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9 mar 2020

[Rant] Corona non perdona - Le lezioni che questa epidemia può insegnarci

In un modo o nell'altro, prima o poi, la tempesta del Coronavirus passerà. Quando succederà, mi piacerebbe che diventasse il catalizzatore per imporci un paio di riflessioni valide anche in periodi "non-emergenziali".

LEZIONE N°1:

Se vai a lavorare (o obblighi a lavorare) con 38 di febbre, non sei un eroe: sei un cretino.

Un cretino e un irresponsabile, che mette a repentaglio la propria salute e quella altrui. Questo, sia chiaro, non solo "ai tempi del Coronavirus", ma anche col più banale dei raffreddori stagionali: perché andando in ufficio si rischiano peggioramenti o ricadute, e si rischia di contagiare colleghi che potrebbero avere, fra i parenti o gli amici, persone anziane o immunodepresse. E uno Stato che non consente a tutti i lavoratori (TUTTI, autonomi compresi) il diritto alla malattia, espone quelli meno agiati ad un ricatto che costituisce un minaccia attiva alla salute pubblica.

Sarà capitato a tutti di sentir qualcuno dire "io sono andato a lavorare anche con 38 di febbre!", o "io da incinta ho lavorato fino al giorno prima del parto e il giorno dopo ero già alla scrivania!" o cose del genere, come se fossero atti eroice di cui vantarsi. Tant'è che poi parte quasi la gara, no?
-"Io una volta sono andato a lavorare con 39 di febbre!"
-"Io con 40!"
-"Io con la polmonite!"
-"Io col vaiolo!"
-"Io con la lebbra!"
-"Io un mattino ho avuto un infarto in catena di montaggio ma ho stretto i denti e resistito fino a fine turno, poi prima di andare dal dottore sono ancora passato in banca e dall'assicurazione!"
-"Eeeeh, quante storie, io sono morto due anni fa eppure ogni mattina mi alzo dalla tomba e vengo a lavorare!"

Ecco, vorrei che la storia della diffusione del Covid-19, soprattutto nel suo focolaio iniziale in Lombardia, diventasse l'esempio per capire quanto questa mentalità sia pericolosa, per sé stessi e per gli altri.


LEZIONE N°2:

L'importanza di una sanità pubblica ed efficace.

Laddove "efficace", per un "sistema di sicurezza", significa innanzitutto ridondante, ben equipaggiata, capillare sul territorio, dotata di tutto il personale necessario e poi ancora un po' di più ché non si sa mai. Di fronte alle grandi emergenze (che sono, per definizione, impossibili da programmare) è la sanità pubblica (o convenzionata) ad assorbire l'impatto; non certo quella privata, che mossa inevitabilmente da logiche di profitto e di efficientamento dei costi ha tutto l'interesse a non attuare (e a non essere equipaggiata per attuare) misure capillari di cura, contenimento, isolamento.

Sono felice di notare che molti commentatori e molte testate giornalistiche sembrano aver recepito e rilanciato questa lezione. Ma da questa, ne consegue un'altra: che tutti i politici e le istituzioni che negli ultimi anni hanno eseguito più di 37 miliardi di tagli al SSN, che sbandierano l'importanza di "tagliare gli sprechi della sanità pubblica", che parlano di esternalizzazioni, aziendalizzazioni, finanziamenti alla sanità privata; da Berlusconi (quindi la destra) a Monti (quindi la destra) al triplete Letta-Renzi-Gentiloni (quindi la destra), dai governatori Zaia, Toti e Fontana (quindi la destra) a Bonaccini (quindi la destra), vanno chiamati col loro nome. Un nome che il mio avvocato mi sconsiglia di riportare qui.

Ma dopo averli chiamati col loro nome, bisogna agire di conseguenza. Questa gente non deve più vedere un voto nemmeno dai suoi parenti.

LEZIONE N°3

L'irresponsabilità del giornalismo.
 
Quanto hanno calcato la mano su 'sta nuova epidemia finché era solo in Cina? Quanto hanno alimentato l'allarmismo, con servizi continui e dirette e bollettini di contagio? Quanti  abbiamo visto titolare con OMMIODDIO TRE CASI A VERGATE SUL MEMBRO QUARANTENA IMMAGINI DI AMBULANZE NIINOOO NIINOOOO PANICOPAPANICOPAPANICOEPAURA, per poi aprire l'articolo e scoprire che erano magari casi sospetti, di persone presentatesi volontariamente per il test, a cui poi sono risultate negative?

Poi abbiamo visto le stesse testate, le stesse firme, meravigliarsi per la psicosi, per le piazze vuote, per gli assalti ai supermercati; fare appelli all'equilibrio dopo aver visto i danni economici che la situazione stava creando. Poi, abbiamo visto pubblicare notizie discordanti e non verificate, voci discordanti e poi smentite su ceppi italici pre-cinesi o manager lombardi di ritorno dalla Cina; lo stesso virus presentato nelle ore pari come la nuova peste bubbonica e nelle ore dispari come poco più di un'influenza. Fino all'estremo della sera del 7 marzo, in cui svariati giornali online hanno titolato con informazioni parziali trapelate da bozze in corso d'opera di decreti governativi. Come potrebbe questa micidiale combinazione non generare confusione, rabbia, sfiducia, impulsività e panico in una popolazione già preda di una paura tutto sommato naturale?

Ecco. Possiamo parlare, se non di fake news e di sciacallaggio, quantomeno di irresponsabilità, o sono termini che valgono solo se si contano musse sui personaggi politici che stanno simpatici a quel particolare giornale?

LEZIONE N°4

Il parassitismo del capitalismo non si ferma davanti a niente.

Nemmeno di fronte ad un pericolo di epidemia tanto i giganti dell'e-commerce quanto piccoli commercianti si sono trattenuti dallo speculare sui prezzi di amuchina, mascherine e altri beni sanitari, aumentandone i prezzi a dismisura. Il tutto mentre ospedali e personale sanitario ne sono drammaticamente a corto, peraltro. E non parliamo della borsa e della fuga dei capitali, ché lì davvero mi viene la bava alla bocca.

Ora, credo che nessuno, a parte qualche ultraliberale coi poster di Margareth Thatcher in camera, difenda manovre di questo tipo, e appunto in Italia non sono mancate denunce e azioni giudiziarie per contrastarle, quindi penso di poter dire che questa lezione è stata assimilata ben prima che io o chiunque altro la facessimo notare. Vorrei però porre l'accento su un aspetto che sta un passettino più in là: manovre come questa non sono colpa di qualcuno che è brutto e cattivo, non sono problemi morali individuali, ma sistemici, intrinsechi già solo nella legge della domanda e dell'offerta che sta al cuore del capitalismo come metodo di produzione e distribuzione dei beni.

Comportamenti di questo tipo sono non solo permessi, non solo incoraggiati, ma premiati nell'economia capitalista competitiva, e chi non li attua rimane indietro, pone in svantaggio la propria attività (e, di conseguenza, la propria sopravvivenza e quella di eventuali famigliari, impiegati ecc.).


LEZIONE N°5

L'estrema fragilità della nostra società economica globalizzata. 

Da che esiste la civiltà umana, l'interculturalità e lo scambio fra popoli sono stati una costante e un catalizzatore di sviluppo ed evoluzione. Persino i comunisti non criticano la globalizzazione in quanto tale, ma le "regole del gioco" che la muovono e gli interessi di chi la dirige (che oggi come oggi la rendono l'equivalente dell'aprire i recinti per far pascolare pecore e galline nello stesso campo dove vagano faine, volpi, leoni, velociraptor, sciami di Zerg, e i predatori più spietati e sanguinari di tutti: gli speculatori di borsa). No, il problema non è l'interconnessione di per sé, ma l'interdipendenza, e la sua inafferrabile velocità.

Prima ancora che, in appena due mesi e con pochissimi gradi di separazione, un solo centro di diffusione generesse focolai secondari a migliaia di chilometri di distanza solo tramite viaggiatori umani (il focolaio lombardo è emblematico in questo senso), le misure prese dal governo cinese avevano provocato conseguenze economiche concretissime in tutto il mondo, perché aziende americane ed europee di automobili, elettronica ecc. si sono improvvisamente trovate con i fornitori fermi. Questo prima ancora che si palesasse tutto il tragico domino su turismo, ristorazione, compagnie aeree, assicurazioni, musei, teatri, spettacolo, cultura, mercati finanziari ecc. ecc. che sta mettendo in ginocchio Italia e altri Stati europei. Economie in cui migliaia di persone, dipendenti e autonomi, vivono in zone a rischio e hanno contatti a rischio ma letteralmente non si possono permettere di non andare a lavorare.

Il nostro sistema economico è imperniato sul libero mercato globale di merci e capitali, così radicalmente ostile a regolamentazione e pianificazione, impostato sulla dislocazione e la frammentazione della produzione in base alle convenienze contingenti, improntato alla logica just-in-time, alla velocità di distribuzione e alla continua ricerca di novità (di modo che i concetti di progettare per la longevità e di fare scorta per le emergenze sono venuti a sparire), in cui la maggior parte delle persone e delle attività si barcamena costantemente sul ciglio della bancarotta senza la stabilità economica per sostenere l'impatto di un'emergenza imprevedibile. È una costruzione certamente colossale, ma che si regge su sottili fondamenta di cartone, tali che un minimo tremore provoca conseguenze devastanti, un solo bullone saltato crolli diffusi. 

Tutto questo a causa di una malattia certo grave e pericolosa, ma non catastrofica, incomparabile per mortalità e virulenza alle grandi epidemie del passato (peste, colera, vaiolo?) o alle rischiate epidemie del recente (ebola?). Se comparissero patogeni peggiori, magari quei microorganismi antichi che pare si libereranno dallo scioglimento dei ghiacci, cosa succederebbe? Come potremmo sperare di tenerci in piedi?

Forse dovremmo ricominciare a pianificare per le emergenze. Anzi: a pianificare, punto. Tenere scorte, favorire l'autoproduzione di alcune risorse alimentari dovunque possibile, costituire filiere corte e locali ovunque possibili, garantire reti di sicurezza sociali diffuse, ecc. ecc.


LEZIONE N°6

Siamo soli.

When shit hits the fan, in tutte le grandi istituzioni internazionali che tanto abbiamo glorificato (UE, NATO, ONU), regna un solo imperativo: "si salvi chi può". Se non fossero bastate le lezioni del genocidio in Ruanda, dei conflitti arabo-israeliani, dell'invasione turca della Siria, dell'attentato terroristico compiuto dagli Stati Uniti contro l'Iran ecc., ecco quella del Coronavirus.

Appena abbiamo iniziato a sembrare gli appestati d'Europa, una nazione dopo l'altra ha chiuso gli accessi a cittadini italiani, bloccato le esportazioni di materiale medico, posto limiti ai prodotti italiani, solo divisione e dinieghi. Abbiamo Stati che nascondono i dati del contagio per non danneggiare l'economia, o che limitano i tamponi per limitare i casi confermati, o che soppesano se privilegiare le borse o il contenimento. Tutto quello che possiamo sperare dall'UE è di elemosinare qualche miliardino di "flessibilità" rispetto al feticismo dei parametri e dei bilanci per le "spese d'emergenza". Paradossalmente, l'unica cooperazione concreta è giunta dalla Cina (!!!) e, nei confronti di quest'ultima, da Cuba.

Mettiamocelo in testa: non esiste solidarietà internazionale all'interno delle istituzioni borghesi, o meglio, esiste solo finché può essere fatta coincidere col profitto.


LEZIONE N°7

Il telelavoro esiste.

Dato che con la paura del virus abbiamo scoperto che in molti settori è possibile lavorare tranquillamente da casa, chissà, magari ce ne ricorderemo anche quando la paura sarà passata, e ci renderemo conto che (per auto-citarmi) «farsi 20km ogni giorno per lavorare su un foglio Excel è un insulto all'intelligenza umana». A quel punto i vantaggi dello smart working saranno "solo" correlati a minore inquinamento, maggiore produttività, riduzione di traffico stradale e relativi incidenti, riduzione dello stress ecc.

LEZIONE N°8

Non siamo pronti. Leggetelo come se ve lo dicesse Illidan Stormrage: You are not prepared.

Come evidenziato in un brillante monologo di Maurizio Crozza, questa è la prima volta dopo decenni che capita un evento di questa portata a una nazione sviluppata del Primo Mondo, e tanto fra i governanti quanto fra la popolazione è emerso quanto siamo impreparati ad affrontarla, anche a livello mentale e individuale, drogati come siamo di fatturato, di individualismo, di vite viziate e iperattive.

Gli stessi italiani che avevano avuto un rigurgito di sinofobia alla vista di un paio d'occhi vagamente a mandorla, che alle prime avvisaglie avevano svaligiato i supermercati, oggi, col contagio galoppante sotto casa, si sforzano di eludere quarantene e controlli.... per andare a sciare. Ignorano le disperate richieste del personale sanitario di evitare assembramenti e stare in casa... per apericena scaccia-paura o per andare a vedere Elettra fuckin' Lamborghini o per la solita, insulsa gitarella del weekend in Riviera M'OU BELIN 'STI FORESTI MANGIANÊGIA COSSE GH'AN DA VEGNÎ A SANNA O L'È FINN-A MARSO. Talvolta condendole pure con retoriche cringe tipo "Milano non si ferma" o "In un mondo che ci vuole chiusi in casa, uscire è un atto rivoluzionario".

Se la Cina ha saputo reagire con manovre decise, che sono state lodate anche dall'OMS per la loro efficacia nel contenere il virus (anche grazie una sanità statale e a imprese statali), e il suo popolo ha saputo recepirle ed applicarle, noialtri Paesi "liberi" e "civilizzati" e "democratici" abbiamo dimostrato di non avere nemmeno la mentalità e la coscienza sociale per sacrificare temporaneamente le nostre comodità, le nostre routine, alle indicazioni delle autorità volte a salvaguardare la salute pubblica (se siano misure efficaci, necessarie e/o sufficienti è un altro discorso); non abbiamo la lucidità di renderci conto del peso potenziale che ognuno di noi ha nella collettività; né esponenti del nostro giornalismo e del nostro potere esecutivo hanno avuto il senso di responsabilità di non diffondere notizie su bozze in fieri di decreti governativi prima che venissero ufficializzate e messe a punto, scatenando panico e reazioni incontrollate che rischiano di vanificare due settimane di sforzi.

Per citare un meme che va molto di moda ultimamente (un meme originato dalla destra americana, non vogliatemene): non siamo un clown, siamo l'intero circo.

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