Lo dirò direttamente e brutalmente: Spec Ops: The Line è uno di quei capolavori che non si vedono molto spesso. Non è solo una decostruzione intensa nel contenuto e geniale nella forma, ma fornisce un perfetto esempio delle immense potenzialità narrative del videogioco. Un titolo che mi azzarderò a
definire il Metal Gear Solid 2 degli sparatutto, l'Evangelion dei
Modern Military Shooters, al quale tutti, soprattutto gli
appassionati del genere, dovrebbero giocare.
Come gameplay, è un TPS abbastanza tipico, molto stile Gears of War se vogliamo, con un singolo comando per i due soldati al fianco del protagonista che risulta davvero utile solo in pochi contesti; è piuttosto ripetitivo, e ha il serio problema che una volta che si è in copertura è spesso problematico levarsi e scattare via, cosa che risulta particolarmente fastidiosa quando i nemici usano delle granate (essenzialmente, se ti arriva una granata addosso nel mezzo di uno scontro lasciati pure morire ché ti risparmi le imprecazioni). Dal punto di vista della grafica è assolutamente adeguato (anche se su PS3 i caricamenti delle texture sono un po' lenti), ma nulla di più. La colonna sonora, che è invece estremamente efficace e dà il suo importantissimo contributo all'atmosfera di molte scene, è composta prevalentemente da brani di rock psichedelico anni '60-'70 (spiccano un paio di pezzi di Deep Purple e Jimi Hendrix) o, più avanti nella storia, da brani man mano più cupi e oppressivi, fino a scomodare persino Mogwai, Nine Inch Nails, Alice in Chains, e Björk.
L'aspetto dove brilla davvero è, però, nella la trama e nei suoi temi: Dubai è stata colpita da una serie di terribili tempeste di sabbia, ed è ora isolata e senza governo; il pluri-decorato colonnello John Konrad, col suo pluri-decorato 33esimo battaglione, si è offerto volontario per aiutare i civili nell'evacuazione, ma quando gli viene ordinato di abbandonare la città lui e l'intero battaglione si ammutinano e rifiutano. L'ultima comunicazione riguarda un tentativo tragicamente fallito di guidare una carovana di superstiti fuori dalla città. Una squadra di tre Delta Force comandata da Martin Walker viene inviata in ricognizione con lo scopo di individuare Konrad e valutare la situazione, per poi chiamare la cavalleria ed andarsene. Ma ovviamente, nulla andrà secondo i piani.
Cosa c'è di speciale, a parte la ricercata somiglianza con Apocalypse Now e Cuore di tenebra? Al primo impatto, niente. Ma anche questa genericità è un calcolato inganno, una trappola: perché il resto del gioco si sviluppa come un'impietosa decostruzione del genere degli shooter moderni, che viene rivoltato, sventrato e sbattuto in faccia al giocatore nelle sue realistiche conseguenze, dandogli dell'idiota per averlo preso così alla leggera per tutto questo tempo.
Cala il giocatore nel tipico ambiente MMS, con nemici stranieri, personaggi stereotipati eccetera, per poi improvvisamente sbatterlo fuori dalla comfort zone e dritto all'inferno. La missione diventa per Walker una discesa sempre più irrecuperabile in una spirale di distaccamento dalla realtà, dai suoi compagni e... dal giocatore stesso. È cupo, tragico, violento, sporco, inglorioso, immorale, impietoso, e lascia sentire in retrogusto una efferata critica alla politica estera interventista americana.
Come puoi andare contro un nemico che percepisci come criminale, mostruoso, assassino, quando... sei davvero migliore di lui? Siamo sicuri, ma proprio sicuri, che ogni volta che ci mandano in un Paese straniero a uccidere della gente senza darci tanti dettagli, siamo noi a essere i buoni? Perché a me non sembra di star migliorando granché le cose. Eppure, devi andare avanti. Se vuoi continuare a giocare, non puoi che andare avanti, agire in modi certo perfettamente normali per genere, ma che forse per la prima volta percepisci sempre più come imperdonabilmente immorali. Non siamo più noi che tiriamo i fili, che decidiamo le azioni del protagonista, ma è il protagonista che ci trascina a forza con sé nell'orrore. Non è colpa tua, ti verrà da dire, è il gioco che me l'ha fatto fare, io non sapevo, non volevo, non credevo, io volevo solo sentirmi un eroe! Però l'hai fatto. E quando hai capito cos'hai fatto, l'unico modo di sopportarlo era cercare di razionalizzarlo, razionalizzare ogni morto e ogni atrocità, in modo sempre più debole e disperato. Sarebbe bastato fermarsi, smettere, ma non l'hai fatto. Forse perché davvero non potevi. O forse perché volevi essere un eroe... e per fare un eroe ci vuole un villain. Questo, tutto questo, è tutta colpa tua.
L'ho già detto che è una brutale critica all'interventismo militare statunitense e alla glorificazione dell'esercito così tipica della cultura americana?
Spec Ops: The Line contiene questa battuta in un contesto e in un momento tale che si è tentati di dargli ragione. Non so se mi spiego. |
Purtroppo, è difficile
descrivere l'intensa esperienza dell'opera senza spoilerarne i momenti migliori, fra
tentativi di razionalizzazione e scene devastanti in cui i personaggi e il
gioco stesso parlano sia al protagonista sia a noi e al nostro modo di godere i
videogiochi bellici. Perciò mi limiterò a
lodare la grandissima cura messa in tutta una serie di dettagli che rafforzano
un'atmosfera ai limiti dell'horror psicologico, spesso infrangendo la quarta
parete; in tutta una serie di dialoghi scritti e intessuti con maestria
invidiabile; in una serie di scelte morali che riescono ad esulare da
una ridicola binarietà manichea alla InFamous o alla BioShock, e anzi permettono delle decisioni non immediatamente evidenti e non "presentate" esplicitamente, permettendo ad ogni
giocatore di sentire il peso delle conseguenze pur in un'esperienza lineare; in un doppiaggio (inglese)
meraviglioso, soprattutto grazie al solito eccellente Nolan North; e in un finale semplicemente
magistrale.
È un'esperienza emotiva e intellettuale, pesantissima, devastante, è un viaggio psicologico e morale in un'opera che come poche altre dimostra le gigantesche potenzialità narrative che sono uniche del medium videoludico. È un gioco che considero fra i migliori della generazione, e che consiglio vivamente non solo di giocare, ma anche di rigiocare più volte per cercare i numerosissimi dettagli che prefigurano o rinforzano alcuni elementi della trama. L'impegno e il rischio che si sono presi sviluppatori e sceneggiatori è qualcosa che spero venga premiato.
È un'esperienza emotiva e intellettuale, pesantissima, devastante, è un viaggio psicologico e morale in un'opera che come poche altre dimostra le gigantesche potenzialità narrative che sono uniche del medium videoludico. È un gioco che considero fra i migliori della generazione, e che consiglio vivamente non solo di giocare, ma anche di rigiocare più volte per cercare i numerosissimi dettagli che prefigurano o rinforzano alcuni elementi della trama. L'impegno e il rischio che si sono presi sviluppatori e sceneggiatori è qualcosa che spero venga premiato.
Per chi l'avesse già giocato e
amato quanto me, metto qua sotto spoiler vari vaneggiamenti da fanboy.
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