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29 set 2018

[Recensione] Machinarium


Machinarium, gemma indie del 2009 prodotta dai cechi Amanita Design nel genere morente degli adventure game punta-e-clicca, è un perfetto esempio di come, anche con un gameplay tutt'altro che innovativo e con una trama minima, una direzione artistica peculiare e ben curata possa fare la differenza fra il dimenticatoio e il "cult status". Per lo stesso principio per cui Sky Doll, pur avendo una trama confusa e insulsa, viene adorato in tutto il mondo perché è disegnato da uno che sulla carta ci mette La Bellezza Divina.

La storia segue un piccolo robot che viene scaricato in una vasta discarica di rottami. Il suo scopo è ritornare nella città di Machinarium, salvare la sua ragazza dalle grinfie dei cattivi, e fuggire di nuovo insieme a lei. Una trama molto semplice e basilare, quindi, quasi favolistica. 


Il giocatore viene gettato in medias res, e molti dettagli vengono rivelati progressivamente tramite flashback e interazioni con gli NPC, arrivando a formare il quadro completo solo verso la fine pur dando quanto basta per tenere interessati. La narrazione avviene totalmente senza dialoghi parlati, bensì solo tramite delle vignette, dei veri e propri baloon fumettistici in cui si animano scenette disegnate, mentre i personaggi emettono solo versi, risate e simili. 

Screenshot dal sito ufficiale di Amanita Design.

L'atmosfera molto leggera, quasi cartoonesca pur senza andare mai del tutto nel comico, è efficacissima nel catapultarci in questo mondo meccanico: un mondo in qualche modo decadente, con un che di sporco, grezzo e povero, ma comunque affascinante, costituito da fondali disegnati magnificamente. Le animazioni, poi, sembrano ispirate alle animazioni cut-out, e insieme al character design buffo ma efficace (il protagonista, in particolare, ha un che di "derpy" che lo rende istantaneamente adorabile) va a rinforzare quest'atmosfera con un aspetto leggermente surreale. Anche la particolarissima musica merita una nota di merito.

Dal punto di vista del gameplay, si tratta ovviamente di un tipico insieme di enigmi da risolvere con puzzle d'inventario, ma presenta una feature che credo di non aver mai visto prima in un adventure game, e che nonostante un'iniziale perplessità ho finito per approvare vivamente: una guida interna. "Se tanto quasi tutti i giocatori andranno a cercarsi le soluzioni su internet", avranno pensato, "tanto vale dargliela noi, così possono usarla senza uscire dal gioco e dal suo mondo". All'interno del menu inventario, il giocatore può accedere sia a dei suggerimenti (uno per mappa, anch'essi presentato sotto forma di un fumetto in una nuvoletta di pensiero del protagonista) che a una vera e propria soluzione; quest'ultima, però, si trova in una specie di "libro", per accedere al quale bisogna battere un semplice mini-gioco (uno shooter a scorrimento laterale simile ad alcuni giochi sui vecchi Nokia), che comunque dà accesso solo alla pagina per la schermata in cui ci si trova, e quindi non copre eventuali fasi dello stesso enigma che si svolgono altrove. Inoltre, anche questa soluzione è presentata sotto forma di "fumetto", di indicazioni grafiche stilizzate che vanno interpretate. Insomma, perché siano davvero utili è necessario avere già una vaga idea del da farsi, o di quale sia il problema da risolvere. Entrambe queste caratteristiche impediscono che la feature venga abusata.


Un esempio dei fumetti che sostituiscono cutscene e dialoghi. Screenshot dal sito ufficiale di Amanita Design.

Un'idea originale che si è anche rivelata molto utile, perché i puzzle sono spesso molto impegnativi. Richiedono attenta esplorazione dell'ambiente, abitudine a riconoscere in dettagli apparentemente insignificanti degli indizi e una discreta dose di puro trial-and-error,
e spesso dei salti logici tutt'altro che... beh, logici. Ciò nonostante li ho trovati molto più ragionevoli rispetto, ad esempio, a un Broken Sword, o a un I Have No Mouth And I Must Scream, persino a un Syberia. Anche quando ricorrevo alla soluzione interna, nella quasi totalità dei casi mi rendevo conto che avevo semplicemente perso un oggetto, o non avevo notato un particolare che però effettivamente c'era. L'unico problema che mi sento di criticare davvero è che talvolta non è chiaro quello che si deve fare, quale sia l'ostacolo da superare o l'obbiettivo verso cui lavorare, lasciando il giocatore un po' con la stessa sensazione di quando in un'interrogazione cerchi di rispondere all'insegnante ma non hai capito la domanda.

Molti enigmi prendono la forma di impegnativi mini-giochi che possono richiedere delle mezz'ore per essere risolti.

In generale, comunque, è un gioco breve e semplice ma che lascia il segno: è immersivo, artisticamente originale (unico, oserei dire), impegnativo quanto basta, un po' opaco ma carino e endearing quanto basta da tenere il giocatore incollato.

18 set 2018

[About me\Recensione] Aria: lettera d'amore a un capolavoro unico

Devo iniziare questo post con una premessa, anzi, un avvertimento: questa non sarà una recensione. O meglio, non sarà il solito sbrodolio di parole in cui spendo un paio di paragrafi a soppesare pregi e difetti, usando parole inutilmente roboanti (come, ad esempio, "roboante"), e poi passo il resto a mugugnare dicendo una quantità francamente eccessiva di parolacce, battute politiche e analogie copiate da Zero Punctuation. Non sono in grado di parlare di Aria in questi termini. Questa non sarà niente di meno che una lettera d'amore. Una lettera d'amore ad una serie che, oltre ad essersi presa di prepotenza un posto fra le mie opere preferite in assoluto (non solo anime/manga: in assoluto), ha accompagnato e contribuito a definire un periodo fra i più importanti della mia vita.


Aria è un manga di Kozue Amano (iniziato nel 2001 sotto il nome Aqua, rinominato l'anno successivo a seguito di un cambio di testata), poi adattato in tre serie animate più alcuni OVA dirette dal geniale Jun'ichi Satō. Sul pianeta Aqua, risultato della terraformazione di Marte, è stata costruita Neo-Venezia, una copia esatta della città italiana costruita dopo che l'originale è stata sommersa dai cambiamenti climatici. Qui vivono e lavorano le Undine, rispettate gondoliere e amate guide turistiche. Akari Mizunashi è una ragazza terrestre che si trasferisce su Aqua per diventare un'Undine, e si unisce alla Aria Company sotto la guida della celebre "Fata dell'Acqua" Alicia Florence. Farà presto amicizia con altre due praticanti (Aika e Alice) e le loro senpai. 

Da lì in avanti semplicemente… succedono cose. O meglio, è più corretto dire che non succede nulla. Le ragazze aiutano un postino a fare le consegne, o puliscono le loro gondole; Akari e Alicia fanno una gita fuori porta e scoprono un posto con un bel panorama, oppure Akari passa la giornata al caffè Florian a godersi Piazza San Marco. Banale vita quotidiana, insomma. È lento. Lentissimo. Quasi contemplativo, quasi meditativo.

Potrei citare alcuni "aspetti tecnici" che contribuiscono alla magia di Aria: lo splendido disegno di Kozue Amano, ad esempio, coi suoi ambienti dettagliatissimi e le sue vignette inquadrate in modo da evocare un senso di meraviglia e pace; l'eccellente doppiaggio dell'anime, con in particolare Erino Hazuki (Akari), Sayaka Ohara (Alicia) o Ryou Mizunashi (Alice) che rappresentano perfettamente i vari quirk vocali dei personaggi permettendo allo spettatore di affezionarsi e famigliarizzarsi; i personaggi stessi, privi se non di qualche piccolo arco ma adorabili e ben definiti fin dall'inizio; la colonna sonora ricca di brani semplici ma atmosferici, dolcissimi, basati principalmente su arpeggi di chitarra acustica e pianoforte; le particolari espressioni chibi che assumono i personaggi nei momenti comici o buffi, che incapsulano così perfettamente le loro personalità. Ma tutti questi elementi sono solo rinforzi, armonici che danno efficacia a ciò che è il vero cuore dell'anime. 

Ogni personaggio ha una e una sola espressione chibi che lo caratterizza;
il contrasto fra queste e il normale stile realistico spesso basta da solo a trasmettere un senso di buffo e surreale

 

Quella meraviglia ordinaria...


Aria non è solo uno slice of life che segue personaggi buffi e kawaii, come un K-On!, né solo un anime comico che usa sapientemente il super deformed, come un Nichijou (anime tragicamente sottovalutato). È soprattutto una glorificazione della bellezza dell'ordinario, della magia dei piccoli miracoli di ogni giorno, un inno al trovare la gioia nascosta dentro ogni momento e ogni cosa, persino nei luoghi e negli incontri della propria vita quotidiana

A Neo-Venezia, il mondo è bello, sempre: le persone sorridono e sono sempre gentili, i gatti sono sempre affettuosi, la neve e la pioggia sono belle come la miglior giornata di sole, ogni lavoratore è un professionista che ama sinceramente ciò che fa, ogni festa (tra cui molte feste veneziane, spiegate per l'inesauribile meraviglia di Akari) è un'occasione per stare insieme e rinnovare l'amore fra la città e i suoi abitanti. Le situazioni, le battute, le inquadrature si ripetono frequentemente, come le stagioni, eppure ogni evento è unico. 

Il tutto con un velo sottile ma decisivo di malinconia, perché è comunque un'opera giapponese e il mono no aware è una caratteristica estetico-culturale cruciale, ma una malinconia che rafforza la gioia, invece di opprimerla. Il mono no aware che ci dà la consapevolezza che questi momenti meravigliosi sono fugaci, destinati a cambiare e a finire, ce li fa anche apprezzare ancora di più, e ci aiuta a trovare la bellezza anche là dove saremmo tentati di vedere solo tragicità e tristezza; ci aiuta a renderci conto che ogni fine è anche un nuovo inizio, e che possiamo fare tesoro dei ricordi della bellezza passata, che saranno con noi per sempre, senza per questo chiuderci dal farne di nuovi con la bellezza futura. È un tipo di narrazione in cui i giapponesi eccellono, fin dal Genji Monogatari e da Neve sottile di Tanizaki.

Un mondo irrealistico, certo, utopico, di pura fantasia, totalmente privo anche dei normali conflitti della vita normale; ma che risulta tale solo dalla nostra prospettiva esterna, non da quella di Akari e Alicia, vere voci soliste di questo cast corale. Akari, soprattutto, che con il suo perenne sorriso, la sua capacità incredibile di trovare meraviglia e bellezza in ogni cosa e di esprimerla ad alta voce, la sua dolcezza, il suo fare amicizia con tutti, la calma e la serenità con cui pure non smette mai di impegnarsi e lavorare duro, è la chiave che eleva il nulla quotidiano che ci viene mostrato a un tutto quasi edenico. Amano ci invita a guardare il nostro mondo con gli stessi occhi con cui la giovane Undine guarda la sua Neo-Venezia, perché anche se noi non abitiamo in un'utopia senza turisti fastidiosi, senza veneti che bestemmiano, senza i tramezzini in Piazza San Marco che costano dai 179,99€ in su, senza kami felini che proteggono la città con un esercito di gatti, e senza l'immondizia e boh credo pure le radiazioni nelle acque dei canali, i miracoli quotidiani ci sono anche qui. 
Da sinistra: Alice, Akira, Alicia, Akari, Aika, Athena. Sullo sfondo i personaggi secondari.

Identikit di un Ariafan


Ora, questo è il momento in cui forse dovrei provare a spiegare perché questo manga e questo anime hanno un effetto così potente su di me. Dovete sapere che io sono una persona molto ansiosa e molto nervosa, e allo stesso tempo molto pigra. Mi faccio piani costantemente, e qualsiasi deviazione da essi, anche solo una piccola perdita di tempo o un impegno imprevisto, mi fa innervosire o infuriare; anche se quelle deviazioni sono talvolta dovute al sottoscritto che perde tempo a guardare YouTube Poop. 

La mia testa è sempre, perennemente in attività: penso cose, penso storie, penso considerazioni politiche, penso invettive contro questo o quello, penso i problemi che mi possono capitare, pianifico il mio terzo album mentre sono ancora lì che sto scrivendo il primo, faccio continui salti e collegamenti mentali. Sono sempre rivolto o verso un futuro immaginato per il quale cerco di prepararmi (mentre viaggio penso a quando arriverò, quando arrivo penso a quando ripartirò, mentre torno penso a cosa succederebbe ai miei cari se morissi in un incidente, quando sono a casa penso al giorno dopo), o verso un passato visto come più bello e sereno fatto di momenti che non torneranno più, oppure come luogo di tutti i miei rimpianti e i miei errori; tutto questo rafforza quel costante senso di "la vita fugge et non s'arresta una hora" che alimenta la mia malinconia, la mia paura della morte, la mia sensazione di non avere tempo e capacità di fare tutto ciò che vorrei, e paradossalmente contribuisce a farmi sprecare parte del mio presente. 

Aria evoca in me esattamente tutto questo, e lo distrugge. Prende la mia malinconia, e la tramuta in una spinta positiva verso il presente. Mi permette di disattivare quei processi mentali continui del mio cervello e di godermi una sensazione di serenità spensierata (cosa che no, non mi succede spesso nemmeno guardando altri slice of life!). Quando mi fa commuovere per una gondola che va in demolizione, evoca lo stesso sentimento che provai io quando dovemmo dar via la nostra vecchia macchina, ma tramutandolo in qualcosa di positivo e di commuovente, magico. Trasmette molti messaggi tutt'altro che complessi ed esoterici, ma che risultano molto rilevanti e molto vicini per la persona che sono io. Quando finisco un episodio di Aria mi sento sereno, in pace col mondo, mi sembra di volere bene a tutti, riesco persino a guidare senza augurare una morte orribile a quelli che non mettono la freccia in rotonda ('rtacci loro). 

Tre episodi, in particolare, vorrei raccontare, del mio rapporto con Aria



 

Quella signora sul treno...


Credo non ci sia esempio migliore di questo per spiegare ciò che Aria è e vuole essere.

Dunque, Il manga mi fu prestato da un caro amico d'università. Ero al secondo anno, o forse all'inizio del terzo. Stavo leggendo un volume in treno, mentre tornavo in Liguria il venerdì dopo una settimana di lezioni. Era il capitolo della Festa del Redentore, quando Akari e le altre apprendiste organizzano una festicciola in riva alla laguna con le senpai e gli amici. L'episodio è semplicemente questo: la gioia di una cena piacevole e tranquilla fra persone che si vogliono bene. Sul mio volto era stampato un sorriso, per tutto il tempo. Doveva essere molto evidente, perché la signora anziana seduta davanti a me lo notò, e mi fece un qualche commento su quanto fosse bello vedere una persona sorridere così mentre leggeva. Chiacchierammo qualche minuto. Amano, tramite Akari e le altre, aveva trasmesso questa semplice gioia a me, e io, semplicemente provandola ed esternandola, l'avevo a mia volta trasmessa ad un'altra persona, trasformando un incontro banale come ne ho avuti a centinaia nella mia vita in un qualcosa di unico, memorabile e, semplicemente, bello. Quanti momenti del genere ci perdiamo perché ci rifiutiamo di vederli, di cercarli?

-"Vietate frasi imbarazzanti!" -"Eeeeeeee?"

 

Quei giorni spensierati...


Un altro, invece, riguarda l'anime. Una delle prime puntate, fra le più memorabili, racconta una rimpatriata serale fra le tre senpai (Alicia, Akira e Athena), che spiegano alle loro allieve come, da giovani, fossero amiche e si allenassero insieme tutti i giorni, esattamente come Akari, Aika e Alice; oggi, invece, per via delle loro responsabilità lavorative, non avevano più il tempo di vedersi come una volta. Ma proprio mentre stanno per abbandonarsi alla nostalgia dei bei tempi andati, pronunciano una delle frasi più caratteristiche della serie: «Se resteremo prigioniere dei ricordi del passato, non saremo in grado di riconoscere i bei momenti che ci regala il presente. Non diciamo "Com'erano belli quei tempi", diciamo piuttosto "Anche quei tempi erano belli". Ciò che appartiene al passato non dovrebbe essere paragonato né ad altri momenti già trascorsi, né al presente, né ai ricordi che avremo in futuro. Nel corso della vita condividiamo tanti piccoli attimi preziosi con le persone a noi care, attimi che poi scompaiono, ma se solo riuscissimo a trattenere ognuno di quei ricordi, i bei momenti non finirebbero mai e ci accompagnerebbero per sempre, per tutta la vita.»

Poco dopo, Akari riaccompagna a casa le sue amiche, e si salutano prima di un ponte
con un "ci vediamo domani". Mentre le due spariscono dietro il ponte, Akari strabuzza gli occhi, e improvvisamente si mette a correre. Raggiunto un punto in cui le poteva vedere, ricomincia a salutarle, ripetendo, in lacrime, quella frase: ci vediamo domani. Akari si era resa conto che anche per lei quei momenti speciali di quotidiana compagnia erano destinati a finire, e ha deciso, seguendo il consiglio di Alicia, di abbracciare il tempo presente, ancorarvisi, ribadirlo con forza nonostante, anzi, proprio in virtù della sua caducità: "ci vediamo domani". Quel momento è… intensissimo. 

Il doppiaggio, la musica, il contesto, il passaggio alla faccia chibi, rendono quella scena un pugno in faccia che ogni volta, ogni maledetta volta, mi stringe il cuore e riesce a farmi piangere e ridere assieme. La prima volta, in particolare, fu così forte che dovetti fermare tutto per riprendermi. 

Perché, vedete, anch'io all'università avevo un terzetto di amici, che vedevo tutti i giorni. Compagni di corso, di studi, di uscite, di imbarazzanti discussioni fra nerd single e impenitenti, di decisioni improvvise di marinare il lettorato di giapponese per andare a prenderci un gelato, di momenti in cui facevamo inorridire gli astanti mentre discutevamo su chi scrivesse le migliori scene di sesso fra Yukio Mishima e Yasunari Kawabata. E la prima volta che vidi quell'episodio, beh… fu proprio verso la fine del terzo anno, ovvero proprio quando mi stavo rendendo conto che anche per noi quei momenti assieme sarebbero finiti, man mano che i nostri percorsi si separavano. 

Sembrava fossimo tutti sulla stessa strada e procedessimo insieme, ma ognuno di noi aveva la propria, che percorreva alla propria velocità; le nostre strade si erano incrociate quasi per miracolo, donandoci gioia e splendidi ricordi, ma come si erano incontrate così sarebbero andate a divergere. Capii che dovevo abbracciare con tutto me stesso quel piccolo miracolo che è stato l'incontrare quelle persone, e fare del mio meglio per ricordare ciò che quella nostra amicizia ci ha dato, nonché per affermare con forza ciò che sarebbe diventato in futuro.

Esattamente come Akari, Aika e Alicia.

さあ、お手をどうぞ!

 

Quel nuovo inizio...


Il terzo, infine, riguarda nuovamente il manga. Era l'ultimo giorno nella casa di Torino in cui io e il mio migliore amico abitammo nei cinque anni di università. Stavo impacchettando e insacchettando il manga per restituirlo al mio amico (giustappunto un membro del terzetto di cui sopra), e per ogni volume che insacchettavo mi prendevo qualche momento per sfogliarlo. Giunto all'ultimo, mi capitò fra le mani l'ultimo capitolo:
Akari si prende un momento per respirare ancora quelle immagini del passato, conscia che saranno con lei per sempre, e poi, con decisione, alza la tapparella, facendo entrare la luce del nuovo giorno

Tutto questo, ripeto, riletto il giorno prima di abbandonare una casa che per me era stata altrettanto un luogo di crescita e di splendidi ricordi. Ci avevo pianto, riso, composto, affinato la mia visione politica, conosciuto la mia ragazza; mi aveva visto nei miei momenti più bassi, nei più profondi abissi della depressione che ho affrontato nel 2013, e nei momenti più alti, quando con euforia studiavo giapponese o chitarra e pianificavo la mia vita; ci avevo scherzato, giocato e litigato col mio migliore amico.

Posato quel volume, presi la chitarra e scrissi una canzone, consegnando per un'ultima volta tutte quelle storie e tutti quei ricordi alla custodia di quei quattro muri che non avrei rivisto mai più. 

Foto scattata quel giorno

 

Quella attesa conclusione...


Insomma, capite bene come il mio giudizio non sia dettato solo dalle sue (moltissime) qualità oggettive. Aria è entrato nella mia vita nel momento migliore possibile: ha fatto risuonare i suoi temi perfettamente in armonia con le mie paure, le mie fisime, la mia malinconia, e mi ha permesso di sublimarle, comprenderle, vederle da una nuova angolazione. Mi ha accompagnato in un periodo di transizione, emozionandomi come pochissime opere sono riuscite a fare. Quasi ogni suo episodio contiene per me un qualcosa di rilevante, di intenso, di memorabile. Al punto che ho titolato ogni paragrafo di questo post citando il "theme naming" della serie (il titolo di ogni episodio inizia coll'aggettivo dimostrativo その "quel"), come gli altri ariafan che stanno leggendo avranno certamente notato.

Il capolavoro di Kozue Amano non è per tutti. In un certo senso, è proprio come l'aria: leggero, inconsistente, semplice; eppure ti entra dentro, ti riempie il petto. Ma è difficile spiegare o far capire quella sensazione, perché... come puoi spiegare la sensazione di respirare aria buona, aria di un altipiano montano o di un paradiso sul mare? Eppure, quando la conosci, la riconosci. E non puoi più farne a meno. Perché, semplicemente, Aria è Bellezza con la B maiuscola.

Credo dica qualcosa di molto interessante sulla società giapponese (ma anche occidentale, il realtà) il fatto che i manga per ragazzi siano spesso storie con gente che si pesta, poteri sovrannaturali e grandi quest per salvare il mondo, laddove quelli per adulti o comunque per ragazzi più grandi siano spesso slice of life o commedie con ragazze carine che fanno cose carine in storie pacifiche e dolci dove non succede niente; fino all'apoteosi che è proprio Aria. Da piccoli vogliamo essere l'eroe ignorante ma di buon cuore e potentissimo che salva il mondo e si fa piacere da tutti; da grandi, vorremmo solo l'innocenza e la libertà per girare pacificamente in gondola su un pianeta-utopia con una ragazza carina che ci insegna la bellezza del mondo e un gattino che dice "Puinyu!".