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1 mag 2019

[Rant] Il ricatto del lavoro e l'automazione che verrà

Proviamo a fare un piccolo esperimento mentale

Immaginiamo, per ipotesi, che oggi venga annunciata l'invenzione di una tecnologia di teletrasporto perfettamente sicura, efficiente e a buon mercato. Sempre per ipotesi, immaginiamo che tutti gli esperti del caso prevedano che nel giro di dieci, quindici anni al massimo questa tecnologia diventerà talmente sviluppata ed economica che tutti potranno permettersela. Infine, sempre per ipotesi, immaginiamo che l'impatto ambientale di questa tecnologia sia molto contenuto, o quantomeno tale da essere ammortizzato con profitto in pochi anni.

Ora, è facile immaginare le vaste conseguenze positive che questo potrebbe avere: le merci potrebbero essere trasportate istantaneamente, senza farle degradare e senza mezzi inquinanti; gli incidenti sulle strade calerebbero drasticamente; verrebbero eliminati i tempi di spostamento casa-lavoro o casa-scuola, con conseguente aumento del tempo libero e calo dello stress (che porterebbe, a catena, ulteriori benefici sul piano della sanità); lavoratori di qualunque tipo potrebbero essere spostati ovunque per qualunque necessità senza essere costretti a viaggiare, cambiare i orari, dormire fuori casa ecc.; tutti potrebbero viaggiare di più e partecipare a qualunque evento culturale nel mondo ("amore, vado un attimo al Wacken e torno" "nessun problema, amore, io penso che andrò a vedere quella mostra a New York, ci vediamo stasera"); qualsiasi merce costerebbe meno; non sarebbe più necessario costruire strade o ferrovie o trafori o canali ecc.; amici lontani potrebbero vedersi tutti i giorni, le relazioni a distanza diventerebbero più semplici, non sarebbe necessario emigrare per trovare lavoro all'estero, eccetera eccetera. Sarebbe, insomma, una rivoluzione.

Similmente, però, ci sarebbero serissimi aspetti problematici: centinaia di milioni di persone (camionisti, albergatori, autisti, operai del settore automobilistico, postini, corrieri, ditte di import-export ecc.) si troverebbero quasi da un giorno all'altro senza lavoro, semplicemente perché il loro settore economico sparirebbe nell'obsolescenza o, quantomeno, verrebbe drammaticamente ridimensionato.




Giunti a questo punto , vi pongo una domanda: cosa sarebbe giusto fare? Gettare milioni di persone nella disoccupazione in cambio di un oggettivo aumento della qualità della vita generale, o frenare il progresso per proteggere i posti di lavoro?

Questo è quello che chiamo "ricatto del lavoro": quando la minaccia dell'essere senza lavoro, o del togliere il lavoro alle persone, o in generale della perdita di posti di lavoro, impedisce o limita uno sviluppo che, altrimenti, sarebbe oggettivamente positivo. Vale sia a livello "micro" (personale, locale) che a livello "macro" (politico, nazionale, internazionale); e lo vediamo sia nel presente che nel passato recente.

Vuoi rifiutarti di fare straordinari non segnati e non retribuiti? Va benissimo, fuori c'è la fila di persone disposte a farmi anche 12 ore per la paga di 8; anzi, quasi quasi prendo pure un immigrato irregolare, così lo pago la metà, in nero, senza che lui o i sindacati si lamentino. 
Vuoi studiare qualcosa che ti piace, che ti appassiona, che umanamente desideri conoscere? Eh ma poi non ti assume nessuno, non serve a niente nel mercato del lavoro
Vogliamo smettere di vendere le bombe prodotte in Sardegna all'Arabia Saudita, che poi le usa per uccidere civili innocenti nello Yemen? Eh ma lo sviluppo della zona, l'indotto, i posti di lavoro
Vogliamo, a Torino, migliorare il trasporto pubblico locale e incentivare la ricerca sulle auto a idrogeno? Eh ma la FIAT, Mirafiori, i posti di lavoro
Vogliamo garantire la sopravvivenza del genere umano salvaguardando l'ambiente, ad esempio costringendo le aziende a puntare su fonti rinnovabili e materiali biodegradabili? Eh ma i minatori, le aziende che fanno le posate di plastica, i posti di lavoro
Vogliamo puntare a un uso più efficiente delle risorse della Terra ad esempio limitando il consumo di carne entro certi limiti? Eh ma gli allevatori, i disboscatori, i posti di lavoro
Vogliamo cercare di migliorare la vita delle persone, ad esempio, vietando a livello internazionale lo sfruttamento del lavoro al di fuori di certe condizioni, o vietando alle aziende di servirsi di simili condizioni? Eh ma la Apple, la Nike, il mercato, il prezzo salirebbe, i posti di lavoro
Vogliamo far pagare ai colossi dell'e-commerce o dell'high-tech un'aliquota fiscale adeguata alle loro dimensioni, o quantomeno paragonabile a quella pagata dai loro omologhi più piccoli? Eh ma poi se ne andrebbero, delocalizzerebbero, e i posti di lavoro
Vogliamo mettere i responsabili degli inquinamenti di Taranto davanti alla giustizia come tutte le persone normali, e costringere i nuovi gestori dell'ILVA a ridurre le emissioni? Eh ma poi salterebbe l'accordo, se ne andrebbero, chiuderebbero, i posti di lavoro, qualcuno pensi ai posti di lavoro!




Questo ricatto si fonda principalmente su tre cardini:

1) Il lavoro (inteso come vendita della propria forza-lavoro) è il solo modo per la maggior parte degli esseri umani di procacciarsi il necessario per la propria sussistenza, e gran parte dei lavori necessari all'esistenza di una società organizzata sono tutt'altro che piacevoli o remunerativi.

2) Il ruolo di fornire questo lavoro, di comprare quella forza-lavoro, è lasciato per la gran parte in mano a privati, anche per settori e asset strategici (banche, siderurgia ecc.) o a oligopolio naturale, e questo fa sì che alcuni di questi privati diventino too big to fail.

3) Il mondo in cui si muovono questi privati, il mercato, è mosso esclusivamente dalla ricerca del profitto personale; è un mondo anarchico, irrazionale, sistematicamente egoista, privo di qualunque pianificazione a lungo termine, in buona parte ostile a limiti e cambiamenti; un mondo con regole legate più a sentimenti e sensazioni (paura, fiducia, passaparola, peer pressure) che alla verofalsità di fatti concreti; eppure, proprio perché ha potere su chi detiene il ruolo di fornitore di posti di lavoro, è anche estremamente potente nel mondo reale.

E così, nel nome dei posti di lavoro, ci rendiamo complici morali della morte di innocenti sotto i bombardamenti di una dittatura teocratica; rimettiamo sempre più aspetti della sovranità politica e popolare nelle mani delle grandi aziende, o dei mercati che se no "si spaventano" e "ci puniscono". Freniamo anche solo le misure minime per non andare a morire fra cambiamenti climatici e polveri sottili, perché abbiamo paura che Giuseppe Maria Parodi, detto "Giöxe o leccardòn", ch'o g'ha anche a moggè zù a-o mercòu do-o pescio di Boccadâze, non ce n'abbia per il belino di imparare un mestiere che non sia il portuale, nemmeno se ci si mette lo Stato a riqualificarlo e rioccuparlo.




Prima ho fatto un piccolo depistaggio, ponendo quell'alternativa all'inizio. La vera domanda non è, né è mai stata, accogliere il progresso per trarne dei benefici o ostacolarlo per salvaguardare i posti di lavoro, bensì cui prodest quello specifico progresso in esame. Ogni innovazione tecnologica porta una riduzione dei tempi necessari per produrre un determinato oggetto o svolgere un determinato servizio; il tempo così guadagnato può essere usato per produrre più plusvalore, oppure può essere usato per lavorare di meno a parità di benessere. (o "a guadagnare di più a parità di lavoro svolto", potrebbe dire un qualche proponente della trickle-down economics, ma sappiamo benissimo che non funziona così).

Insomma, vi ho mentito dicendo che l'alternativa è fra quelle due opzioni, perché in realtà ce n'è una terza: adottare un nuovo sistema di rapporti economici tale da sfuggire a questa falsa dicotomia.

Cerchiamo di agire affinché, se dovesse arrivare un futuro in cui qualche genio inventerà il teletrasporto, saremo pronti a introdurlo nel mondo con sistematicità e razionalità, e ad usarlo per migliorare la vita di tutti, senza dover restare incatenati alle paure dei mercati o al ricatto di qualche colosso in via d'obsolescenza.

Anche perché, forse non avremo mai il teletrasporto, ma se sono corrette le stime che prevedono che il 47% dei posti di lavoro sparirà nei prossimi trent'anni, inghiottito dall'automazione… quel mondo è il nostro. Quel futuro, con o senza teletrasporto, è domani. E si verificherà entro le vite della maggior parte di noi. Prima che la Lega finisca di pagare le rate di quei 49 milioni, per intenderci.

Presto dovremo scegliere se "lasciar fare al mercato", anche se significherà un'ondata di disoccupazione senza precedenti con le relative e prevedibili conseguenze nefaste ("la libertà ha un prezzo", direbbe un ancap), o se intervenire finalmente a dare un indirizzo sistematico all'economia: o bloccando e impedendo le innovazioni tecnologiche che permetterebbero condizioni di vita e di lavoro migliori per tutti, oppure estendendo il welfare e riducendo l'orario di lavoro massimo per garantire la massima occupazione. In un caso, si frena il progresso per salvaguardare Giöxe o leccardòn e, soprattutto, il suo padrone; nell'altro, si prosegue la marcia verso il futuro.

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