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7 nov 2019

[Recensione/Rant] Joker - Una proposta di analisi di classe

Andiamo a comandare

Lo ammetto: non sono un fan del mondo dei supereroi. Non amo come la continuity di questi macrouniversi continui a venire riscritta e rebootata al punto che nessuno dei personaggi ha davvero un'identità e una storia definite; non amo l'uso eccessivo di universi alternativi e resurrezioni e intrighi spaziotempodimensionali; non amo il tipo di supereroe che, forte di superpoteri spesso acquisiti per nascita o per fortuna o tramite a portafogli senza fondo, si erge solo apparentemente al di sopra della legge, punendo la criminalità comune o supercattivi senza mai mettere in discussione lo status quo dietro ad essi (vedi Tony Stark, che essendo mercante d'armi dovrebbe essere il primo ad essere steso da un supereroe-vigilante); è un mondo che ho sempre faticato a prendere sul serio.

Eppure, mantengo una certa simpatia verso alcuni di questi franchise. Uno è Spiderman. Un altro è The Punisher, anti-eroe violento e pragmatico che a mio avviso meglio incarna il tipo di psicopatia e di metodi che realisticamente userebbe uno che voglia ergersi a vigilante anticrimine. Poi c'è PK, perché OVVIAMENTE. Infine, Batman.

Con Batman però il mio rapporto è strano. Ne ho visti i film, sia la serie animata classica che quella ambientata nel futuro, ho giocato a quasi tutti gli (eccellenti) giochi della serie Arkham, è il lore che conosco meglio. Io però detesto Batman. Detesto la sua falsa moralità, con cui adotta metodi da polizia segreta nascondendosi dietro il "non uccidere mai nessuno" (in una città talmente lurida, corrotta e irredimibile che, se davvero vuoi salvare la vita alle persone Joker dovresti strozzarlo alla prima bomba). Lo considero un sociopatico che agisce esclusivamente per placare il suo trauma personale, e infatti ignora i crimini dei colletti bianchi o della polizia corrotta o dell'imprenditoria spregiudicata (di cui del resto fa parte), di fatto diventando un'incarnazione della power fantasy della borghesia americana benpensante, un Cavaliere dello Status Quo. Ma adoro i suoi nemici, e adoro la dinamica fra lui e il Joker che, soprattutto nelle incarnazioni di Hamill e Ledger, ne evidenzia e ridicolizza l'ipocrisia e lo costringe continuamente a mettersi in discussione.


Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga, e rider vuole qua.
E se Arlecchin t'invola Colombina,
ridi, Pagliaccio... e ognun applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto;
in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor...
Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto!
Ridi del duol che t'avvelena il cor!

Ecco, Joker è il film che guarda a Gotham e alla famiglia Wayne dalla stessa prospettiva mia. Non è un film per puristi, perché si distacca moltissimo dalla tradizione dell'universo Batman; ma come dicevo, nel mondo dei supereroi parlare di continuity e fedeltà all'originale (quale delle settemilaquattrocentosessantanove incarnazioni delle stesse storie? Ah, pardon, intanto che scrivevo sono diventate settemilaquattrocentosettanta) è come parlare di verginità nella carriera di una pornostar specializzata in gangbang sadomaso.

E in questo senso, prendendolo cioè come film a sé stante, l'ho trovato sorprendentemente intenso e stimolante. Ritrae con maestria la discesa di un uomo nella pazzìa, man mano che i suoi punti fissi, le sue reti di supporto, le sue speranze lo tradiscono e gli cadono intorno una ad una. Arthur Fleck (questo il nome qui dato al futuro Joker, magistralmente interpretato da un Joaquin Phoenix colossale) non è un uomo inerentemente malvagio: è piagato da un disturbo mentale che gli causa improvvisi e incontrollabili attacchi di riso, e da una storia di povertà, isolamento e abuso che lo rendono instabile e socialmente inetto, ed è per questo emarginato, manipolato e bistrattato tanto dalle persone vicine a lui quanto, in generale, dalla società.

Impiegato come clown sotto agenzia, sogna di diventare un comico da stand-up (la madre, come giustificazione per la sua risata isterica, gli diceva che era destinato a portare gioia nel mondo), ma dopo una serie di aggressioni e delusioni trova l'ilarità che ha sempre voluto ispirare nel caos e nella vendetta.

Ma, ovviamente, c'è di più, o non ne starei parlando in un articolo con questo sottotitolo. Sotto questo studio psicologico intimamente personale, si muovono correnti tematiche che aspirano a dire qualcosa di più.

Da qui in avanti, SUPER MEGA SPOILERS

La trama nasce nel contesto di una Gotham lurida (significativa la metropolitana, piena di graffiti e illuminata da lampade difettose e sfarfallanti), povera, ineguale a un livello che sembrerebbe quasi parodistico se non fosse perfettamente rappresentativa di molte città americane, sconvolta da scontri sociali, scioperi, delinquenza giovanile, tagli alla sanità e ai servizi sociali (un clima che rimanda al periodo Reagan). Questo contesto è presentato solo con accenni e spunti, e non è né motore né movente della trasformazione del protagonista; ne è, piuttosto, sfondo e concausa, nel senso che Fleck ne è influenzato e coinvolto come il resto della cittadinanza: quando il comune chiude il centro di supporto psicologico, Arthur perde non solo la sua unica valvola di sfogo ma anche la sua unica possibilità di accesso agli psicofarmaci che lo aiutavano a mantenere una stabilità.

Queste sottocorrenti si muovono con dinamiche sorprendentemente realistiche. L'esempio principe si svolge quando i tre impiegati di Thomas Wayne vengono uccisi in metropolitana, e la classe borghese e i suoi media reagiscono subito in modo vittimistico: li definiscono innocenti, bravi ragazzi gentili ed educati barbaramente uccisi da un pazzo assassino (mentre noi spettatori sappiamo che in realtà essi avevano molestato una ragazza su quello stesso treno e si erano accaniti su Arthur pestandolo senza alcun motivo); cercano di dare un colore politico a un fatto di criminalità comune (che, peraltro, un buon avvocato sarebbe facilmente riuscito a far derubricare a legittima difesa) per mettere in cattiva luce le proteste del proletariato urbano, cercano arbitrariamente di fondere quegli omicidi con l'ondata di odio di classe che sta percorrendo Gotham. Il commento sulla vicenda del ricchissimo industriale (e candidato sindaco) Thomas Wayne, in particolare, equipara l'omicida a tutti quei poveri che provano risentimento verso i super-ricchi, e li definisce "clown invidiosi della gente che nella vita ha prodotto qualcosa".

Insomma: nel momento in cui la vittima di uno delle decine di omicidi che certamente si verificano continuamente a Gotham è un uomo in giacca e cravatta proveniente dall'ambiente della borsa, l'apparato dello status quo se ne sente minacciato e reagisce ridicolizzando e paternalizzando intere fasce della popolazione. Questa reazione classista, più del fatto di cronaca in sé, genera la rabbia, la rivolta, l'identificazione popolare con la figura del clown.

"Se al posto loro ci fossi stato io, morto sul marciapiede, mi avreste camminato sopra."

Un discorso simile si ha quando i manifestanti aggrediscono due poliziotti in metropolitana, e i media raccontano con dovizia di moraleggiamenti l'accaduto dimenticando sistematicamente di divulgare come fossero stati proprio i due poliziotti i primi ad estrarre la pistola in una carrozza affollata e ad aprire il fuoco su un civile (nemmeno una parola, una sola parola, sul manifestante ucciso).

Ancora più tagliente si fa la sottotrama di Murray Franklin, comico e presentatore di uno dei tanti, insipidi late show tutti uguali di cui la la classe media liberal-progressista ama riempirsi petto e narici. Murray, inizialmente, è l'idolo comico di Arthur, che immagina in lui un surrogato di figura paterna; ma quando durante il suo primo, fallimentare spettacolo Arthur ha un attacco di riso, Murray, professionista di lunga fama e riconosciuto talento che siede da anni su un potentissimo scranno mediatico, non ci pensa due volte a pubblicarne il video e a insultarlo, a mettere in ridicolo davanti a milioni di persone non un potente, come sarebbe il ruolo di un satiro, ma un comico dilettante e malato di mente alla sua primissima esibizione in un piccolo bar dei bassifondi. Quasi come alcune personalità facebookiane moderne, com'è che si chiamano? Mister Disintegrare? Borioni? Non ricordo...

Di fronte a tutto questo, i gesti eclatanti di un uomo matto e disperato, che più di ogni altra cosa cerca aiuto e calore umano, che si impegnava con tutte le sue forze nel cercare la realizzazione tanto promessa dal sogno americano, assumono ai nostri occhi di pubblico il carattere del "you get what you fucking deserve"; e agli occhi di una massa (quella dei "clown" di Gotham) composta in chissà quanta parte da persone in condizioni simili alle sue, gesti che tutto hanno di personale e nulla hanno di politico assumono un carattere rivoluzionario. Solo in seguito il protagonista, nella sua nuova persona che abbraccia il disturbo mentale e la maschera da pagliaccio, trova (o forse solo immagina?) il riconoscimento e l'ammirazione che ha sempre cercato. 

In questo contesto, i genitori del piccolo Bruce Wayne sono cortigiani aristocratici che cadono, innocenti ma solo fino a un certo punto, sotto la ghigliottina cieca della rabbia robespierriana, mentre il futuro Batman, in una sequenza che sembra un diretto omaggio al film di Tim Burton, figlio dello status quo, beneficiante dello status quo, trova la scintilla che lo porterà ad ergersi a salvaguardia restauratrice dello status quo.

A questo link un interessantissimo articolo di leftvoice.org

Joker non giustifica né incoraggia la violenza di piazza. Il fatto che certi critici e certi incravattati abbiano voluto interpretarlo in questo modo dice moltissimo, e mi ricordano un po' proprio un Thomas Wayne che invece di dire "clown invidiosi" dice "incels, racists and angry white men". Però, spinge a vedere il mondo attraverso gli occhi di un reietto fra i reietti, invece che attraverso quelli di un supereroe. Una volta depositato il crudo orrore dell'atto violento, lascia quel retrogusto agrodolce, quel sapore particolare che prova chi, pur contrariamente alla propria stessa morale e alle regole sociali che sente di voler difendere, si sorprende a pensare che, forse, sotto sotto, almeno un pochino, "they got what they fucking deserved".

Ma non è nemmeno un film rivoluzionario, che invita all'azione di massa tramite una sistematica critica anticapitalista o che suggerisca una randomica rivolta furibonda come soluzione giusta e praticabile. Il fatto che Todd Philips insista così tanto sul fatto che non tutto ciò che vediamo possa essere reale 1 sembra quasi un modo per distanziarsi, per nascondere qualunque possibilità di presa di posizione politica dietro un gigantesco disclaimer paraculo. Joker è una storia innanzitutto personale e psicologica in cui lo sfondo, il filone narrativo secondario di satira del mondo neoliberista, assume semmai un carattere di avvertimento. La Storia ci insegna che, quando le tensioni sociali montano e la massa non-possidente acquisisce la netta sensazione di non avere alcuna prospettiva di futuro, basta una scintilla, un fatto di cronaca, un incidente, un leader-per-caso particolarmente sociopatico, un "che mangino brioche", un "siete ancora oggi come sempre dei poveri comunisti", perché inizino a cadere teste; e la situazione attuale, soprattutto negli USA, non è poi molto diversa da quella di Gotham. 

Quindi forse dovrebbero essere grati che la protesta, nei Paesi occidentali, si sia concretizzata solo in voti a forze finto-sovraniste che hanno a malapena incasinato un po' il debito pubblico, invece che nell'erezione di ghigliottine nelle piazze.

1 Todd Philips ama giocare sulle ambiguità del film, sullo status di unreliable narrator del protagonista e sulla tradizione del Joker come un personaggio che ama reinventarsi la propria storia ogni volta che la racconta, per lasciare aperta la possibilità che non tutto ciò che vediamo nel film sia successo veramente (forse Arthur Fleck si è inventato tutto mentre si trova nell'ospedale psichiatrico, o magari è stato ispiratore di o ispirato a il Joker "vero" mentre lui è solo un cittadino qualsiasi che mai avrà a che fare col Batman).

Ma io scelgo di ignorare e non dare alcuna importanza a questo aspetto. Per tre motivi: in primis, perché l'idea che sia "tutto un sogno" renderebbe l'intero film completamente inutile; in secundis, perché i messaggi e i temi che rendono l'opera interessante sono nella storia che vediamo, che questa si svolga o meno interamente nella testa del suo protagonista è del tutto irrilevante a questo fine; in tertiis perché, come già ebbi modo di scrivere in un'altra occasione, ritengo che un'eccessiva ambiguità e un'eccessiva libertà di interpretazione di un'opera d'arte facciano sì che essa acquisti un senso solo nella testa del fruitore, e quindi non ne abbia alcuno di per sé (ovvero che sia un'opera, appunto, insignificante)

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