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17 feb 2017

[Recensione] Journey Collector's Edition



La Journey Collector’s Edition raccoglie i tre pluripremiati titoli della thatgamecompany, disponibile su PS3 e PS4. Sono tre titoli molto diversi, ma uniti da un comune intento sperimentale e minimalista.

flOw


flOw nasce come master thesis dell'autore Xinghan "Jenova" Chen sulla teoria psicologica del flusso applicata al videogioco, e dopo un discreto successo ottenuto come flash game viene portato espanso e migliorato su PS3. Il giocatore controlla una di cinque diverse creature sottomarine costituite di figure geometriche, facendole nuotare alla ricerca di cibo per aumentare i propri segmenti e diventare più grandi. Praticamente è la versione artsy e non frustrante di Snake, il giochino dei vecchi Nokia, avete presente?

È un gioco molto difficile da descrivere, perché penso lo si possa definire come qualcosa di molto particolare, e perché il suo concetto di base è tanto semplice quanto, a primo impatto, bizzarro. Eppure, devo dire che funziona molto meglio di quanto mi aspettassi. Navigare fra vari "strati" di vita sottomarina, vedendo la propria creatura diventare più grande e maestosa nutrendosi delle creaturine che vi si muovono, e usare le sue abilità speciali per combattere altre creature mangiandole a propria volta, è sorprendentemente coinvolgente, ed è facile trovarsi immersi nel flusso, appunto, del gioco. Il tutto senza mai risultare frustrante (la punizione per il fallimento è quasi nulla), e senza obbligare il giocatore a un unico stile di gioco (è possibile vincere senza mangiare niente, o senza attaccare altre creature, ad esempio). Il sound design (firmato Austin Wintory) merita una particolare nota di merito: un tappeto costante di tastiere dall'effetto "new age" fornisce la tonalità, lo "scheletro" sonoro, sopra al quale si inseriscono tutti gli altri suoni. Movimenti, ferite, mangiare, il cibo appena ingerito che scorre lungo il corpo ecc. sono accompagnati da note musicali, dando l'impressione che il gioco intero sia uno strumento musicale suonato dal giocatore con le sue azioni. L'aspetto delle creature, poi, è semplice ma d'impatto, e il vederle crescere e diventare più grandi e più belle man mano che si nutrono riesce ad essere una soddisfazione più che sufficiente per continuare a giocare. Indubbiamente non è adatto a tutti, ma mi sento di consigliare di provare questo gioco semplice, minimalista, rilassante, e portatore di un'esperienza quasi mistica, anche a chi dalla sola descrizione non ne sia attratto; io stesso ero molto dubbioso, anzi ero convinto che l'avrei odiato, eppure mi sono dovuto ricredere. 

Posso solo far notare quanto sia una genialata rendere anche i crediti giocabili, con ogni nome rappresentato da un altro punto da mangiare?

Ha però a mio avviso un grosso difetto: per quale gran diavolo di motivo devo controllare le creature con il sixaxis invece che con gli analogici come tutte le persone normali? A parte che è scomodo e che mi sento un cretino, ma dopo un po' fanno male i polsi porc...

Flower


Secondo gioco di thatgamecompany, Flower può essere descritto come una versione più grande e più ambiziosa di flOw. Il concetto di gameplay di base è molto simile: il giocatore controlla il vento, che soffiando fa sbocciare i fiori che tocca risvegliando la natura intorno ad essi e si arricchisce di petali, creando una catena sempre più lunga e colorata. In questo caso, però, l'obiettivo non è semplicemente "mangiare" i fiori, ma completare un viaggio all'interno di livelli splendidamente elaborati e bucolici, ricchi di erba e colline e bellissimi giochi di luce. Ognuno è presentato come una sorta di "sogno" vissuto da alcuni fiori posti su un davanzale in una grande città, e tutti insieme strutturano una sorta di percorso che parte da verdi colline e, attraversando oscure foreste di tralicci dell'alta tensione, arriva alla città.

Se ci sia o meno un messaggio ecologista di fondo è discutibile, ma credo che lo scopo principale del gioco sia semplicemente quello di immergere il giocatore in un'esperienza rilassante e libera, che sembra voler stimolare la catarsi non attraverso l’azione o la sfida ma attraverso il “crescendo” di bello estetico della natura, mettendolo in contrasto con il grigiore della città. Perché a livello di gameplay non c'è davvero niente: nessuna vera sfida a parte quella per i completisti come me (segreti da scovare, sezioni da superare in un certo modo ecc.), nessun game over, nessuna meccanica oltre a muovere il vento sugli oggetti (purtroppo sempre col sixaxis MA PERCHÉ PORCO GIUDA), quindi tutto l'impatto emotivo che Flower cerca di avere sta nella sua atmosfera e nel suo ambiente. E se questi ultimi funzionano discretamente bene (anche grazie alla colonna sonora), ho trovato il gioco nel suo complesso abbastanza insipido. Indubbiamente piacevole, se non altro per il suo carattere sperimentale, ma trovo che il concetto di base sia semplicemente insufficiente a reggere in piedi il gioco da solo. Ecco, credo che il modo più stringato di descriverlo sia questo: esecuzione competente ed efficace di un'idea che però non è che fosse tutto 'sto granché. Interessante e meritevole d'attenzione nel contesto di questa collection, della storia di thatgamecompany, e della storia del videogioco, ma come titolo stand-alone sinceramente non credo che lo consiglierei se non a giocatori abbastanza appassionati e curiosi da voler provare nuovi modi di intendere il linguaggio videoludico.

Journey


Le console Sony sono spesso riuscite a presentare alcuni giochi che, pur prodotti da piccoli studi con budget limitati, pur ben lontani da qualunque canone AAA, pur usciti quasi in sordina, sono riusciti a scuotere i canoni del linguaggio videoludico, presentando qualcosa di minimalista e contemplativo che riusciva a coinvolgere in un'esperienza emotiva profonda e senza precedenti. Sulla PlayStation 2 avevamo Ico e Shadow of the Colossus. Sulla Playstation 3, abbiamo Journey.

Il concept è, ancora una volta, estremamente semplice: il giocatore controlla una figura completamente avvolta in un mantello, che si risveglia in un vasto deserto sabbioso. Dopo pochi passi, emerge all'orizzonte la figura di una grande montagna con la sommità divisa in due, e il viaggiatore si mette in cammino verso questa montagna. Lo scopo del gioco è esattamente quello: il viaggio verso questo obiettivo lontano, attraversando il deserto e le misteriose rovine di un'antica civiltà. Lungo la strada si incontreranno misteriose creature di stoffa e glifi che raffigurano la storia di questa civiltà, ma il focus è solo sull'esperienza del viaggio. Nonostante io lo abbia paragonato a Shadow of the Colossus, l'impatto emotivo di questo gioco è oserei dire unico, o quantomeno diverso da qualunque cosa abbia mai giocato. E questo non solo per via della bellezza dei paesaggi che si incontrano e attraversano, ma grazie alle diverse sensazioni che il gioco va a creare nei vari ambienti, tracciando un percorso misterioso, mistico, contemplativo e musicale, che sa sorprendere, stimolare, illuminare l'animo. L'interazione con l'ambiente è limitata alla ricerca di alcuni simboli luminosi (assorbire i quali creerà e allungherà una sorta di sciarpa magica sulla schiena del viaggiatore, che gli darà il potere di volare sempre più a lungo) e a una sorta di "canto" con il quale il protagonista può attivare dei drappi di stoffa e pietre magiche (allo scopo di creare ponti, aprire passaggi, farsi aiutare ad attraversare delle aree, ricaricare l'energia della sciarpa ecc.). La meta è quasi un pretesto, il viaggio è il vero scopo: senza dialoghi, senza nemici da battere, con solo alcuni ostacoli da superare e piccoli enigmi da risolvere, il giocatore è lasciato solo con un personaggio completamente vuoto in cui immedesimarsi, con la musica, e con alcuni degli ambienti più splendidi che ricordi di aver mai visto in un videogioco (le luci e la fisica della sabbia, in particolare, sono semplicemente spettacolari). 

Screenshot da thatgamecompany.com

Ho detto "solo"? Beh, non proprio, perché Journey ha anche una componente multiplayer, ed è il multiplayer più strano e affascinante che abbia mai visto. Giocando connessi online, in ogni "livello" si può incontrare un altro viaggiatore (ovvero, altri giocatori). L'interazione con essi è limitatissima: non viene visualizzato alcun nome utente, non c'è nessuna chat, si può solo "cantare" e stare vicini, ricaricando così la loro sciarpa. Ma soprattutto, è un'interazione assolutamente opzionale: si possono incrociare e poi superare andando per la propria strada, così come si può fare parte del percorso assieme e poi perdersi senza neanche rendersene conto, così come invece si può restare assieme fino alla fine. Ed è proprio questo aspetto a dare a Journey un ulteriore elemento di interesse: quel giocatore, se l'avessimo incontrato nel server di Left 4 Dead della porta accanto, magari lo avremmo trovato fastidioso, lo avremmo maledetto perché ci ruba le kill o ci impedisce di prendere questo o quel trofeo, o avrebbe detto delle cose terribili su nostra madre. Qui, però, è diverso. Immersi nella solitudine totale, quasi esistenziale, del nostro viaggio verso la montagna, ogni incontro con un altro viaggiatore sembra magico, e siamo quasi attirati a lui. Ognuno di noi è qui per il proprio viaggio, ma possiamo farlo assieme, farci compagnia mentre lo facciamo, anche se è ben poco l'aiuto che possiamo darci. È un po' il principio del camminare in montagna: in città, ogni persona è un ostacolo, un fastidio nei nostri piani, e ne incontriamo talmente tante che nemmeno ci facciamo caso, guardiamo per terra cercando di evitare qualunque contatto; quando camminiamo in montagna, però, immersi nel silenzio della natura incontaminata e nella solitudine di un mondo incomparabilmente più grande e più antico di noi, ogni trekker che incrociamo sul sentiero lo salutiamo; spinti a quel "buongiorno" e magari a quel "quanto manca al rifugio?" dalla sensazione di fratellanza che si crea naturalmente fra due persone che, da sole, marciano autonomamente verso lo stesso obbiettivo, prima ancora che dalla buona etichetta della montagna. Ecco, questo gioco è esattamente così.

Screenshot da thatgamecompany.com

La musica, di nuovo firmata da Austin Wintory, è un elemento primario in questo viaggio: un unico tema, prevalentemente portato dal violoncello e accompagnato da vari arrangiamenti sia orchestrali che elettronici, è la spina dorsale di tutti i brani, che scivolano fluidamente l'uno nell'altro in base alle azioni del giocatore e ovviamente in base agli ambienti. La sensazione è che in qualche modo la musica non sia un semplice accompagnamento agli eventi sullo schermo, ma che i due siano inseparabilmente intrecciati in una sinfonia che, pur fra movimenti sensibilmente differenti, costituisce un tutt'uno tematico declinato in modi diversi. In alcuni momenti, in particolare, alla musica si deve il 70% dell'impatto emotivo del gioco. Vi basti sapere che la mia prima reazione una volta finito il gioco è stato di volare su Bandcamp a comprare la colonna sonora, perché maledizione avevo il bisogno di averla sul computer e risentirla IMMEDIATAMENTE.

Pur senza una vera e propria storia, la successione dei vari luoghi crea una sorta di arco narrativo paragonabile alla tipica struttura a tre atti, o se vogliamo all'archetipico viaggio dell'eroe come delineato da Joseph Campbell: calma, chiamata all'avventura, crescendo, discesa, nadir, risalita, apoteosi, risoluzione. Molti hanno visto in quest'arco una metafora di qualche tipo, e a mio avviso la più solida interpretazione è quella che vuole questo viaggio come un'allegoria del viaggio della vita.
Non sono sicuro al 100% che fosse questo e solo questo il senso inteso dagli autori, ma mi piace pensare che lo sia, perché dà al gioco quella chiave di lettura in più (che a Flower per esempio mancava) che lo rende più universale.

Screenshot da thatgamecompany.com. Vorrei essere capace di prendere degli screenshot dalla PS3, davvero.

Inutile dire che è un gioco straconsigliato, a tutti, soprattutto a chi vede il medium videoludico come qualcosa di più di un arcade in cui infilare monete fino a ottenere un punteggio più alto degli altri per blagarsi con gli altri zuenotti del quartiere. Un'esperienza unica, quasi mistica, che ho cercato al meglio delle mie capacità di spiegare qui ma che, in realtà, è impossibile da descrivere: va sentita, lasciandosi andare alla solitudine del viaggio. Probabilmente non è per tutti, e me ne rendo conto, ma va comunque provato. Dategli una possibilità di sorprendervi.

Vorrei chiudere descrivendo la mia personale esperienza col multiplayer, mettendola sotto spoiler, perché è stato uno dei momenti più magici e soddisfacenti della mia "vita videoludica".

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