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26 gen 2019

[Recensione] La Forma della Voce - A Silent Voice -

聲の形, "Koe no katachi", 2016
È un periodo meraviglioso per i film d'animazione giapponesi in Italia. Il "monopolio" in occidente dei film Ghibli è rotto, Dynit e Nexo Digital stanno importando opere sentimentali e mature, e non solo da quei registi in competizione per il mantello di "nuovo Miyazaki" (Shinkai, Hosoda ecc. BTW, consideratemi #TeamHosoda); non più limitati a storie fantastiche e semi-disneyiane (che pur spesso nascondono temi importanti), gli anime distribuiti nei cinema occidentali presentano storie sempre più umane, sempre più universali, sempre meno timorose di essere troppo psicologiche o troppo malinconiche.

La forma della voce, adattamento dell'omonimo manga di Yoshitoki Ōima, racconta la storia di Shōya Ishida, che, da bambino, si era fatto capofila del bullismo contro Shōko Nishimiya, una ragazza sordomuta appena trasferitasi nella sua classe. Quando, dopo mesi di vessazioni sempre più gravi, la ragazza si trasferisce in un altro istituto, Ishida diventa il capro espiatorio dei suoi compagni e passa da carnefice a vittima. Anni dopo, ormai isolato, rimasto senza amici e pronto al suicidio, Ishida intraprende un percorso di redenzione che lo porta, fra le altre cose, ad apprendere il linguaggio dei segni per riprendere i contatti con Nishimiya.

I trailer e le immagini promozionali di questo film sembrano presentarlo come una storia d'amore shinkaiana, con la sordità di Nishimiya a fungere da "elemento di distanza" fra i due innamorati; equivoco tutto sommato comprensibile, in un momento in cui quel tipo di composizione dei poster è stato portato alla ribalta dal successo planetario dell'eccellente Your Name (che si è trainato in Italia la riproposizione di Oltre le nuvole). Ma se certamente la regia di Naoko Yamada, già regista di K-On! (Il Capolavoro Immortale), deve molto allo stile di Makoto Shinkai e di Hideaki Anno, la storia di per sé tratta tutt'altro: è una storia di isolamento, amicizia, bullismo, senso di colpa, redenzione, egoismo nascosto nell'altruismo, accettazione di sé, e sì, anche di depressione e suicidio.


Il tema dell'isolamento da inadeguatezza, in particolare, viene esplorato in una duplice dinamica. Da un lato, quella fra Ishida e Nishimiya: lei isolata per via della sua sordità e del suo mutismo, ma in cerca disperatamente di uscire, di esprimersi, di essere accettata, finendo inavvertitamente col creare dei problemi per sé e gli altri; l'altro chiusosi dagli sguardi e dalle voci altrui a causa del suo senso di colpa e di anni di "mobbing", che cerca di farsi perdonare (e di punirsi) attraverso un ostentato altruismo mentre rimane totalmente incapace di accettare sé stesso. Il tratto comune è quindi il sentirsi soli, l'odio di sé, ma anche il sincero "fare del proprio meglio" (ganbaru) per uscirne. Le inquadrature in soggettiva (le croci sulle facce degli altri, Ishida che sente le parole altrui con la propria voce piuttosto che con la loro, l'attenzione sulle gambe dei personaggi per rimarcare il fatto sia lui che Nishimiya tengono lo sguardo basso) ne trasmettono il senso di auto-isolamento, mentre il fatto che molti dei dialoghi in linguaggio dei segni non vengano "tradotti" allo spettatore (scelta, questa, ereditata dal manga) sembra quasi voler rimarcare questo senso di distanza, estendendolo anche verso di noi, chiudendo Ishida e Nishimiya in una bolla separata tanto dagli altri personaggi quanto da noi.

Li vedete i due ciliegi in fiore sullo sfondo, simbolo della bellezza caduca e del fugace vigore giovanile? Vedete come i due alberi si sovrappongono ai due protagonisti? Vedete come sono separati, ma come sembrano tesi l'uno verso l'altro, in particolare quello di destra, coi rami che "escono" da Ishida per porgersi verso Nishimiya, che invece sta sì sul limite dell'albero dietro di lei? Ecco, sono queste belinate simboliche che mi fanno godere come un riccio.
Dall'altro lato, la dinamica fra i due ed il gruppo di vecchi e nuovi amici: tutti personaggi ben caratterizzati e tutt'altro che privi di colpe e difetti. I vecchi compagni delle elementari, in particolare, sembrano bloccati nel passato, incapaci di vedere oltre le colpe di Ishida o di riconoscere le proprie (il narcisismo di Kawai, la codardia di Sahara ecc.). Eppure la loro amicizia, e i loro sforzi fallaci, spesso proprio controproducenti, ma sinceri, saranno cruciali nella risoluzione dei conflitti dei due protagonisti. Purtroppo non posso non notare come gli archi dei personaggi secondari siano estremamente limitati, se non proprio assenti o appena accennati, ma temo sia inevitabile quando un manga di sette volumi viene ridotto a un film di due ore. Ciò nonostante, vengono dipinti in modo sì statico, sì abbozzato, ma colorato e vivace, e riescono quindi a essere comunque interessanti.

Il character design sembra un misto fra lo stile Kyoto Animation e lo stile di Yoshiyuki Sadamoto.
Il che, dal mio punto di vista, equivale più o meno a come mi immagino il paradiso.

Ora, chi mi legge e chi mi conosce lo sa. Mi atteggio tanto da comunistaccio duro e metallaro, ma sono in fondo un tenerone con un animo inguaribilmente saturnino. Ho pianto su AnoHana, ho pianto su Wolf Children, ho pianto su Aria, cavolo ho pianto pure sul finale di Black Rock Shooter. Atmosfere di soffocante malinconia, di depressione, di ironia tragica o di inevitabilità tragica, di colpa e redenzione, di innocenza incompresa e maltrattata, su di me hanno effetto facile e immediato. Non ho problemi ad ammettere che ogni volta che Nishimiya provava a parlare, o provava ad essere accettata e veniva respinta, mi si stringeva il cuore. Sì, lo so, "must protecc", "weeaboo" e tutt'un po', mi commuovo con le cose tenere e mi incazzo con le ingiustizie, fatemi causa, cosa vi devo dire?

Quindi, il fatto che La forma della voce mi abbia colpito profondamente, al punto che mi sono trovato più volte a ripensarci nel corso dei giorni successivi alla visione, è significativo solo fino a un certo punto. Razionalmente, mi rendo conto che alcune scene sono eccessive e poco credibili, e che in alcuni suoi tratti sa veramente di affrettato e di melodrammatico. Emotivamente, però, eccomi qui a consigliarlo con tutto me stesso. L'ho trovato potente, intenso, e persino profondo nel modo in cui tratta alcuni temi più psicologici (nemmeno Nishimiya è del tutto innocente).

Ecco, dovessi descriverlo con termini di paragone, lo definirei come situato ad un ipotetico punto di incrocio fra AnoHana (l'atmosfera, la compagnia di amici da riformare, il fare i conti col passato), Neon Genesis Evangelion (i personaggi di Ishida, Ueno e Nishimiya, l'odio di sé stessi) e Makoto Shinkai (alcune scelte registiche, la distanza psicologica e l'incomunicabilità fra le persone, il legame quasi fatale fra due anime distanti). Però animato da Kyoto Animation, che è sempre un plus.

Fanart di Tama is zining (@soulc1ty), a mio avviso semplicemente PERFETTA.