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4 feb 2022

[Recensione] Blade Runner 2049 - L'alienazione umana in una società onnimercificata

Blade Runner 2049, 2017

In quest'epoca in cui Hollywood ha apparentemente dimenticato come si hanno idee originali, e quindi per far cassa non riesce a trovare altro che resumare cadaveri di franchise degli anni '80, tirando fuori sequel\reboot che si rivelano invariabilmente o insultanti (Ghostbusters, Charlie's Angels), o divertenti ma insulsi (Jurassic World), oppure semplicemente robaccia confusa e senza identità (Star Wars VII-VIII-IX), Blade Runner 2049 svetta scintillante come un faro nella notte.

Ben lontano dall'essere un film perfetto, è però tutto ciò che un buon sequel deve essere. Riprende i temi dell'originale, espandendoli e aggiornandoli quel tanto che basta a renderli ancora rilevanti. Rispetta l'estetica e l'atmosfera del mondo, e lo proietta in avanti esplorandone altri aspetti. Riutilizza personaggi e ambienti dell'originale in maniera funzionale alla nuova trama, senza snaturarli né fargli togliere spazio a quelli nuovi. 

Realizzato con una cinematografia semplicemente stellare e una colonna sonora bizzarra che si adatta perfettamente a continuare il filone delle musiche dell'83 senza banalmente adagiarvisi (Hans Zimmer <3) , pecca di una trama un po' inconsistente e semplicistica, che si prende tutto il tempo necessario a creare l'atmosfera ma non cura altrettanto i propri sviluppi, e che alla fine della fiera lascia la sensazione di non essere davvero andata a parare da nessuna parte. Anche le scene d'azione sono alquanto mediocri, soprattutto alla fine: né abbastanza gritty e realistiche, né abbastanza eccitanti. Ma mai, nemmeno per un secondo, ho perso l'interesse che mi ha incollato allo schermo, né mi sono sentito insultato o manipolato, nè ho smesso di sentirmi immerso in quell'universo.

Ho apprezzato particolarmente il modo in cui vengono accennati svariati temi.

IL GIALLO! (cit.)
 

Innanzitutto, il multisfaccettato orrore di quel mondo: cambiamenti climatici devastanti (a due passi da Los Angeles c'è una barriera che blocca il mare!), dipendenza dalla tecnologia (un EMP ha cancellato tutti gli archivi elettronici), mercificazione di ogni centimetro cubo di spazio vitale e di ogni possibile tipo di figura femminile, uso di replicanti come forza lavoro bistrattata, sovraurbanizzazione, povertà diffusa, lavoro minorile (atto, peraltro, a estrarre nichel dai rifiuti, altro tema caldo!). 

Ma soprattutto, il fatto che gli umani abbiano aspetto e comportamenti in realtà molto meno umani rispetto ai replicanti e persino alle IA. Il che si inserisce nel più ampio tema della sempre minor divisione fra l'umano e l'artificiale, qui separati solo da un "muro" puramente percepito che tiene su una parvenza di ordine sociale altrimenti destinato a collassare, se mai dovesse crollare; ovvero, se i replicanti (quelli che fanno "i lavori che gli umani non vogliono più fare") mai si ribellassero. O, come viene effettivamente trattato nel film, se emergesse che anche i replicanti hanno la capacità di procreare autonomamente. Persino su Deckard rimane la storica ambiguità se sia umano o replicante. 

Da più parti, leggo che la critica si è soffermata molto sulla questione del (mal)trattamento delle minoranze, ma... se devo essere sincero, è tipo l'unico tema che mi pare invece del tutto assente. Un po' la stessa cosa che è stata fatta in Deus Ex: Mankind Divided e in Detroit: Become Human, in cui temi estremamente pertinenti al mondo reale come la meccanizzazione del lavoro, la disuguaglianza economica, lo strapotere delle corporation, la trans-umanità ecc. vengono messi in bella vista solo per essere totalmente ignorati in favore di una goffa metafora sul razzismo, rappresentata non attraverso il pregiudizio insensato o lo sfruttamento verso categorie realmente esistenti, ma attraverso quello (perfettamente sensato, in-universe) verso esseri artificiali o addirittura semplicemente "potenziati".Anzi, vedo una società multiculturale in cui un Blade Runner americano può parlare in inglese e usare un computer che parla in giapponese e chiacchierare con un tizio africano o una tizia messicana che parlano la loro lingua natale senza alcun problema, e in cui non sembrano esserci tracce esplicite di razzismo o omofobia. 

 

Che bella la vita nel meraviglioso mondo di quelli che non capiscono un cazzo.
 

Poi leggo che qualcuno su Vice e altrove ne ha parlato accusandone la rappresentazione delle donne, perché quasi tutte le donne o muoiono o sono in qualche modo oggetti sessuali, in funzione di una sorta di pandering agli uomini etero, ma critiche del genere (per questo film, s'intende) stanno nel campo dell'analfabetismo funzionale e dell'ignoranza di qualsivoglia minima capacità di lettura del linguaggio artistico, quindi possono tranquillamente essere ignorate. E derise. E fotografate a eterna memoria del cringe. Prima di chiamare uno psicologo perché chiaramente 'sta gente non sta bene.

No, piuttosto io ci vedo una rappresentazione estrema dell'alienazione umana in una società ultra-mercificata. Rappresentazioni quasi pornografiche abbondano nella pubblicità, donne olografiche o replicanti offerte come oggetti, mentre i poveri strisciano in suburbi luridi odiando un replicante che, in quegli stessi suburbi luridi, almeno ci ha un appartamentino (la cara vecchia lotta degli ultimi contro i penultimi, invece che contro i Wallace del mondo). Un appartamentino in cui vive da solo, con un simulacro di relazione matrimoniale progettato per dire al maritino frasi da mogliettina anni '50 e per preparare pasti abbelliti con proiezioni olografiche che gli mascherino, almeno agli occhi, la sbobba insapore che sta in realtà mangiando. 

E qui è dove veniamo all'elemento secondo me più significativo. La scena in cui l'IA assolda una prostituta su cui "sovrapporsi" per permettere al protagonista di far sesso con lei è secondo me il punto più alto del film, concettualmente, tecnicamente e tematicamente.

 

Fin dal suo nome, "Joi". Si tratta probabilmente di una coincidenza, ma è lo stesso nome di un bizzarro genere pornografico che già si inserisce in questo tema, essendo incentrato, in un certo senso, non sulla masturbazione su una fantasia, ma sulla fantasia dell'onanismo stesso; non un simulacro che fa desiderare il reale, ma un simulacro autoreferenziale che rimanda al simulacro stesso. L'alienazione dell'uomo-lavoratore e la mercificazione e "virtualizzazione" dei rapporti umani sono arrivati a un livello tale, che una persona come il protagonista ha in un ologramma commerciale il proprio unico e più profondo rapporto umano, al punto che, non potendola toccare per ovvie ragioni, mercifica ulteriormente una donna vera (OK è una replicante anche lei, ma abbiamo capito che in questo universo la cosa non conta) per usarla come involucro carnoso di un oggetto intangibile.

 

Il Reale, l'umano, è usato come attrezzo intermediario per accedere al virtuale, al simulacro; la carne è usata come onahole per accoppiarsi con una fantasia. Tutto questo, però, in un contesto in cui la cosa appare pure come una relazione sincera e credibile, in cui questo amore fra due creature artificiali (un replicante e una IA) si fa percepire come più disinteressato e più tenero di qualunque relazione si veda fra due esseri umani.

Di nuovo: il virtuale, l'artificiale, è più "vero" del reale e del naturale. Ecco, credo che anche al netto dell'aspetto sessuale\pornografico, questo sia uno dei temi più attuali e pregnanti del film. Baudrillard e Slavoj Žižek ci andrebbero a nozze.

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