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28 giu 2017

[Recensione] Red Faction

Uscito su PS2 e poco dopo su PC (oggi su Steam e GOG, in una conversione relativamente buggosa).

Dove può andare un nostalgico vecchio comunista per vivere la fantasia di un'insurrezione dei lavoratori contro un padrone e le condizioni di lavoro inumane che impone? Non sul primo Red Faction, senz'altro.

La storia di questo gioco, appunto incentrata sulla ribellione dei lavoratori di una miniera, è poco più di un pretesto, una rozza cornice: il nostro protagonista, Parker, va a lavorare su Marte alle dipendenze della potente compagnia UAC Weyland-Yutani Black Mesa Umbrella Corp. Apple Inc. Ultor, ma le condizioni sono a dir poco da incubo: turni di lavoro massacranti, guardie fin troppo solerti col manganello, lavoratori costretti a dividersi i letti, e una misteriosa malattia che sta decimando i minatori. Il sogno erotico del capitalismo, insomma. Ma, spinti dalla leader Eos, i lavoratori si stanno organizzando nella Red Faction per preparare una rivolta, che parte prematuramente dopo un piccolo incidente. Parker ne diventa l'eroico Terminator, mentre intorno a lui gli altri compagni muoiono con una facilità imbarazzante, perché era il 2001, nella difficile fase di transizione fra gli shooter classici alla Doom o Quake e quelli "tattici" o "pseudo-realistici" alla Half-Life o Call of Duty, per cui gli NPC amichevoli erano una roba ancora un po' così. Si vede, comunque, dalla qualità terrificante dei dialoghi, da quanto Parker sia obbiettivamente una testa di cazzo, e dal fatto che i vari subplot vengano tirati fuori dal nulla e messi via alla belin di cane, che la storia non è mai stata alta nella lista delle priorità degli sviluppatori. I mutanti che vengono introdotti in un singolo combattimento e poi completamente dimenticati per tutto il resto del gioco, come se la loro presenza non fosse un plot point fondamentale, e i mercenari che compaiono dal nulla e diventano inspiegabilmente il boss finale sono quasi surreali; si finisce senza avere la minima idea di quale fosse il piano di questa compagnia, che sembra essere malvagia senza nessuna ragione sensata. Uh, e le espressioni facciali ridicole e il visibile ritardo nel lip-synching sono impagabili!

Derp.

No, chiaramente il focus è sul gameplay e, in particolare, sulle destruction physics del GeoMod. E il gameplay è effettivamente solido: le armi sono molte e creative (il rail gun!), le brevi ma divertenti sezioni sui veicoli introducono quel po' di variabilità che non fa mai male, e anche se gli scontri a fuoco in sé sono molto ripetitivi la difficoltà e la quantità di armi li rendono comunque mediamente divertenti. Ci sono due sezioni di stealth, una delle quali obbligata, ed è uno stealth fatto abbastanza male e basato sul trial-and-error ma tutto sommato passabile. Meno accettabili sono le boss fight. Soprattutto la penultima, perché si tratta proprio di un errore grossolano di presentazione: dopo una lunga cutscene in cui il boss si vanta del proprio scudo ipertecnologico che blocca i proiettili del protagonista, credo non sia stato irragionevole da parte mia (come da parte, sono sicuro, di molti altri) arrivare alla conclusione che questo fosse un modo del gioco di dirmi che per abbatterlo bisognasse trovare una qualche alternativa alle armi; così ho passato una ventina di tentativi correndo per la stanza alla vana ricerca di qualche interruttore, arma non convenzionale, macchinario o punto debole, venendo miseramente e ripetutamente ucciso da questa specie di cyborg volante di Dragon Ball Z, per poi scoprire che sparando per un po' sullo scudo quello si disattiva e il tizio torna vulnerabile. Eh no, eh. Questo non è accettabile. Questo è un livello di pigrizia (o, ancora peggio, di incompetenza sul linguaggio del medium) che è al limite della deliberata presa per il culo. Cos'era, THQ, una doppia sovversione? Mi fai pensare che serva usare il cervello per poi dirmi "Ah-ha, fregato!, invece basta fare circle-strafing come negli anni '90"?

Le armi sono molto particolari, e gli scontri rimangono impegnativi fino alla fine.

Infine, il GeoMod. Ora, io non nego che vedere i razzi e le granate che lasciano buchi nella roccia sia una figata. Non nego che reagire a una porta bloccata facendo saltare il muro sia una cosa che porco giuda chiamatemi Demolition Man, com'è che non è stato mai più fatto? Ma quando su alcune superfici funziona e su altre no in modo assolutamente arbitrario, quando metà del gioco è ambientata in corridoi lineari all'interno di edifici a prova di bomba, quando le occasioni in cui questa meccanica ha un impatto sensibile se non fondamentale nel progresso del gioco sono tipo due o tre, ecco, un po' ti viene la sensazione che questo GeoMod sia una gimmick buttata lì, tanto per dire che c'è. Ma in fondo era la prima volta che veniva usato, quindi è comprensibile la scelta di implementarlo in modo limitato ma ben fatto, e quel poco che c'è è effettivamente fatto bene.

Tuttavia nel suo complesso rimane un gioco fondamentalmente insipido. Intrattiene finché dura, ma viene presto a noia e non lascia nulla quando passa. I suoi difetti lo rendono frustrante (quando non insulso), e i suoi pregi non bastano a renderlo memorabile e degno di nota se non come un punto nella storia dello sviluppo di un certo tipo di motore fisico e di un certo tipo di shooter.




PS: Uh, e a proposito di bug. Vorrei condividere una mia esperienza, giusto perché mi piace lamentarmi.

Vedete quel sottomarino? Quel sottomarino è essenziale per proseguire. A quanto leggo, è un bug comune. Per qualche motivo legato al maggiore framerate dei PC moderni, il sottomarino invece di calare nell'acqua, esplode. Con la stessa animazione di quando esplode sott'acqua, peraltro. Alla fine ho dovuto rinunciare e usare le cheat e superare la sezione seguente a nuoto. Questo è il tipo di merda che mi indispone nei confronti di un gioco, va bene?

26 giu 2017

[Musica] La ripetizione di temi musicali nei concept album: Moonrise


Vi ho lasciati nell’ultimo articolo con una lunga disamina su uno di due album che ho voluto citare ad esempio di come usare efficacemente la ripetizione di temi all’interno di un concept album per raccontare una storia senza dover fare affidamento sul solo testo.

È un fan project autoprodotto capitanato da The L-Train, con la collaborazione di altri musicisti della scena brony di YouTube: una suite symphonic metal intitolata Moonrise (disponibile su YouTube ma, seriamente, compratela su Bandcamp), incentrato su un evento mitologico nel lore di My Little Pony: Friendship is Magic. La storia parla dello scontro fra le due sorelle alicorno, le principesse Celestia e Luna, che governando rispettivamente il sole e la luna garantivano l'equilibrio e l'armonia di Equestria, finché Luna, gelosa e adirata perché il lavoro della sorella veniva goduto dai pony che invece dormivano sotto le sue stelle, cercò di spodestare Celestia e far piombare il mondo in una notte eterna, costringendo così la principessa del sole a combatterla e a confinarla per mille anni sulla luna. Questo evento viene presentato come un rapido accenno di backstory negli episodi pilota di MLP:FIM, ma qui viene sviluppato in una storia completa, in cui l’emozionante testo delle canzoni dà pathos e spazio sia alle motivazioni di Luna che al sincero senso di colpa di Celestia per non aver mai notato il dolore della sua amata sorella, che ora è costretta a imprigionare a malincuore per proteggere il proprio popolo. 


Se escludiamo il Prelude (che fa semplicemente il lavoro “classico” dell’ouverture: presenta i temi musicali principali), possiamo dire che l’album presenta una struttura paragonabile alla forma ad arco: si può notare, infatti, una progressione speculare di tipo ABCBA, come si evince sia dai titoli delle parti (Harmony, Nightfall, parte centrale durante la notte eterna, Daybreak, Harmony Restored) sia dalla trama dell’opera (armonia, rottura dell’armonia, scontro, pacificazione, ripristino dell’armonia).

La sezione A è rappresentata dal brano Harmony: un efficacissimo riff di chitarra a sette corde in drop A apre le danze a un pezzo tipicamente power metal. Sul finire del secondo ritornello, nel quale Celestia e Luna si intrecciano in un pregevole coro a due voci che canta, appunto, l’armonia originaria di Equestria, esplode il tema del sole. Il sole è alto: la melodia trasmette gioia, luce, maestosità, evoca l’immagine di Celestia che solleva l’astro e illumina il cielo.

Quindi, cala la notte, e abbiamo la sezione B: un riff di pianoforte melanconico ed evocativo (in 7/8 e 9/8, peraltro) che io ho chiamato Twilight theme introduce il soliloquio di Luna, il suo orgoglio per le bellezze della notte e il suo dolore nel vederle ignorate. La melodia del tema e della strofa richiama appunto l’atmosfera del twilight[1]. Questo dolore porta alla nascita di Nightmare Moon, espressa da un improvviso momento quasi doom metal con, appunto, il tema di Nightmare: basato su due accordi orchestrali ripetuti, il primo dei quali contenente una quinta aumentata, e su un solo power chord di chitarra (A-F-A#: tonica, quinta aumentata, nona minore; un accordo molto dissonante), contiene una melodia molto simile a una già sentita prima, una sorta di “tema della luna”, ma che allora era sembrata magica e maestosa mentre ora assume un carattere profondamente inquietante, dissonante, come se fosse distorta e corrotta.

Seguono due brani particolarmente pesanti e aggressivi che raccontano lo scontro prima “verbale” e poi “militare” fra le due sorelle, e costituiscono la parte C della suite perché, con l'eccezione di un accenno del tema di Nightmare Moon, non contengono materiale melodico già presentato prima o che verrà ripreso dopo.

Finita la battaglia dopo la lunga notte, il sole torna a sorgere, e torniamo alla sezione B. Si ripresenta su Daybreak il riff di pianoforte di Nightfall (Twilight theme), che questa volta porta al soliloquio di Celestia che, su una nuova melodia, piange la sorella. È l’alba, un nuovo twilight. Come al tramonto segue l’alba, al dolore di Luna segue il dolore di Celestia; due dolori diversi, ma gemelli, speculari, legati, e quindi introdotti dallo stesso tema. Il brano termina con l'introduzione dello splendido tema dell’armonia ripristinata: un coro in 3/4 che riporta la speranza e l’equilibrio dopo l’oscurità e il caos.

La chiusura della suite arriva, infine, introdotta dal riff di Harmony nel brano chiamato, appunto, Harmony Restored. Ora, parlare di quest’ultima parte come di una sezione A speculare alla prima è forse forzato, da parte mia, dato che il grosso della canzone è completamente diverso da Harmony e il ritornello è costituito dal tema dell’armonia ripristinata, ma al suo interno si presentano le riprese di ben tre temi che erano stati presentati all'inizio, per cui pare forte l’intenzione di farne un finale circolare. Ricompare il tema di Nightmare, che compare minaccioso in mezzo al brano ma viene chiuso da accordi staccati e secchi: Nightmare Moon è imprigionata, è ancora viva e trama vendetta, ma non può nuocere. Il narratore riprende, sul finale, la strofa di Harmony (che io ho chiamato nel video “Narrator theme”) e chiude la storia esplicitandone la morale, per poi lasciare spazio al tema del sole, che viene messo a concludere maestosamente e gioiosamente il brano e, con esso, l’album.

Proviamo a stilare una sorta di “scaletta” dei temi, ignorando le liriche e concentrandoci solo sulla struttura melodica:
  1. Armonia
  2. Luna
  3. Narrazione (c’era una volta)
  4. Sole
  5. Twilight (verso la notte)
  6. Nightmare e Luna corrotta
  7. Battaglia (con Nightmare)
  8. Twilight (verso il giorno)
  9. Armonia ripristinata
  10. Armonia
  11. Luna
  12. Armonia ripristinata
  13. Nightmare e Luna corrotta
  14. Narrazione (morale della favola)
  15. Sole
  16. Armonia ripristinata
  17. Sole
Già solo dai temi ricorrenti e dai loro titoli emerge chiaramente il percorso della trama: all’inizio, due melodie diverse sia alternano, ma a una delle due è dato molto più peso, più gloria; segue un momento di quiete misteriosa e melanconica, nel quale la melodia più nascosta si corrompe e distorce e incupisce; seguono momenti concitati e aggressivi, che si risolvono in una nuova quiete melanconica; questa si risolve in un tema nuovo, positivo e uplifting, e quindi torna nella stabilità iniziale; ci viene ricordata la presenza di quella melodia inquietante e dissonante di prima, ma stavolta viene interrotta violentemente; la suite si conclude infine su note gioiose, sullo stesso tema maestoso che tanto spazio aveva all’inizio.

Se a questa progressione uniamo il testo e il cantato, la storia viene trasmessa con un sentimento e un’intensità che non avrebbe potuto avere se le canzoni fossero state del tutto slegate melodicamente. Perché non basta un buon testo su una melodia qualsiasi, per trasmettere l’idea di un percorso, di una dinamica, di una tensione, di uno sviluppo, di una storia attraverso un’opera musicale: quando le melodie si legano a un preciso elemento emotivo, e lo richiamano ripresentandosi in momenti diversi e inseguendosi con ordini diversi, rinforzando il testo e venendone rinforzate, allora davvero si crea un vero e proprio film in musica.


[1] In inglese, la parola “twilight” deriva da *twi- (radice proto-germanica che significa due, doppio, due volte, realizzata in inglese come two o twice o twins e in tedesco come zwei o zwillinge) e –light, ovvero “due luci”, “luce doppia”: indica quindi il momento in cui la luce del sole dietro l’orizzonte e quella della luna e delle stelle si mischiano, sia nel momento immediatamente dopo il tramonto che in quello immediatamente prima dell’alba. Ha quindi una connotazione diversa dall’italiano crepuscolo, che deriva invece dal latino creper (=alquanto buio): non indica un momento del passaggio dalla luce al buio, ma un momento in cui due luci diverse si mischiano. Per questo userò il termine twilight e non l’italiano crepuscolo: perché nella progressione tematica della suite questo momento si trova non solo prima della notte, ma anche prima del mattino, ed è collegato all’alternanza fra sole e luna. C’è un motivo se la protagonista della serie, che negli episodi pilota “media” fra le sorelle e redime Nightmare Moon, si chiama Twilight Sparkle.

25 giu 2017

[Musica] La ripetizione di temi musicali nei concept album: Under the Force of Courage

Nonostante sia la mia passione più viva e che più occupa il mio tempo (fra ascolto, composizione, arrangiamento, prove, esercizio, concerti da spettatore o da esecutore, e sbavare su thomann.de), in queste pagine non ho parlato molto di musica. Forse perché fatico a parlarne in maniera sufficientemente articolata, forse perché non leggo più recensioni di album e quindi non mi viene voglia di scriverne, o forse perché semplicemente non penso che ai miei venticinque lettori interessi sentirmi parlare dei Blind Guardian come Emilio Fede parlava di Berlusconi, o sproloquiare del perché i Nine Inch Nails mi facciano cagare e perché consideri Tool e Radiohead inspiegabilmente sopravvalutati.

Ultimamente, però, ho notato che c'è un topos musicale che su di me fa particolarmente presa, e che considero molto efficace in quanto a resa emotiva: la ripetizione e ripresa di temi. Una stessa idea melodica presentata, ripresa, accennata, riproposta con variazioni di contenuto o di contesto. Nella sua forma più semplice, è il concetto alla base del ritornello o della ripresa di un riff, ma questo device è al suo apice quando i temi si trovano in momenti separati e lontani. L'ascoltatore, riconoscendo una melodia nota, la associa istintivamente ai contesti precedenti in cui l'ha sentita, ne ricorda le emozioni, e mette il tutto in relazione al momento attuale. Questo può servire a introdurre e successivamente "richiamare" una certa idea, una certa atmosfera, oppure a crearvi un contrasto, oppure a evidenziare il "viaggio" fra le ripetizioni di un tema che funge da punto di partenza e di arrivo. È un concetto ovviamente tutt'altro che esoterico, essendo alla base di qualunque colonna sonora degna di questo nome: basti pensare alla Imperial March di John Williams, indissolubilmente associata all'immagine di Darth Vader e delle Star Destroyer, e a quanto potente sia il momento in cui se ne sente un leggero accenno quando l'Anakin Skywalker dell'Episodio II stermina la tribù di Tusken, o mentre Palpatine racconta l’ormai memetica Tragedia di Darth Plagueis il Saggio. Ottimi esempi in ambito videoludico sono le colonne sonore dei Metal Gear Solid o di To the Moon, ed è anche quello che, con l'ingenuità e l’enciclopedica incompetenza di un compositore alle prime armi, tentai di fare io stesso quando, anni fa, un amico mi coinvolse nel suo Project Chronos: Episode 1. Qui vorrei però concentrarmi nell'ambito della musica "pura", quella che cioè non si appoggia a una componente estrinseca ma racconta la propria "storia" da sola. 

La ripetizione di temi distingue i concept album davvero di livello in quanto tali dalle semplici raccolte di canzoni legate da un filo lirico comune. In quest'ultima categoria rientrano album anche ottimi, come A Thousand Suns dei Linkin Park, o Earthless degli Straight to Pain (*coff coff*), o Nightfall in Middle-Earth dei Blind Guardian (che considero uno dei punti più alti mai raggiunti dalla musica metal), ma privi di un elemento musicale che li faccia percepire come un tutt'uno coeso, un qualcosa di più della sola somma delle loro canzoni. Per la prima categoria potrei invece citare capolavori come The Wall dei Pink Floyd o Storia di un impiegato di Fabrizio De André, ma vorrei invece sviscerare due album meno noti e più recenti che reputo perfetti esempi del discorso che sto facendo.

Il primo è Under the Force of Courage (iTunes, CDJapan), del gruppo progressive-power metal Galneryus. La storia è una sorta di epica incentrata su uno schiavo che, quando due grandi nazioni si dichiarano guerra, viene costretto a prendere in mano le armi e lanciato sul campo insieme ad altri coscritti come lui, dove combatterà con vigore mosso non dal patriottismo ma dal desiderio di proteggere la propria famiglia presa in ostaggio.


L'album si apre con due tracce che costituiscono una sorta di ouverture: dopo un arpeggio dal mood introspettivo, un assolo armonizzato di chitarre pulite conduce fluidamente alla splendida melodia che funge da main theme dell'album, quello che nel video ho chiamato Pray to the Sky theme. Lo scoppio della guerra è presentato da un riff in 5/4 quasi marziale che crea tensione, la arricchisce con sincopi e accenti inaspettati, e la fa esplodere nella traccia più progressive dell'album, alla fine della quale un' improvvisa apertura ripropone il tema Pray to the Sky, accompagnato da una linea di basso semplicemente adorabile. Un momento  che seriamente, se sentendo la traccia completa non vi venite nelle mutande non avete un'anima. Vorrei attirare l'attenzione in particolare sulla cadenza finale di questo tema, perché si ripresenterà più volte. Ad esempio, il ritornello della canzone successiva, Raise My Sword, già presenta la stessa cadenza finale, com'è evidente soprattutto in chiusura dell'ultimo ritornello, dove viene ripetuta qualche volta di più. In sé è diversa rispetto al tema suonato dalla chitarra nella traccia precedente, ma ne è chiaramente derivata, e sarà questa cadenza a ritornare più spesso nel corso dell'album. Infatti è la stessa che chiude il ritornello di Chain of Distress e di Under the Force of Courage.

La sesta traccia, Reward for Betrayal, si apre con lo stesso riff in 5/4 di The Time Before the Dawn, solo traslato su una tonalità più alta, di nuovo a creare una forte tensione in un momento chiave della storia per poi farla esplodere repentinamente. Nella traccia successiva, Soul of the Field, il tema principale fa di nuovo la sua comparsa all'apice di una lunga sezione di assoli, armonizzato fra chitarra e tastiera su un tappeto di doppio pedale. Nonostante la melodia sia la stessa, l'armonizzazione una terza sotto, l'arrangiamento, e il contesto in cui si trova le fanno trasmettere una sensazione radicalmente diversa: è un momento epico e concitato, ma con un tocco di tragedia. Non serve neanche leggere il testo o la storyline per capire che questo è il momento focale della storia. Sa un po', se vogliamo riferirci alla tipica struttura narrativa in tre atti, di "fine del secondo atto", cioè il momento di conflitto che termina su una situazione critica. In effetti, la tracklist stessa sul retro dell’album è divisa in tre “movimenti”.

Il terzo atto può dirsi costituito da Chain of Distress, un lento di cui ho già parlato, e dalla meravigliosa, straordinaria suite di metal neoclassico Under the Force of Courage. Quest'ultima inizia con un'intro orchestrale che, al suo apice, ricorda vagamente il ritornello di Raise My Sword, compresa la sua cadenza finale, che costituisce, come già detto, anche la chiusura di ogni ritornello di questo brano (anche liricamente, le parole "raise my sword" compaiono più volte; questi due pezzi son il punto di partenza e d'arrivo dell'album, e quindi vengono legati melodicamente e liricamente). Il Praise to the Sky theme entra in scena a sorpresa dopo uno dei bridge, e per la prima volta è presentato anche vocalmente in un canto corale che interviene come un ampio rilascio di tensione dopo un momento di build-up. Evoca il momento in cui sorge la speranza nel bel mezzo del terzo atto: la battaglia volge verso il positivo, la ribellione del protagonista e dei suoi seguaci è pronta a compiersi. Ma il cantante solista ancora non si sente in questo coro, ancora viene trattenuto. La suite si conclude con una serie di tre diverse code corali. La prima (che contiene anche la chiusura terzinata già comparsa in The Voice of Grievous Cry) continua il ritmo del ritornello, e quindi mantiene alta la tensione con un ostinato tappeto di doppio pedale. La seconda rallenta il ritmo, con una melodia e un testo che trasmettono decisione e speranza, ma il ruolo di rilascio della tensione è affidato solo alla terza coda, che esplode ripresentando, per l'ultima volta, il Pray to the Sky theme; questa volta cantato, con un testo, anche dal lead vocalist. 

Il ritmo aperto, il coro, e il modo in cui viene introdotto rendono questo punto l'apice dell'album e della storia: è il finale, il momento in cui tutto viene a compimento, è la speranza e la positività alla fine del terzo atto. La melodia che è stata ammantata prima di malinconia e poi di tragicità è ora la celebrazione per la vittoria imminente. Se in questo stesso momento, con questo stesso feel, avessero messo un'altra melodia, anche migliore, non avrebbe avuto lo stesso effetto, perché il senso di risoluzione è dato anche dal fatto che l'ascoltatore la riconosce come tema portante non solo di questa canzone ma dell'album intero, e capisce che è qui per tirare e chiudere tutte le fila di un'opera. Opera che così riesce a essere percepita non solo come una collezione di brani, ma, anche musicalmente, come un tutt'uno indiviso.

Del secondo album parlerò in un articolo successivo, che pubblicherò a breve, perché ho già sbavato senza ritegno scritto abbastanza.

19 giu 2017

[Recensione] Your Name.



君の名は。
Kimi no na wa. (in italiano importato con il titolo inglese, "Your Name.") è l'ultimo lungometraggio di Makoto Shinkai. Ma che ve lo dico a fare? L'avete visto. Tutti l'hanno visto. Questo film ha macinato biglietti del cinema come io macino patatine San Carlo quando sono nervoso, ha scalato i botteghini di mezzo mondo, e persino in Italia è rimasto nei cinema per più di un solo giorno. E sapete una cosa? Se lo merita.

Partiamo dalla trama. Siamo in Giappone negli anni 2010. Mitsuha Miyamizu, una studentessa delle superiori che abita nella piccola cittadina di montagna di Itomori, vive nel santuario shintō della città insieme alla sorella e alla nonna, ma sogna di scappare da quella vita monotona, dalle antiche tradizioni che deve portare avanti, e da un padre assente che sembra occuparsi solo della sua carriera politica, e desidererebbe conoscere un affascinante ragazzo di città e trasferirsi a Tōkyō. Taki Tachibana, invece, è un liceale appassionato d'arte che vive da solo nel centro di Tōkyō, dove lavora part-time come cameriere. Un mattino, misteriosamente, i due si risvegliano ognuno nel corpo dell'altro. Poiché al risveglio successivo tutto sembra essere normale, inizialmente pensano ad uno strano sogno, ma presto capiscono che lo scambio avviene a ogni risveglio, e iniziano a scambiarsi note e messaggi, oltre ad aiutarsi a vicenda a raddrizzare le rispettive vite.




Sono stato spesso critico delle opere di Shinkai, avendole spesso considerate inutilmente opache e inconclusive; ho criticato come l'elemento della love story malinconica fosse troppo preponderante rispetto ad un setting o ad altri elementi della storia che reclamavano di uscire dallo sfondo e di avere un po' di attenzione, così come il fatto che la love story stessa venisse spesso vista quasi esclusivamente dal punto di vista del ragazzo (vedi in Oltre le nuvole, in cui la ragazza è letteralmente in coma per tre quarti del film); da molte parti ho letto e sentito dire che Shinkai sarebbe un maestro miyazakiano nel trattare temi complessi in modo semplice, quando io ho sempre pensato esattamente il contrario, ovvero che tratti temi semplici in modo controproduttivamente complesso. Bene: qui, non ho nessuna di queste lamentele. Anzi, non ho proprio nessuna lamentela.  

Non sono riuscito a trovare dei difetti a questo film. E mi sono sforzato, eh! Lo sapete quanto ci tengo a fare l'hipster di stocazzo che trova sempre da dire sulle cose popolari che tutti amano! Io sono quello che ha considerato The Last of Us mediocre, Avatar pessimo, e i Radiohead inascoltabili e pretenziosi! Kimi no na wa, però, è semplicemente perfetto, ed era da La Sparizione di Haruhi Suzumiya e Wolf Children che non pronunciavo queste parole. 

La trama viene raccontata magistralmente, introducendo misteri, rivelazioni, svolte e risoluzioni con la giusta tensione e la giusta potenza. Il misto di comicità, lacrime, suspense, dolcezza, gioia e tragicità è perfettamente bilanciato, senza mai scadere nel cheesy o nella drammata gratuita, creando un film "emotivamente completo". I due protagonisti sono egualmente sviluppati nella loro tridimensionalità, nei loro pregi e difetti, nelle loro esistenze quotidiane, nei loro desideri, e fanno immediatamente presa sullo spettatore, che è naturalmente portato a tifare per la loro felicità. 

L'aspetto fantastico/fantascientifico (qui dato dallo scambio di corpi, dal "filo rosso" fra queste due persone lontanissime, e dal passaggio di una cometa) non è un semplice sfondo per la storia d'amore (come in La voce delle stelle o in Saikano di Shin Takahashi), ma è il fulcro integrante di un racconto che, sì, la comprende e la ha al proprio centro, ma al tempo stesso ne è più grande e articolato, lasciando il giusto spazio a personaggi e fili di trama secondari. Il tutto senza perdere lo stile e i temi cari al regista, alcuni dei quali anzi (come quelli del legame spirituale e quasi sovrannaturale che lega due persone lontanissime, del tendere continuamente a un sogno lontano) raggiungono qui l'apoteosi. Il finale potrebbe sorprendere gli appassionati di Shinkai, ma io l'ho trovato assolutamente perfetto, aperto quanto basta e maledettamente commuovente. 

L'animazione, poi, è semplicemente magnifica, sia nel realismo che nelle scene oniriche, sia nel fortissimo character design che negli ambienti maestosi e cromaticamente ricchissimi. Infine, mi sento di lodare ancora una volta la resa italiana della Dynit, che anche qui come in Kaguya-hime no monogatari riesce a giostrarsi efficacemente un testo giapponese con dei momenti tutt'altro che di facile traduzione. 

Un collage fatto da Eugenio Fiumi su movies.gamesource.it che mette a confronto tipiche inquadrature shinkaiane da Oltre le nuvole, a sinistra, e da Your Name. a destra.


Ora, è chiaro che l'opera, nel suo complesso, non porta nulla di rivoluzionario né sul contenuto né sulla forma, e nemmeno presenta temi profondi o complesse riflessioni sulla vita l'universo e tutto quanto; immagino che, volendo, ci si possa lanciare in analisi di qualche tipo per trovare strati ulteriori di significato, ma al momento non posso dire di averne trovati (il che forse è un limite mio). Non ha i sottili temi sociali o ecologici che trasudano dalle migliori opere di Miyazaki e Takahata, né lo spericolato sperimentalismo e gli elementi psicanalitici di Satoshi Kon. Tuttavia, di fronte a un pacchetto così completo, a un'esperienza emotiva così sublime dall'inizio alla fine, a una narrazione così efficace e coinvolgente in ogni sua parte, a una storia così delicata eppure grandiosa al tempo stesso, questo è semplicemente un non-difetto. 

Your Name è un film straordinario, che riesce a toccare tutte le corde giuste dell'animo, che davvero riesce a trattare il complesso e l'intimo in modo semplice pur incastonandolo in un contesto tutt'altro che quotidiano, e che a mio parere sovrasta qualitativamente non solo tutto il resto della produzione di Shinkai, ma persino una buona parte delle opere dello studio Ghibli e (per quanto mi dolga dirlo) del mio amato Mamoru Hosoda.

[Recensione] Oltre le nuvole, il luogo promessoci


 雲のむこう - 約束の場所, "Kumo no mukō - yakusoku no basho", 2004

Il primissimo lungometraggio di Makoto Shinkai (uscito nel 2004 e solo nel 2017 importato e adattato da una Dynit sempre più ottima e che sempre più merita i vostri soldi) segue con una precisione millimetrica quello che è il template di buona parte delle opere di questo autore; o, per meglio dire, lo afferma per la prima volta, dato che l'unica opera precedente su questo stile è il dimenticabilissimo cortometraggio Hoshi no Koe. 

In un futuro alternativo in cui lo Hokkaido si è separato dal resto del Giappone e si è costituito in uno Stato indipendente (detto Ezo, sotto il controllo dell'Unione Sovietica), i due geniali amici Hiroki e Takuya hanno un sogno: costruire un piccolo aereo e, con esso, attraversare il mare e andare a vedere da vicino la gigantesca torre edificata in Ezo, così alta da non poterne vedere la cima nemmeno da Tōkyō. A loro si unisce presto una loro amica, Sayuri: i tre legano profondamente, e Takuya le promette che, quando finalmente decolleranno, la porterà con loro a vedere la torre. Sayuri però presto sembra sparire nel nulla, e i ragazzi prendono strade diverse. A loro insaputa, la ragazza è caduta misteriosamente in un coma narcolettico che sembra essere legato ai pericolosi esperimenti in corso alla torre.



Si possono riconoscere uno per uno i trope tipici dello stile quasi neo-romantico di Shinkai: i due amanti separati da circostanze straordinarie e da una distanza incolmabile, eppure in qualche modo costantemente collegati da un "filo" spirituale inscindibile; un setting ucronico, fantascientifico e bellico relegato allo sfondo, a fonte di ostacoli, a mero contesto non troppo approfondito in cui si svolge la storia; i protagonisti tendenzialmente piatti e abbastanza anonimi; l'atmosfera di opprimente malinconia che permea tutto il film, persino nelle relativamente serene scene iniziali; il sogno distante, quasi irraggiungibile, a cui il protagonista tende con tutte le sue forze, e in assenza del quale la sua vita sembra come svuotarsi; una forte componente spirituale e onirica che lega quasi sovrannaturalmente i due amanti. Mancherebbe solo il finale aperto, inconcludente e malinconico a completare il quadro, ma questo è invece fortunatamente assente, in favore di un finale forse più banale ma senza dubbio più soddisfacente.

Questa la chiamo "Inquadratura Shinkai". Questa scena potrebbe provenire letteralmente da QUALUNQUE SUO FILM.

Disegni e animazione non avevano ancora raggiunto la qualità di un Il giardino delle parole o di un 5cm al secondo, e sono anzi chiaramente sulla stessa linea di Hoshi no Koe: ovvero, ambienti e campi lunghi grandiosi, personaggi disegnati derposi e animati maluccio (forse colpa del character design di Ushio Tazawa?), CGI bruttina. Fruibile, ma ben lontano dai valori di produzione a cui Shinkai ci avrebbe abituati negli anni successivi. In compenso, si possono già notare le inquadrature e l'attenzione ai paesaggi che caratterizzano la regia di Shinkai, e la sua caratteristica "delicatezza narrativa". Divertente peraltro notare la somiglianza fra il laboratorio di Hiroki e la base della NERV di Evangelion, in quello che è probabilmente un omaggio voluto.

Nel complesso, è un film godibilissimo e tutt'altro che privo di momenti ricchi di pathos, ma devo ammettere di non averlo trovato entusiasmante, sia per la prevedibilità dei suoi sviluppi, sia per il sentore di "già visto" dei suoi temi, sia per i suoi personaggi dimenticabilissimi, sia per la solita opacità di alcuni elementi. È carino, ma poco di più. Ovviamente consigliato per i fan di Shinkai, in quanto comunque è un'opera importante nella sua filmografia e ne presenta tutti i crismi e i tratti distintivi, ma per chi vuole scoprirlo per la prima volta consiglierei piuttosto 5cm al secondo o Il giardino delle parole, molto più pregnanti tematicamente e intensi emotivamente.