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9 ott 2018

[Commenti/About me] La danza della luna immobile

Edizioni A & B, 2011

La danza della luna immobile è il primo romanzo di Emanuele Ciccarella, docente di lingua e letteratura giapponesi all'Università di Torino, già saggista e traduttore e, più modestamente, relatore della mia tesi di laurea. Se sapesse che dopo i 30L e il 110L che mi ha fatto avere faccio il bidello mi crocifiggerebbe. がっかりさせてしまいました、先生。

Lo si può classificare come un Bildungsroman (o un Künstlerroman?), dalle evidentissime influenze mishimiane (in particolare La foresta in fiore, da cui viene ripresa la presenza tematica del mare, e Confessioni di una maschera, da cui viene ripreso il tema della distruzione della bellezza) e, oserei dire, wildiane. 

La storia è incentrata sulla figura di Zenon, la cui vita viene seguita letteralmente dalla nascita. Dal rapporto con la famiglia alla sua vita da direttore d'orchestra, passando per gli anni universitari all'Istituto d'Arte di Napoli, le conoscenze di numerosi docenti e intellettuali, e una breve ma molto significativa permanenza a Tōkyō, Zenon si troverà a cercare di far convivere il mondo onirico e introverso della sua spiritualità con quello volgare e spesso mediocre della materialità. 

Nel personaggio di Zenon ci sono molti aspetti certamente autobiografici: Napoli, la passione per la musica classica e l'alta letteratura, la chitarra, il Giappone, e chissà quanti altri che non conosciamo. Ma il romanzo, di per sé, ha tutt'altre mire. Dovessi identificarne un tema centrale, lo individuerei proprio in questa sorta di dualismo conflittuale fra spirito e materia: arte vs. quotidianità, conoscenza vs. vanità, idealizzazione (da parte di Zenon) del mondo accademico-musicale vs. realtà, astrattezza vs. concretezza, il cui rapporto spesso incoerente e imprevedibile è messo in evidenza dalla miriade di personaggi e di esperienze che costellano la vita del protagonista.

Alcuni di questi personaggi si fanno per lo più "simboli" di uno o dell'altro aspetto: ad esempio, un professore dal carattere difficile che tutti reputano un massimo esperto ma che in realtà non sa leggere una nota, secondo cui la musica è fondamentalmente pura materia («La vita è concretezza»); oppure, un giovane intellettuale un po' Oscar Wilde e un po' De Andrè, dal ricercato estetismo e dall'ostentata critica alla mondanità "borghese" e alle costrizioni teoriche («E chi ti ha detto che la devi studiare?... la devi suonare. Questi musicisti, tutti uguali, per loro la musica è sempre un lavoro»). 

I più, però, costituiscono un incontro-scontro dei due aspetti, in un modo o nell'altro: ad esempio, un funzionario d'ufficio che si scopre essere uomo di cultura artistica straordinaria, portata e trasmessa costantemente con ammirevole e sincera umiltà, ma che per questo vede i suoi risultati "rubati" e pubblicati da altri che se ne prendono i meriti; oppure dei colleghi musicisti di grande talento che si lasciano andare a serate di trasgressione sessuale estrema. 

L'eccellente saggio biografico su Mishima scritto da Ciccarella
A questo proposito, proprio il tema della sessualità gioca un ruolo cruciale nella costruzione di questo dualismo. Trovo particolarmente interessante quanto significativamente cambi il tono delle (sorprendentemente numerose!) scene di sesso nel libro: delicata, romantica e ricca di analogie ricercate quella vissuta da Zenon "all'interno" delle sue categorie idealistiche; più voyeuristica, distante e pornografica quella che "rompe" queste sue categorie (e che costituisce una mezza citazione a Il tempio dell'alba, eh?, vecchio Cicca, lei mi ha insegnato troppo bene perché io non me ne accorga!); imprevedibili e squallide quelle nella seconda metà del romanzo. 
L'ultima, in particolare, si colloca con la sua grottesca volgarità a profanare un luogo storico, un luogo di bellezza che Zenon considerava quasi "sacro", e insieme all'evento tragico che la precede è il momento definitivo in cui la sua sensibilità sbatte la faccia sulla realtà nei suoi aspetti più insensati e mediocri, è la definitiva "profanazione" e "dominazione" (parole scelte non a caso, if you know what I mean) della materialità sulla spiritualità.

Questo mi conduce a parlare della qualità della scrittura. Lo stile descrittivo di Ciccarella è indubbiamente molto raffinato, ricco di immagini poetiche, termini ricercati fra i campi semantici artistici e musicali, e arditi accostamenti; talvolta di difficile lettura e a tratti manieristico, ma nei suoi momenti più alti assolutamente degno delle sue ispirazioni mishimiane e kawabatiane. L'ho trovato però molto freddo, intento a trasmettere più la propria elevatezza che le emozioni dei personaggi e delle situazioni; questa però potrebbe essere una scelta stilistica deliberata, atta a lasciare un po' di "headroom" per permettere al lettore di identificarsi (almeno in parte) in Zenon e di riempire quello spazio con le proprie emozioni. 

Ad esempio, nella mia testa Zenon passa molte scene a nascondere dietro sorrisi di circostanza pensieri quali "MA PORCO IL DEMONIO MA COSA CAZZO TI ACCENDI LA SIGARETTA IN UNA STANZA CHIUSA CON ALTRA GENTE MA CHE RITARDO MENTALE HAI PORCODDUE SE NON RESISTI TRENTA SECONDI SENZA FUMARE VATTI A FAR CURARE MA NON IMPESTAREMI I POLMONI MANNAGGIA AL TUO ALITO CHE SA DI CIMITERO". Almeno, così è come reagirei io in molte scene, ecco.
L'abbondanza di citazioni e riferimenti colti (autori, pittori rinascimentali e moderni, compositori minori del barocco e del Novecento, che la maggior parte dei lettori difficilmente riuscirà a cogliere ogni volta; me compreso, ovviamente) sembra talvolta sottendere il desiderio di autoreferenzialità, di crogiolarsi nella propria cultura, ma in un contesto narrativo in cui si muovono principalmente degli intellettuali, in fondo, ha assolutamente senso (oltre ad essere tematicamente significativo, in modo quasi meta-letterario). E poi Ciccarella se lo può permettere.



Per quanto mi riguarda... comprai questo romanzo quand'era appena uscito, da giovane virgulto dell'ambiente universitario torinese desideroso di conoscere e di ergersi alto nel mondo colto della yamatologia letteraria; prima, cioè, che la disorganizzazione dell'università, alcune delusioni personali, la dispersione improduttiva dei miei molteplici interessi, la debilitante presenza della mia insicurezza, insomma prima che la realtà facesse rattrappire i miei sogni di allora in una pigrizia provinciale e in un ostentato rifiuto del mondo capitalista-borghese; uno stato che pur giustifico intellettualmente, in parte con il pessimismo esistenziale e in parte col mio sempre più accentuato marxismo. Potete quindi immaginare quanto sia riuscito a trovare qualcosa di mio nei temi di questo libro, quanto con cui identificarmi in Zenon e in altri personaggi, e quanto su cui riflettere e su cui confrontarmi. 

Io mi sono rifugiato in un lavoro umile ma tranquillo, dal quale perseguire con calma i miei programmi, i miei interessi, la mia ricerca culturale (personale: checché ne direbbe il sensei, non accetto la separazione categorica fra opere colte e opere basse, quantomeno non su basi che non siano strettamente contenutistiche e case-by-case); il tutto però senza rinunciare ai miei ideali intransigenti, senza abbandonare del tutto quei sogni irrealizzabili che mi vorrebbero contemporaneamente musicista, traduttore, linguista, videogiocatore e possessore di un'immensa collezione di action figure giapponesi. 

Insomma, non ho ancora avuto quell'epifania onirica con cui Zenon, nell'ultimo capitolo del libro, trova la propria sintesi a questo dualismo. 

Mi vanto della mia tesi etnomusicologica e dei tempi dispari nelle mie composizioni più ricercate, ma non conosco il circolo delle quinte; mi vanto della mia ecletticità, facendo finta di non vedere quanto sia mediocre e derivativo tutto ciò che faccio; faccio il grezzone capellone che impreca in valbormidese, mentre filosofeggio e studio il dialetto cairese in termini di trascrizioni IPA di "t' reshteisi sec"; mi atteggio a intellettuale, mentre passo delle mezz'ore a guardare YouTube Poop canticchiando le canzoncine di K-On!; mi vanto di questo libro con queste analisi oblunghe, ma ho finito di leggerlo sette anni dopo averlo comprato. 

Ah già, il libro. 

Sì boh è parecchio bello, ricco di bei spunti di riflessione, un po' difficile e decisamente non per tutti ma è roba buona. Pur essendo ambientato in un mondo "elevato" con cui la maggior parte di noi senz'altro non può identificarsi, presenta situazioni e emozioni assolutamente universali. Leggetelo, tipo.

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