Argomenti

19 mag 2016

[Recensione] Painkiller




Indubbiamente, Il videogioco come medium artistico è cresciuto dai primi anni duemila in avanti, con sempre più opere sia indie che di massa che cercano di esplorare vari aspetti dell'umanità o di gestire trame sempre più ricche e complesse. Eppure, uno stile semplice e diretto come quello dei Quake e dei Serious Sam non ha ragione di morire o di estinguersi, proprio come i film d'azione non hanno avuto ragione di morire solo perché esistono Citizen Kane e Schindler's List, e Painkiller rappresenta uno degli apici di un modo di fare shooter che andrebbe, prima o poi, recuperato.

Gioco del 2004 dello studio "People Can Fly", Painkiller è uno sparatutto che si ispira all’epoca in cui le armi non avevano caricatori, la salute non si rigenerava automaticamente, un gioco non poteva dirsi completo se alla fine non dovevi uccidere o Hitler o Satana, la combo circle strafing+shotgun era la soluzione a tutti i problemi della vita, e in cui il termine “sparatutto” non era ancora stato stuprato da shooter “realistici” e “moderni” dalla morale politica discutibile incentrati principalmente su multiplayer online in cui si sfruttano errori di programmazione spacciati per l33t pr0 sk1llz. 

Painkiller sembra essere il figlio illegittimo di Doom. Deciso a dimostrarsi degno agli occhi del padre, visto che il figlio legittimo (Doom 3, uscito pochi mesi dopo) sembrava deciso a seguire piuttosto le orme di System Shock 2, Painkiller presenta un'azione frenetica ed ininterrotta, fatta di pura, catartica violenza. A essere corretti, un accenno di trama c’è: un tizio, doppiato da Cam Clarke in un periodo in cui non sapeva più recitare e in cui la sua voce assomigliava assurdamente a quella di Nolan North, muore e va in purgatorio, mentre la moglie va in paradiso; un angelo gli propone di uccidere i quattro generali dell'armata di Lucifero in cambio della redenzione e della possibilità di tornare dalla moglie, e il nostro protagonista si imbarca in un viaggio attraverso le terre dell’oltretomba eccetera eccetera. Ce ne frega il giusto: tutto quello che serve sapere è che si sterminano mostri. A CENTINAIA.

Nonostante la premessa quasi insultantemente semplice, il gioco trasuda una enorme creatività. Ogni livello è in un'ambientazione completamente diversa (rovine, manicomi abbandonati, basi militari, castelli, villaggi medievali, catacombe, persino Venezia per qualche motivo), con nemici assurdamente vari (fra cui spiccano internati che vagano con ancora l'elettroshock attaccato alla testa, e scaricatori di porto ubriachi che attaccano con sparachiodi e col proprio alito), ed entrambi sono molto ben curati. C'è molta attenzione anche nel design delle armi: si va dal Painkiller, praticamente il corrispettivo della motosega di Doom 2, a una selezione di armi che si impianta sul tipico assortimento dei giochi di questo genere ma dandogli ancora più grezzaggine, come una balestra che lancia pali delle dimensioni di un braccio che impalano i nemici contro i muri, o una chaingun-lanciarazzi. Tutto in questo gioco sa di "massacra tutto come se fossi in overdose di testosterone", compresa la colonna sonora (un heavy-speed metal generico, pieno di buoni riff anche se molto monotono... ma del resto, che altra musica vorresti mettere come sottofondo a cotanta insensata violenza a ritmo così serrato? Jazz? Orchestrale? Musica elettronica tunza e ripetitiva? Pfft, non scherziamo). 

Soddisfare alcuni "requisiti secondari" nel corso di ogni livello sblocca delle carte dei tarocchi, potenziamenti che danno boost e vantaggi di vario tipo, che diventano essenziali contro i boss. Affrontare questi ultimi richiede un po' di ragionamento e di trial-and-error, diventa essenziale non solo la scelta ma anche il tempismo d'uso dei tarocchi, ma per la maggior parte risultano fattibili senza eccessive difficoltà; tranne il quarto, che senza la carta dorata che rende invulnerabili per qualche secondo e la carta argentata che permette di utilizzare due volte le carte dorate è assolutamente invincibile, come si evince dal semplice fatto che, dopo ogni sezione, si è costretti ad una caduta che toglie metà vita, e di queste cadute ce ne sono tre. Anzi, diciamo pure che senza quella specifica combinazione di carte si tratterebbe di un boss assolutamente indecente e inaccettabile, che sarebbe ragione più che sufficiente per droppare il gioco con disgusto. In realtà, però, tutti i boss sono un po’ così: sembrano invincibili per due o tre tentativi, poi una volta scoperto il trucco per schivarne attacchi, e quindi l’azione necessaria per renderlo vulnerabile, si attivano i tarocchi al momento giusto e via di shotgun, tempo venti secondi ed è piallato. Il che mi sembra un modo lodevole ed efficace di impostare i boss di un videogioco d’azione.

Immagine da Gamefaqs.

Quello che non ha in complessità tematica o narrativa, viene compensato da stile invidiabile, sfida, e pura catarsi. Non è qualcosa che si possa sostituire o mettere a confronto con titoli più "moderni" e cinematografici, con gli open world, con i capolavori narrativi, eccetera, ma è un'alternativa che copre una nicchia che l'industria AAA non ha soddisfatto nelle ultime due generazioni di console.  

Dopo tanto tempo, mi mancava uno sparatutto vecchio stile, in cui lanciarsi a testa bassa con una motosega in mano, in cui aggrapparsi disperatamente all'ultimo HP circlestrafando attacco dopo attacco e nemico dopo nemico per trascinarsi fino all'ultimo checkpoint, mentre il bodycount raggiunge le tre cifre, mentre ogni arma è talmente possente che ad ogni colpo sembra di sfogare frustrazioni represse, senza obiettivi da completare, voci di comandanti che danno ordini, meccaniche di copertura, o alcunché di complesso dal punto di vista etico o narrativo: qui ci sei tu, qui c'è dove devi andare, qui in mezzo ci sono demoni infernali senza sentimenti e senza alcuna umanità, buona carneficina. Ogni tanto, ci vuole anche qualcosa di questo tipo; qualcosa che ricordi da cosa è nato il genere, prima che Spec Ops mi rovinasse per sempre la possibilità di godere di uno shooter militare senza sentirmi un mostro assassino. 

Unico difetto serio: si chiama Painkiller, e non ci sono i Judas Priest. Che spreco.
 

2 commenti:

  1. La recente uscita del nuovo Doom mi ha fatto pensare ai classici del genere e mi ha fatto ricordare che non ho mai giocato a Painkiller. Ho visto che ci sono più versioni e seguiti (credo) vari di questa serie, quali sono quelli che valgono la pena? Ovviamente c'è questo che hai recensito che sembra molto bello da come lo descrivi, ma ce ne sono migliori nella serie?

    Ignorerò la frecciatina alla soundtrack di Hotline Miami, ma una colonna sonora metal in un gioco che vuole emulare l'atmosfera del film Drive con il feeling da anni '80 per me non ha semplicemente senso, a prescindere dall'opinione che hai verso la musica stessa. :P Per lo stesso motivo semplicemente non riuscirei a vedere, o meglio sentire, il genere di musica di HM in un gioco come Painkiller. Cioè non è che la OST venga sviluppata separatamente dal gioco eh, è tutto un lavoro in unisono alla fine per rendere il tutto un'esperienza coerente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Essenzialmente, Painkiller è un gioco con una caterva di espansioni. Ho giocato solo al titolo "vanilla", per così dire. Nella Black Edition, che ho io, c'è inclusa l'espansione Hell&Damnation, ma non l'ho ancora giocata.

      Oh, non so cosa dirti, so di essere in minoranza qui ma la colonna sonora di Hotline Miami mi ha fatto cagare. XD Mi DISTRAEVA, mi infastidiva talmente tanto che o la mutavo o droppavo il gioco. XD Quella che ho linkato lì, poi, la trovo non solo irritante, ma semplicemente insopportabile; anche in-game, la reggo al massimo 90 secondi, poi devo mutare. Poi per carità, quella frecciatina è una battuta, non voglio dire che dovevano esserci sotto gli Arch Enemy, però PORCOGIUDAHYDROGENIOLASPQWEKLKQWERFKMIWPLM

      Elimina