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8 nov 2017

[Recensione] Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo

おおかみのこども雨と雪 - Ōkami no kodomo Ame to Yuki, 2012
Il regista Mamoru Hosoda è emerso prepotentemente sulla scena dell'animazione solo nel 2006, e tutt'oggi in Occidente è spesso un po' più in secondo piano rispetto ai più noti Makoto Shinkai, Satoshi Kon, e ovviamente Hayao Miyazaki; eppure, molti della mia generazione, inconsapevolmente, l'avevano già conosciuto bene anni prima, quando aveva diretto i primi due mediometraggi e il particolarissimo episodio 21 di Digimon Adventure (e, più recentemente, con il cupissimo One Piece: L'isola segreta del barone Omatsuri). Ricordo che già all'epoca notai la differenza fra il resto della serie e quell'episodio, perché il suo stile di disegno e di direzione era già distinto e riconoscibilissimo: l'alone di leggerezza quasi eterea, la morbidezza dei tratti, le espressioni facciali dettagliate, la dinamicità delle scene "d'azione", le peculiari scelte di colonna sonora (il Bolero di Ravel che surrealmente accompagna l'intero Digimon Adventure! Quel cazzo di coro fighissimo nella scena dell'evoluzione in Bokura no war game, benedetta l'anima di Takanori Arisawa!), quell'impostazione di alcune scene a creare momenti come di "sospensione", di silenzio, sia a scopo comico che drammatico. Solo molti anni dopo avrei saputo descrivere questo stile e attribuirlo al suo nome, ma me ne innamorai subito.

Wolf Children è il suo terzo film "solista", dopo Summer Wars e La ragazza che saltava nel tempo, e come nei precedenti si avvale della preziosa collaborazione di Satoko Okudera alla sceneggiatura e del character design dello straordinario Yoshiyuki Sadamoto (le cui illustrazioni di Evangelion dovrebbero essere tipo esposte al Louvre e agli Uffizi). Ma se il primo film era enormemente ispirato a Digimon Adventure: Bokura no war game! e il secondo era un semi-sequel del romanzo omonimo, questo è basato su una storia di Hosoda stesso.



La trama è incentrata su Hana, la protagonista, che si innamora di un ragazzo incontrato all'università. In breve scoprirà che il ragazzo è in realtà un uomo-lupo, in grado di trasformarsi a piacimento ma dalla natura mista. insieme avranno due figli, Yuki e Ame, anch'essi mezzi-lupo. Hana si ritrova così a dover formare due piccole vite senza essere ancora diventata lei stessa un'adulta, ed emerge come eroina imperfetta del film, fra le sue incertezze e i suoi errori e il suo amore, in un modo che riesce a essere sia perfettamente immerso nella specificità di questa storia (emblematica, a mio avviso, la divertentissima scena in cui, quando Yuki si ammala, Hana non sa se portarla dal pediatra o dal veterinario) sia perfettamente universale, elevabile ad archetipo delle difficoltà e delle scelte che ogni madre, ogni genitore, si trova ad affrontare. Hosoda mette in scena una versione "ingigantita" della fatica di crescere dei figli e di vederli scegliere strade che non ci si aspettava, che magari non si sarebbero volute per loro; ingigantita, eppure identificabilmente reale. Ma è importante notare come il focus sia tanto sulla sfida della madre quanto su quella dei due bambini, la cui personalità e il cui sviluppo sono presentati in modo molto intelligente, e il cui sforzo per scegliere cosa essere, per trovare il proprio posto in in un mondo a cui nascondere costantemente una parte di sé, è sì reso "straordinario" dal fatto che sono due lupi, ma non è poi così diverso da quello che si presenta ad ogni bambino, ogni teenager, e quindi ad ogni adulto che li deve guidare.

È una parola impegnativa, ma non riesco a definirlo se non capolavoro. Come la Santa Trinità (Hosoda, Okudera, Sadamoto, nel nome della Regia, della Sceneggiatura, e del Chara Design, amen) si è già dimostrata in grado di fare, anche Wolf Children gestisce meravigliosamente una serie di umori e di emozioni molto ampia: comicità, tragicità, speranza, dolcezza, tensione, gioia, e l'obbligatorio lacrimone sul solito finale dolceamaro che tanto mi piace. La regia e la musica sono qualcosa di eccezionale persino per gli standard già alti di Hosoda. Oltre a tante cose tipiche del suo stile (come quelle lunghe scene su campi lunghi senza battute, in cui sono solo le azioni ed i gesti dei personaggi a parlare), ci sono alcune sequenze semplicemente maestose, magiche, e altre in cui rivelazioni o cambiamenti sono gestiti in modo veramente geniale. Quella con la famiglia sulla neve, ad esempio, semplicemente toglie il fiato. Con quanta semplicità riesce a dare l'idea della ripetizione, della costanza di certi elementi nella vita quotidiana dei bimbi! Una nota di merito va peraltro al doppiaggio italiano e all'adattamento Dynit, molto ben fatto, e no non prendo soldi dalla Dynit per incensarli a ogni recensione. Per ora. Possiamo trattare, però, eh!


LA scena.

Insomma, lo ritengo un must, e non solo per gli amanti di anime. Un film stupendo che gestisce in maniera superba un vasto spettro di situazioni, umori ed emozioni, e lascia dentro qualcosa di umano e sovrumano al tempo stesso. Il senso della forza di un singolo e della forza di una colletività solidale, il senso della difficoltà dell'amore, il senso delle strade strane che può prendere "lo strano percorso di ognuno di noi". "Che neanche un grande libro un grande film potrebbero descrivere mai", cantava Pezzali, ma questo film forse ci va abbastanza vicino.


All'epoca dell'uscita del film, molti paragonavano Hosoda a Miyazaki (come poi fu fatto con Shinkai per Your Name, ma tant'è), ma credo fosse un paragone forzato, perché i due hanno sempre fatto cose molto diverse, nonostante la loro comune abilità di creare opere di vasta presa ma permeate di una affascinante stratificazione di temi. La mia impressione, del tutto personale, è che Wolf Children sia un pochino più "adulto" rispetto alla favola miyazakiana media, nel senso che i suoi temi centrali necessitano una prospettiva sulla vita che credo un bambino o un pre-adolescente non abbiano, ma potrei sbagliarmi. Inoltre... mi rendo conto che sto per fare una dichiarazione impegnativa, di quelle da cui non si torna indietro, però... mi è piaciuto di più di qualunque film di Miyazaki io abbia visto finora. Ecco, l'ho detto.

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