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11 feb 2022

[Essay] "Libertà di" o "libertà da"? - La libertà non esiste senza ideologia

Forse non tutti sanno che, quando si compone una canzone, la lingua in cui è scritto il testo influisce su come si strutturano le melodie. Questo perché ogni lingua ha una propria accentazione, che dev'essere compatibile con l'accentazione delle linee melodiche del brano in questione: ovvero, in teoria, non deve cadere l'accento linguistico su un tempo debole, su una nota corta o su una nota di passaggio. Ecco perché gli accenti di Max Pezzali suonano spesso così strani (penso al "stan quasi chiudendo" de Gli Anni), ecco perché il giapponese è così straordinariamente flessibile (non avendo un vero e proprio accento e avendo sillabe quasi esclusivamente di tipo CV), ed ecco perché chi scrive musica rock/metal o comunque di generi tipicamente anglofoni in italiano è spesso costretto a usare una quantità abnorme di parole tronche o monosillabe (o comunque con una coda post-tonica molto debole).

Porca troia, Turilli.

Una conseguenza di questo fatto è che, negli anni d'oro di Cristina D'Avena e Giorgio Vanni, praticamente tutti i protagonisti dei cartoni animati, dai Cavalieri dello Zodiaco a Robin Hood a Batman, combattevano con abilità e caparbietà e lealtà nell'immensità per la libertà e la verità senza età contro la malvagità e la criminalità poltrone e sofà artigiani della qualità tatatatatatatatatà

Soprattutto una parola ritornava, "libertà", quasi come un mantra, quasi come se la rete che trasmetteva queste sigle fosse presieduta da un uomo che era anche capo di una formazione politica chiamata "Popolo della Libertà". Una forza politica che cercava disperatamente di appropriarsi dell'esclusiva su questo termine, facendone una bandiera e una parola-chiave, in maniera non dissimile da come fanno i conservatori o i libertari di destra americani; e in tutti questi casi, la manovra è abbastanza puzzolente. Non perché il concetto di "libertà" sia troppo importante e cruciale perché venga così marcatamente politicizzato, attenzione: ma perché è un concetto già di per sé così profondamente politico e ideologico, fumoso e aperto a dibattito, che ogni tentativo di legarlo ad una singola sigla o ad un singolo blocco ideologico è irrimediabilmente ridicolo.

Se io vi chiedessi in questo momento, "che cos'è la libertà?", politicamente e umanamente parlando, ognuno di voi probabilmente mi darebbe una risposta diversa. In particolare, vorrei farvi soffermare su una domanda: libertà di o libertà da? Libertà di fare e di essere, o libertà dagli ostacoli che impediscono di fare e di essere? 

Potrebbero sembrare equivalenti, i due concetti, ma in realtà lo sono solo in parte. Innanzitutto, per l'ormai ampiamente accettato concetto per cui la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri (per quanto anche questo tutt'altro che privo di spazio interpretativo); in secondo luogo, di nuovo, per la definizione che si dà al concetto; in terzo luogo, per le limitazioni poste in essere dalle leggi morali ed etiche sia sociali che personali; infine, per quale importanza si assegna ad ognuna delle attività o delle scelte o dei pericoli cui si applicano le categorie di liberi di o liberi da. Proviamo a fare un paio di esempi.

Qual è più importante: la libertà di possedere qualunque arma si desideri, o la libertà da il rischio che il compagno di banco mio o di mio figlio venga a scuola con un mitra? La libertà delle aziende di produrre e lavorare senza imposizioni, o la libertà di noi tutti da il morire a cinquant'anni perché l'aria è piena di micropolveri cancerogene e l'acqua di diserbanti velenosi? La libertà dei mercati di comprare, acquisire e fare libera attività economica, o la libertà del consumatore da i monopoli e quindi di scegliere? La libertà del mercato, o quella di ogni cittadino dalla spada di Damocle eterna di doversi procacciare monetariamente almeno la basilare necessità fisiologica dell'acqua potabile? La libertà del cittadino di vivere sapendo che in caso di malattia o incidente grave gli verranno prestate le cure necessarie alla sua sopravvivenza senza per questo finire economicamente in rovina, o quella dello stesso cittadino da le tasse necessarie per la sanità pubblica? In breve: la libertà del borghese, o quella del proletario?

Il semplice fatto che si sia deciso di garantire una determinata libertà significa che qualcun'altra, necessariamente, dovrà essere calpestata.

Facciamo un passo avanti, verso cose più comuni ed esistenziali. Sono davvero libero di scegliere il percorso di studi e la carriera lavorativa che più mi aggradano, se le condizioni del mercato del lavoro sono tali che alcuni lavori o alcune specializzazioni non possono garantirmi la sopravvivenza (perché non pagano abbastanza, o perché proprio non hanno posti di lavoro da offrire)? Insomma, è davvero del tutto appropriato parlare di libertà di scelta se gli outcome di quelle scelte sono così radicalmente diversi nell'effetto che hanno sulla vita di chi compie la scelta (e.g., essere in grado di pagare le bollette e il conto dal fruttivendolo vs. non essere in grado di pagare le bollette e il conto dal fruttivendolo)? Ha senso parlare di libertà di scelta se certe scelte sono, di fatto, solo accessibili a chi abbia un certo tipo di privilegio pregresso? Sono davvero libero di scegliere se possedere un'auto oppure no, se fra casa mia e il mio luogo di lavoro non ci sono né linee di trasporto pubblico né piste ciclabili?

Certo, mi si dirà che si è liberi da costrizioni che impediscano di fare la propria scelta, ma non si è liberi dalle conseguenze di quella scelta, ed è giustissimo. L'esempio tipico è la libertà di parola: tu puoi dire quello che vuoi e non verrai imprigionato o discriminato dallo Stato, ma la conseguenza di quello che dici può essere che vieni licenziato, o che il tuo interlocutore ti dà del coglione e magari pure pure un paio di manrovesci. Ma è proprio questo il punto: prescindendo da questi esempi, in una situazione ipotetica laddove si abbia una disparità di outcome fra due scelte tale che si possa ragionevolmente definire uno di questi oggettivamente preferibile rispetto all'altro, per cui di conseguenza si possa ragionevolmente dire che una scelta è giusta e l'altra è sbagliata, ha ancora senso parlare di libertà di scelta? Ad esempio... la libertà mia di andare al lavoro senza essere contagiato da un virus prevenibile ma potenzialmente letale, o la libertà del Generale Pappalardo dal doversi mettere un pezzo di stoffa davanti a bocca e naso?

Libertà è anche libertà di far danni?

E un ricatto, invece? Anche lì siamo liberi di scegliere? Se io punto una pistola a un'altra persona e le dico "scegli liberamente: puoi darmi il tuo portafogli, oppure non darmelo. Però se non me lo dai ti faccio saltare le rotule" questa persona non è davvero libera di scegliere, no? Ovvio, in questo esempio lo stesso porre la scelta in questi termini è illegale, come è illegale il caso Weinstein in cui la minaccia sia "vieni a letto con me o non lavorerai mai più nel vasto settore dell'industria sotto il mio controllo" (chissà come vedrebbe questa cosa un ancap?), ma in tutta sincerità non trovo che altre situazioni siano poi così diverse, concettualmente e filosoficamente parlando. Scegli: o rinunci a iscriverti al sindacato e a fare attività sindacale, o ti licenzio proprio nel momento in cui devi rinnovare un contratto d'affitto che richiede tu abbia un lavoro stabile. No ma sei libero, eh!

Pensiamo al mondo dei videogiochi, in cui il concetto di esclusività presenta un perfetto esempio di trade-off fra la libertà dei produttori e quella dei consumatori. Un fan sfegatato della saga di Uncharted o di The Last of Us è davvero libero di scegliere se comprare una PS4 o una XBOne o, chessò, un computer? Le sue possibilità sono due: comprare quella specifica console, con quel specifico controller, quello specifico sistema operativo, quello specifico contratto di user agreement, quello specifico servizio online, insomma quel singolo, specifico e immodificaibile pacchetto… oppure non giocare a quel gioco. Non posso giocare all'edizione giapponese di Gears of War, su una Playstation europea, con il controller dell'Xbox, tramite il servizio online e i server di Steam, comprandomi poi i DLC dallo store europeo. Insomma: non sono davvero libero di scegliere, perché la libertà del mercato di farsi il proprio sistema di licenze regionali e sistemi chiusi me lo impedisce. Sono, al massimo, libero di non comprare. Garantire quella libertà a me significherebbe togliere la libertà complementare ad altri.

Libertà non significa nulla senza l'ideologia che la definisca.

La definizione di libertà è diversa per le condizioni oggettive di ognuno di noi, e ognuno di noi sogna e immagina una libertà diversa. Per un anarco-capitalista la libertà potrebbe essere quella di acquistare i servizi di una prostituta minorenne, se questa acconsente liberamente, o di usare dei piccoli ordigni nucleari a scopo ricreativo in una zona deserta; per un socialdemocratico potrebbe essere quella di non essere costretti a prostituirsi per pagarsi da mangiare, o quella di farsi una scampagnata dove diamine vuole senza essere contaminato da radiazioni.

Il problema è che non esiste un sistema politico e socioeconomico tale da accontentare entrambi, né tantomeno tutte le variegate visioni che esistono nel mondo. Intendiamoci: nulla di quello che sto dicendo è anche solo lontanamente nuovo o rivoluzionario. I concetti di "libertà positiva" e "libertà negativa" vengono discussi nella filosofia politica da almeno un secolo, di più se vogliamo rintracciare le origini della distinzione già in Kant e Rousseau, secondo definizioni e giudizi diversi a seconda del pensatore. Ma proprio per questo motivo è, per me, ancora più odioso il fatto che questo concetto non sia passato nella consapevolezza politica né della popolazione né tantomeno della classe dirigente, e che quella parola venga continuamente tirata per la giacchetta da questo o quel gruppo ideologico, e messa in mostra come se fosse un qualcosa di plastico ed immutabile. Perciò io, in questo articolo, voglio essere assolutamente radicale nel ri-affermare la centralità dell'ideologia, della dialettica, della determinazione storica, degli interessi sociali, rispetto a quelli che vengono indebitamente spacciati come valori assoluti.

Perciò lo affermo con la massima chiarezza di cui sono capace: qualche libertà, in una certa misura, dovrà sempre e necessariamente essere calpestata, precisamente per il fatto che si sceglie di garantirne un'altra. In altre parole: il fatto stesso di garantire una certa libertà implica, necessariamente ed inevitabilmente, il calpestarne un'altra.

Quello di libertà, senza ulteriori definizioni o qualificatori, è un concetto vuoto, insignificante (nel senso letterale di che non significa nulla), e qualunque definizione non potrà che essere inestricabilmente dipendente dall'impianto ideologico, politico, storico e filosofico che la sussume. Quindi forse dovremmo smettere di evocare questo termine come un totem semi-divino ed auto-esplicativo, e tornare invece a parlare chiaramente e apertamente di ideologie. 

Perché la libertà senza un'ideologia che la definisca, semplicemente, non esiste.

Perché la libertà è una chimera. Una tendenza. Un trade-off continuo. Una coperta corta. Un infinito irraggiungibile verso cui tendere infinitamente. Un'avventura che non finisce mai. E la vivrai con ogni Pokémon che acchiapperai.

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