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13 apr 2019

[Recensione\Rant] Loom, e le mie gioie da retrogamer

Ho passato due post a mugugnare sulla difficoltà dei giochi retro e su quanto io reputi arcaico un certo tipo di game design basato sul trial & error, certamente guadagnandomi lo scherno dei vecchi campioni delle sale giochi e dei pro gamer di Dark Souls, DOTA e CS:GO. Ed è giusto, ci sta. In fondo hanno ragione. Ho accettato il fatto che moltissime persone vedono il videogioco in maniera diametralmente opposta alla mia, e che alcune considerano il proprio agonismo videoludico come un'estensione della propria mascolinità.

Ma finito il coro di "Git gud" scanditi ritmicamente con ampi gesti in direzione del pacco, permettetemi di sedermi su questa comoda poltrona, di indossare il cilindro, di mettere su un vinile del Lago dei Cigni di Čajkovskij (Op. 20) e di raccontarvi, mentre sorseggio un buon Chianti, cosa intendo io con retrogaming, con "bei giochi di una volta", con nostalgia per un'epoca passata. 


Nel feudo di Skywalker Ranch, stava nascendo una corrente di game design che cercava la profondità e la memorabilità dell'esperienza videoludica non nella difficoltà e nella ripetizione, ma nei dialoghi, nell'umorismo, nei personaggi, nell'immersione, in una colonna sonora sofisticata; che credeva che un gioco dovesse essere completato, perché una storia trova davvero il suo senso solo nella propria conclusione, che quello di tutorializzare le proprie meccaniche non fosse un concetto per fighette, e che la difficoltà non dovesse passare necessariamente per la punizione.

Enter Brian Moriarty. Siamo nel 1990, anno di Super Mario World e del terzo album dei Blind Guardian. La LucasArts (allora "LucasFilm Games") aveva dato la possibilità a questo giovane game designer (già autore per la Infocom di alcune avventure testuali) di dare vita alla propria visione.

Un mondo fantasy popolato da gilde che hanno portato il proprio lavoro al livello di arte mistica. Una, in particolare, quella dei Tessitori, era giunta ad essere in grado di vedere e intessere nel ricamo della realtà stessa, intonando incantesimi musicali di quattro note. Ma la gilda, isolata da generazioni, sta iniziando a morire, mentre il Telaio e il Grande Arazzo profetizzano il prossimo arrivo di una Terza Ombra che getterà il mondo nel caos.
Una donna, Lady Cygna, usa i poteri del Grande Telaio per dar vita a un figlio, Bobbin Threadbare, e viene per questo esiliata al di là della Trama del mondo dagli anziani, troppo interessati a mantenere pedissequamente il corso degli eventi previsto dal Telaio per rendersi conto delle minacce incombenti.
Il giorno del suo diciasettesimo compleanno, Bobbin viene convocato alla presenza del consiglio. Lì, nascosto, assiste sbigottito alla punizione della sua vecchia madrina Hetchel, che gli anziani trasformano in un uovo per aver addestrato Bobbin nonostante i loro espressi divieti. Improvvisamente, un cigno sfonda la finestra della sala, e con un canto di trascendenza trasforma l'intera gilda in uno stormo dei bianchi volatili. Rimasto solo con Hetchel, Bobbin intraprende un viaggio fuori dall'isola dei tessitori, all'inseguimento dei cigni e alla scoperta del mondo, che lo porterà a entrare in eventi e macchinazioni su cui si regge il destino del creato.

Quasi tutti gli screenshot su questa pagina sono presi da Lucasdelirium, che ha scritto un eccellente articolo su Loom.
Con occhi moderni può non sembrare, ma Loom, all'epoca, fu rivoluzionario. Grazie all'uso del dithering e al duro lavoro di Mark Ferrari, che si ispirò allo stile de La bella addormentata nel bosco, mai i 16 colori EGA erano sembrati così profondi e vibranti, con animazioni così ricche e complesse (Steve Purcell fece dei miracoli, per l'epoca). Mai si era sentita una colonna sonora così elaborata (non a caso, presa di peso da Čajkovskij e arrangiata con immensa fatica per il protocollo MIDI e per schede audio che oggi, nell'epoca dell'audio lossless, sembrano quasi preistoriche).  

Loom catapultava i giocatori in un mondo veramente nuovo, e lo faceva respirare tramite ambientazioni mozzafiato e dialoghi ricchi di profondità. Dal modo in cui i personaggi delle varie gilde parlano o costruiscono i loro cimiteri, si intuiscono segni della loro visione del mondo, della loro cultura: si costruisce, cioè, un accenno di lore. Qualcosa di più di un accenno, in realtà, se consideriamo che originariamente la confezione di Loom comprendeva una musicassetta con un audio drama di mezz'ora che raccontava le basi del mondo e l'origine del protagonista. Di nuovo: nell'epoca in cui World of Warcraft o Halo o Assassin's Creed sono marchi presenti su libri, audiolibri, fumetti e film sembra un'inezia, ma allora? Allora era quanto di più ambizioso un videogioco originale avesse mai fatto in termini di narrazione.

I dialoghi sono arricchiti da frequenti primi piani, sorprendentemente dettagliati per l'epoca.

La trama (mai questo termine fu più appropriato) è semplice, di quella semplicità che sa di fiaba universale, eppure riesce a non essere mai prevedibile, soprattutto nel suo finale dolceamaro e deliziosamente mistico. Per tutto il tempo, nei panni di Bobbin Threadbare, camminiamo in cose molto più grandi di noi, vediamo le conseguenze nefaste che può avere un uso disattento del nostro potere, mentre cerchiamo di fare quel poco bene che ancora è possibile in un mondo che sembra muoversi ineluttabilmente verso un destino oscuro; destino che intuiamo (tutte le gilde sospettano gli scopi di dominio della gilda dei chierici, ma ehi, perché rifiutar loro una partita di diecimila spade, se pagano bene? Ricorda qualcosa?), ma di cui non sospettiamo la portata finché non è troppo tardi. 

Certo, i testi non sapevano ancora quanto potevano permettersi di prendersi sul serio: il continuo passaggio fra toni fantasy solenni e grandiosi (con scene di morte e distruzione, riferimenti cosmogonici e cristologici, animazioni parecchio spinte per l'epoca dei floppy disk) e toni leggeri e buffi "alla LucasArts" (con battute e situazioni anche molto divertenti) danneggia un po' l'impatto di entrambi. Similmente, nessuno dei personaggi può davvero essere detto tridimensionale e memorabile: ci ho giocato decine di volte, l'ultima nemmeno un mese fa, e comunque non mi ricordo nemmeno i nomi di quasi nessuno dei personaggi secondari. 

The Great Loom, il telaio dell'universo. In basso, la distaff su cui si eseguono le note.
L'interfaccia (assolutamente minimalista) prevede che il giocatore interagisca con gli enigmi esclusivamente tramite il bastone di Bobbin e i suoi incantesimi musicali. Quasi come nell'Ainulindalë, è la musica la forza creatrice del mondo: è necessario cercare nell'ambiente quali note determinino un certo effetto, e appuntarsele per il resto del gioco. Questi incantesimi non rappresentano tanto dei verbi, come tipico dello SCUMM System, ma dei concetti, dei motivi applicabili ad una vasta gamma di significati, che possono anche essere "cantati" al contrario per descrivere il concetto opposto. Ad esempio: se "aprire" è mi-do-mi-re, "chiudere" è re-mi-do-mi.

Peraltro, fatta eccezione per alcuni incantesimi cruciali, queste melodie cambiano casualmente ad ogni partita, quindi non è nemmeno possibile fare affidamento ad una soluzione o a una partita precedente! Per i musicisti, suggerisco di giocare direttamente a modalità Expert, in cui le note non vengono segnate graficamente sul bastone e devono quindi essere riconosciute a orecchio! Tranquilli, si sta solo sulla scala di do maggiore. Secondo me è un ottimo esercizio per allenare l'orecchio a riconoscere gli intervalli. 

Loom forse esagera nel senso opposto rispetto al design che criticavo la volta scorsa: è davvero troppo lineare e troppo facile, con pochissimi enigmi di soluzione veramente immediata, al punto che nemmeno sfrutta appieno l'immensa gamma di possibilità presentate dalla propria premessa e dal proprio sistema. Ma, come dico sempre: un gioco troppo facile può essere completato e può avere la possibilità di essere apprezzato nei suoi pregi nonostante quel difetto, un gioco troppo difficile semplicemente viene abbandonato.

A dirla tutta, per quanto io lo ami, credo che lo metterei a malapena in un'ipotetica Top 5 fra i soli classici punta-e-clicca Lucas Arts.

Forse anche per questa eccessiva semplicità non ha avuto il successo sperato, sia in termini di critica che di vendite, in un'era ancora dominata da adventure game notoriamente spietati. I due seguiti che Moriarty aveva immaginato non furono mai prodotti, lasciandoci con una storia incompleta, sfilacciata; un po' come il Grande Arazzo nella sala dei tessitori anziani. Eppure, anche grazie a questo, Loom è qualcosa che né Metroid, né Super Mario World, né Fortnite o Dark Souls possono (più) dire di essere: unico. Veramente, meravigliosamente unico

Nei cimiteri, il tessuto che divide il mondo dall'aldilà è più sottile.

Fu rilasciato in tre versioni diverse: quella classica a 16 colori, considerata da Moriarty l'unica degna; quella "talkie" su CD-ROM, a 256 colori e interamente doppiata, ma con molte scene accorciate drasticamente per questioni di spazio, e per questo considerata da Moriarty e da molti fan (me compreso) come un orrore abominevole; e la versione FM-Towns, a 256 colori ma coi contenuti integrali, considerata da molti fan come la migliore ma purtroppo quasi introvabile. Ahimé, l'unica versione acquistabile su Steam e persino su GOG è l'orrore abominevole, ma niente vi impedisce di comprarla a dovere e poi di esplorare le infinite vie dell'internet. Non fu mai tradotto in italiano, ma anni addietro il valoroso team di IAGTG ne ha messo appunto una traduzione amatoriale, scaricabile come patch a questo link.








Come postilla, concedetemi un momento per prendermi una piccola soddisfazione. Oggi, sempre più videogiochi fanno dell'immersione e dell'empatia coi personaggi la propria bandiera; sono nati addirittura estremi come Gone Home o Journey, che sacrificano interamente la sfida nel nome della ludonarrativa; persino Call of Duty o God of War o Gears of War sentono la necessità di sviluppare un setting e una trama originali, anzi, persino titoli dallo spirito "retro" come Dark Souls fanno in realtà di ambientazione e lore il proprio vero punto di forza; nessuno si sognerebbe più di fare un gioco con l'intenzione che non possa essere battuto se non da pochissimi; lo spirito della ripetizione agonistica e della difficoltà come valore assoluto rimane, e ha un ruolo di primo piano nel mercato, ma è relegato per la maggior parte al multiplayer, o allo smartphone, o al completismo di chi vuole una sfida ulteriore alla semplice. 

Quindi scusate, puristi degli arcade e gitguddari vari… ma la Storia, alla fine, ha dato ragione a Moriarty. E a me.



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