperarmi un po' della filmografia di Makoto Shinkai, di cui mi trovo costretto ad ammettere di non aver mai visto alcunché.

La Voce delle Stelle
(
ほしのこえ, 2002/2004)


L'OAV (e manga) Hoshi no koe è la storia di Noboru e Mikako, due adolescenti legati da una profonda amicizia che si ritrovano ad essere separati quando Mikako viene selezionata per unirsi a una missione spaziale (come pilota di robot da combattimento) che mira a scoprire di più sulla misteriosa razza dei Tharsiani, con cui c'è stato un violento scontro su Marte. I due, che prima potevano vedersi tutti i giorni, ora possono sentirsi solo tramite messaggi, che impiegano sempre più tempo a giungere a destinazione man mano che Mikako si allontana dalla Terra.


È essenzialmente una storia d'amore che si svolge sullo sfondo di una potenziale guerra contro una razza aliena da un lato, e della vita scolastica e lavorativa di Noboru dall'altro. L'aspetto fantascientifico è talmente accennato e incidentale da poter a malapena considerarsi importante nel definire il genere della storia: non è un aspetto della trama principale, quanto un qualcosa che vi si mette in mezzo per complicarla. Man mano che il tempo di arrivo dei messaggi fra i due passa da poche ore, a un paio di mesi, a interi anni, lL'atmosfera si fa di una malinconia sempre più opprimente. 

L'OAV è talmente breve da concentrarsi esclusivamente su questo nucleo centrale, mentre il manga che ne è stato tratto interessantemente si espande, toccando il tema di come nessuno dei due voglia davvero essere dove è, e di come vengano "bloccati" nelle loro attività quotidiane dall'attendere con angoscia i messaggi dell'altro e dalla nostalgia per i tempi in cui potevano vedersi quotidianamente. Il finale aperto colpisce giusto dove deve, e devo dire che è molto piacevole e toccante, nonostante uno svolgimento che lascia un po' a desiderare e un generale irrealismo (non so quanti ragazzi di 15 anni aspetterebbero sei mesi solo per avere un messaggio dalla ragazza che gli piace sapendo che qualunque loro risposta sarebbe a sua volta risposta non prima di un anno, invece di dire "Va beh senti è stato bello ma aggi pasiensa se ti imbelini su un robottone e vai a remesciare per la galassia no l'è colpa mae, io non sto qui a farmi mangiare il belino dalle mosche"...),



I disegni di Mizu Sahara (manga) non sono a mio parere particolarmente efficaci; in particolare il character design è estremamente confusionario: i due protagonisti diventano biondi in una vignetta, poi entrambi mori nell'altra, poi solo lui biondo, poi solo lei bionda... già si somigliano e hanno la stessa pettinatura, poi arrivano altre ragazze che si somigliano e hanno la stessa pettinatura...! Diventa veramente difficile da seguire.

Purtroppo, nonostante i difetti del manga, l'OVA è peggio. Si sente molto bene che è stato fatto con un budget estremamente limitato. Ma anche guardando al di là delle animazioni estremamente QUALITY, della CGI ancora più QUALITY, e delle facce che mioddio cosa sono queste creature, i pochi tocchi genio registico di Shinkai non bastano a salvare un contenuto decisamente troppo accennato e troppo poco approfondito. Mancando le pennellate di approfondimento sull'ambientazione e sui personaggi secondari che il manga avrebbe dato due anni dopo, rimane solo la storia dei due amanti, che ripetono gli stessi due-tre dialoghi e prolungano concetti che da soli non riempiono neanche un film di questa durata. È sicuramente una storia sentita, come dimostrato dal fatto che nella Director's Cut i doppiatori sono Shinkai stesso e la sua fidanzata (che, peraltro, regalano un'interpretazione solo marginalmente inferiore rispetto a quella dei "professionisti" della versione normale; lascio a voi decidere se questo sia un merito di Shinkai&consorte o un demerito dei doppiatori), ma è essenzialmente un'ottima idea sfruttata male.




Il Giardino delle Parole
(
言の葉の庭, 2007)


Takao è un ragazzo che sogna di diventare un calzolaio e designer di scarpe. Nei giorni di pioggia, salta le prime ore di lezione al liceo per rifugiarsi in un parco, a disegnare. Lì, una mattina, incontra una donna, di una dozzina di anni più grande di lui, che sorseggia birra e mangia cioccolato. I due si scambiano qualche parola, lei gli lascia un tanka, e si salutano. Da lì in avanti continuano a incontrarsi nei giorni di pioggia, ed entrambi si ritrovano a desiderare sempre più spesso di avere questa occasione di incontro, pur non sapendo nemmeno il nome l'uno dell'altra. 

La storia si dipana molto bene, raccontando le storie sia di Takao che di Yukino e di come, incrociandosi quasi per caso, trovino l'uno nell'altra l'appoggio emotivo di cui avevano bisogno per risolvere i rispettivi problemi. Un rapporto fra persone di età molto diverse, un rapporto che non dovrebbe esistere (cosa molto giapponese), e che pure si sviluppa in modo così naturale e realistico da far desiderare lo spettatore che possa andare a felice conclusione, in barba alle norme sociali. L'atmosfera di fondo è molto malinconica, perché molto malinconici sono i due protagonisti e le due rispettive storie. Il finale è dolceamaro come piace a me (il manga è forse un po' più dolce rispetto al film). Niente di trascendentale a livello di contenuti o temi, ma assolutamente consigliato. I disegni e le animazioni, poi, sono veramente da restare a bocca aperta, e non solo per le numerose a apprezzatissime inquadrature dei piedi di Yukino eccellente è anche il fedelissimo adattamento manga disegnato dall'ottima Midori Motonashi.




5 cm al Secondo
(
秒速5センチメートル, 2007)


Makoto Shinkai è, insieme a Miyazaki e Hosoda, uno degli auteur più importanti nel panorama dei lungometraggi d'animazione giapponesi, e 5 cm al secondo è forse il suo film più noto in Occidente. L'opera riprende il tema più caro al regista fin da Hoshi no koe, ovvero quello della distanza reale e metaforica tra le persone (fin dal titolo, che si riferisce alla velocità di caduta dei petali di ciliegio dal ramo, un simbolo ricorrente per l'allontanamento), seguendo la storia di un ragazzo, Takaki, nel suo rapporto con una ragazza, Akari, in tre momenti diversi della loro giovinezza

All'inizio, i due sono studenti delle scuole medie, e sono uniti da un'amicizia molto forte; ma le cose cambiano quando lei è costretta a trasferirsi con la famiglia da Tokyo alla prefettura di Tochigi. I due si scambiano costantemente lettere per tutto l'anno successivo, finché anche lui non è costretto a trasferirsi a Kagoshima, nell'estrema punta meridionale del Giappone, rendendo ancora più lungo e difficile qualunque eventuale viaggio per reincontrarsi. L'incontro fra i due precedente al trasloco del ragazzo è il punto di partenza della storia, che da lì procede per tratti sentimentalmente intensi, ma spesso accennati, delicati, delineando come questo amore e questa lontananza influiscano sulla vita dei due.

Animazione e regia sono a livelli semplicemente stellari, con ogni inquadratura che trasuda stile. In particolare vorrei parlare della scena finale al passaggio a livello: da un lato, con una semplicità disarmante riesce a creare tensione, rilasciarla, e con essa portare a perfetto compimento il filo principale della trama; dall'altro, il suo simbolismo è efficacissimo, ma forse un po' troppo opaco a causa della velocità con cui si svolge, soprattutto considerando che gli elementi cruciali per cogliere il significato inteso della scena si riducono a una manciata di frame, e che senza quel significato l'intero film rischia di risultare inconcludente e insoddisfacente (non negherò che la mia prima reazione, prima di cogliere quella scena, è stata testualmente: "...beh?"). 


E, purtroppo, non è l'unica lamentela che ho. Nonostante un certo impatto emotivo ci sia, il film sia indubbiamente fatto bene, e il tema sia trattato in modo efficace e maturo, devo ammettere che mi ha lasciato come una sensazione di incompletezza, di "pezzi mancanti" per dare il quadro completo del senso che voleva dare Shinkai; a mio avviso, infatti, manca un passaggio fondamentale a dare il quadro completo. Ne parlo più approfonditamente sotto spoiler.


 
Sarà una mia fissa, un mio limite, ma lo ritengo un passaggio essenziale per far scorrere liscia la trama nel suo insieme. Probabilmente Shinkai voleva solo toccare un certo argomento emotivo, e per farlo e ha "forzato" la trama su un certo binario senza preoccuparsi troppo di far funzionare tutti gli scambi, ma questa incongruenza rischia di far crollare un grosso fattore di identificazione e quindi di pathos.

In definitiva, il mio parere è senza dubbio positivo, e resta un film che mi sento di consigliare a chiunque, soprattutto a chi abbia vissuto una delusione amorosa nel corso della propria vita, ma non posso dire che mi abbia convinto al 100%, e credo di non averlo trovato al livello della sua fama.