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6 feb 2018

[Commenti] Star Wars Jedi Knight: Jedi Academy


Il quinto e, ahimè, ultimo capitolo della saga videoudica di Kyle Katarn è forse quello che ricordo con più affetto, che più ho giocato e spolpato fino all'osso negli avventurosi anni della mia folle gioventù. Ahhh, quelle belle estati di divertimento... tutta la compagnia fuori, al sole, al mare, a correr dietro alle ragazze, a giocare a calcetto, a fare le ore piccole per i bar del paese nella più totale spensieratezza, mentre io chiudevo la tapparella, perché il sole mi dava fastidio agli occhi mentre cazzeggiavo a Jedi Academy spawnando decine di stormtrooper che falciavo con la mod di Darth Maul, e anche la finestra, perché 'sti cazzo di ragazzini cos'hanno da far casino alle otto di sera, non hanno un casa maledizione che devono venire a rompere il belino qua sotto?

Scusate la divagazione, dicevo, Jedi Academy. La storia segue Jaden Korr, aspirante Jedi che si unisce all'Accademia di Yavin 4 dopo essere riuscito/a nell'impresa quasi impossibile di costruirsi da solo/a una spada laser senza aver ricevuto addestramento nella Forza.[1] Viene assegnato/a, insieme al tronfio Rosh Penin, al Maestro Kyle Katarn, ma fin dal suo primo giorno si palesa una nuova minaccia alla Repubblica: una piccola setta di adoratori dell'antico signore dei Sith Marka Ragnos sembra intenta ad utilizzare un antico scettro per assorbire l'energia della Forza da luoghi con un'aura particolarmente potente, come i vecchi templi Massassi su Yavin o una delle camere di meditazione di Darth Vader.[2]

A differenza del titolo precedente, in Jedi Academy il giocatore può personalizzare l'aspetto del proprio personaggio (specie, sesso, abbigliamento; anche se le combinazioni sono limitate, non aspettatevi una roba da MMORPG), l'impugnatura e il colore della propria spada laser (più tardi si potranno impugnare due spade oppure la lama doppia, il che è ovviamente una figata incalcolabile[3]), e lo sviluppo dei propri poteri (si potrà, cioè, scegliere quali sviluppare e quando). 

I livelli del gioco sono divisi in tre "tranche" di cinque missioni autoconclusive (giocabili in ordine libero) intervallate da quelle in cui viene portata avanti la trama principale. Le missioni "libere" sono sorprendentemente varie, e spaziano dalle "normali" situazioni action a più elaborati scenari in cui si deve sfuggire ai mostri di Tremors (più o meno, dai), o correre in un canyon a bordo di uno speeder, o fuggire da una prigione, o liberare dei prigionieri da uno Hutt ecc.

Il mio primo personaggio del 2018 è stato una Twi'lek seminuda. Ovviamente. Una volta non ero così.
Uscito solo un anno dopo Jedi Outcast, è classificabile più come espansione o spin-off piuttosto che un seguito vero e proprio: stesso gameplay, stesso engine, giusto qualche leggera modifica all'HUD e qualche veicolo e potere in più; ma la piccola differenza che la prima arma che si riceve è la spada laser, da sola, rivela un approccio completamente diverso al gioco. Se Outcast era di base uno sparatutto in cui la lightsaber e la Forza erano una conquista graduale e narrativamente significativa, Academy è un gioco Jedi, punto. Sei uno Jedi che fa cose da Jedi in un gioco interamente costruito intorno all'aspetto migliore dei sui predecessori, ovvero l'essere uno Jedi. Sì, per carità, ci sono i blaster e tutto un po', ma che razza di noiosone senza fantasia le userebbe quando ha a disposizione una spada laser e la Forza? 

Questa si rivela da un lato una scelta vincente, perché permette di valorizzare al massimo la duttilità del divertentissimo sistema di combattimento melée (che viene peraltro arricchito da nuove mosse e nuovi stili), ma dall'altro riesce nell'impresa impossibile di farlo venire a noia, soprattutto nei due (lunghissimi) livelli finali; perché, mancando un contraltare, un contrasto all'essere un Jedi abbastanza potente da disarmare tre stormtrooper con un solo cenno della mano, quello che in Outcast era l'apice è qui il punto di partenza, e da lì non ha più molto spazio per svilupparsi. Se poi aggiungiamo un level design decisamente più anonimo, e il fatto che la storia, per quanto ricca di riferimenti all'Universo Espanso (i resti di Byss, dove l'Imperatore risorto aveva tentato di ristabilire il proprio potere, e Marka Ragnos e Korriban, cioè roba del 5000 BBY!), è molto più piatta e priva di personaggi interessanti, non è difficile capire perché Academy sia considerato, a mio avviso a ragione, peggiore del suo predecessore.


Eppure... è, allora come oggi, mostruosamente divertente. Forse più divertente di Outcast. Forse uno dei più divertenti del franchise, insieme a Battlefront II (2005). Quello che ricordo con più affetto, e al quale ritorno più spesso. Forse per i suoi piccoli elementi RPG, forse per il suo ALTISSIMO valore catartico, forse perché Kyle Katarn risulta ancora più un figo quando non lo si gioca (tipo Snake in MGS2), non lo so, ma ogni volta che esce un The Force Unleashed o un Battlefront quella vocina dentro di me continua a dire "sì, ok, tutto molto interessante, ma non è figo come Jedi Academy".


[1] Motivo per cui entrerebbe perfettamente nel canon della nuova trilogia, visto che secondo Rian Johnson lo studio e l'allenamento sono cose vecchie da spazzar via per far spazio al nuovo. 
[2] That's_not_how_the_Force_works.gif 
[3] Inutile dirlo, la community dei modder ha aggiunto un'infinità di possibilità a questa fase.

4 feb 2018

[Commenti] Star Wars Jedi Knight II: Jedi Outcast


Con questo secondo capitolo della saga Jedi Knight e quarto della saga Dark Forces, il Chuck Norris della galassia lontana lontana entra gloriosamente nell'epoca d'oro del PC gaming con il titolo che ha cementato la sua fama, con quello che ancora oggi, quindici anni più tardi, è considerato uno dei migliori videogiochi del brand Star Wars. Unendo la frenesia e l'esplorazione degli shooter vecchio stile con la profondità d'azione data da spade laser e poteri della Forza, Jedi Outcast presenta una campagna single player eccellente e il miglior sistema di combattimento melee fra lightsaber che sia mai stato creato.

Prodotto dalla Raven Software, già creatori dell'ottimo Star Trek Voyager: Elite Force (da cui palesemente eredita non solo il motore ma anche molti asset grafici e audio), Jedi Outcast è un perfetto figlio dell'epoca del videogaming verso la quale sono più nostalgico: il periodo in cui il PC gaming era volto al dare libertà di cazzeggio al giocatore pur in una campagna lineare e diretta; il periodo in cui il multiplayer e il single player erano in due eseguibili separati, istituendo una sacrosanta apartheid fra le due categorie di giocatori; il periodo in cui premevi shift+tilde e ti si apriva la console e potevi inserire tutte le cheat e i codici di questo mondo, e giù di god mode e bullet time e spawn di centinaia di nemici, ché alla Raven Software cosa glie ne deve mica fregare se usi le cheat o no?; il periodo in cui il tasto F12 era fisso sul quicksave e i checkpoint te li facevi tu dove diavolo volevi; il periodo in cui il modding era nel suo momento di esplosione; il periodo in cui la grafica e il realismo contavano fino a un certo punto e si potevano lasciar perdere se significava togliere risorse alla profondità narrativa o ludica (Deus Ex è del 2000, Outcast del 2002!).

Screenshot da GOG.com
La storia segue Kyle Katarn che, dopo aver lasciato l'Ordine dei Jedi a seguito della disavventura con l'antico tempio Sith che l'ha visto quasi cadere al LatoOscuro, è tornato a lavorare come mercenario della Nuova Repubblica insieme alla sua compagna Jan Ors. Durante una missione in un piccolo avamposto militare dell'Impero Rimanente, i due scoprono che l'ammiraglio Galak Fyyar sta conducendo esperimenti su alcuni cristalli molto simili a quelli usati nella costruzione delle spade laser. Seguendo questa pista entrano in contatto con Desann, un Jedi Oscuro, e Kyle si scopre impotente e incapace di contrastare la sua maestria nella Forza. Deciso a fermarli e a vendicarsi, Kyle decide di riprendere in mano la lightsaber.

La storia è evidentemente molto semplice, eppure perfettamente funzionale nel contesto del gioco. Il protagonista, nonostante tutte le infinite battute su come il superlaser della Morte Nera sia una versione più debole della sua pistola blaster, è presentato qui in realtà in modo molto umano: nel suo senso dell'umorismo, nel suo sentire di aver fallito come Jedi, nel suo temere la tentazione del Lato Oscuro, nel suo rimorso per come l'aver abbandonato le vie della Forza venga a causare indirettamente la morte di una persona che ama, nella rabbia e nella sete di vendetta che lo motivano addirittura ad attingere al potere della Valle dei Jedi e al Lato Oscuro, nella gioia dello scoprire viva la compagna che credeva morta che lo redime e lo fa diventare finalmente uno Jedi completo, saggio, controllato. Il suo è un arco non particolarmente complesso, ma completo e perfettamente in linea con i temi dell'universo starwarsiano. Universo che, peraltro, viene sia celebrato nostalgicamente (tramite l'incontro con personaggi come Lando Calrissian e Luke Skywalker o la visita a luoghi come Bespin e Yavin 4) sia espanso e arricchito: mai, prima di allora, un videogioco aveva permesso così tanto di "respirare" davvero l'atmosfera di Star Wars, di calarsi in un mondo vivo, grande e dettagliato (complice anche un level design stellare, che in alcune mappe raggiunge una qualità quasi darksoulsiana in termini di organicità, compattezza interna e scoperta di nuove vie verso luoghi già visitati).

Dal punto di vista sia narrativo che ludico, è fondamentale il fatto che il gioco trattenga così a lungo il suo vero punto forte. I primi sei livelli, infatti (un quarto del totale!), si svolgono come un "normale" sparatutto: armi, visuale in prima persona, circle strafing e salti come se piovesse, cercare chiavi e codici per aprire porte, aggrapparsi a ogni medpack, a ogni batteria, a ogni più piccolo vantaggio si possa trovare su un nemico più forte e più numeroso, fino a quando il primo incontro con Desann non presenta una battaglia a tutti gli effetti impossibile da vincere. In questa fase il gioco è difficilissimo, monotono, quasi noioso, ma permette al giocatore (soprattutto a quello ancora memore del primo Jedi Knight!) di calarsi davvero nel personaggio, di sentire quel senso di impotenza davanti a un nemico che con un gesto della mano ci disarma e ci atterra senza neanche scomporsi. La frustrazione di Kyle è anche la nostra. Così, quando finalmente riacquisiamo le vie della Forza e la spada laser più figa mai vista, la sua voglia di vendetta è anche la nostra, e la catarsi del liberarsi di interi gruppi di nemici come un Jedi è decuplicata. Da lì in avanti, Jedi Outcast non smette mai di essere impegnativo, ma la frenesia del primo quarto è rimpiazzata da un senso di onnipotenza, di superiorità su avversari non più in grado di essere davvero una minaccia davanti a un Jedi capace di disarmarli, spingerli giù da un dirupo, fulminarli o addirittura costringerli ad attaccarsi fra loro con un semplice gesto della mano.[1] Se poi si attiva la piccola cheat che permette lo smembramento dei corpi, diventa davvero il videogioco definitivo, la ragione ultima per la quale è nato il medium, il grande scopo divino in vista del quale il Signore ispirò Nolan Bushnell.[2]
 
*nerdgasm intensifies*

Quantomeno finché non arrivano i Reborn, altri nemici dotati di spada laser, e allora il titolo entra davvero nel vivo. Il combattimento fra Jedi è semplicemente impressionante, per la varietà di approcci tattici che permette nonostante la sua semplicità quasi banale, e per la soddisfazione che riesce a dare ogni volta; ogni volta che si vince un blocco fra lame, che si abbatte il nemico dopo averlo atterrato con la Forza, che si mette a segno un preciso contrattacco, che si decapitano due nemici con un singolo fendente, o che si viene decapitati malamente perché si ha attaccato nel momento sbagliato lasciandosi totalmente scoperti. Ci credete che salvavo prima di ogni duello e dopo averlo vinto ricaricavo per giocarlo ancora? Giuro! E vi assicuro, non sono l'unico. Dai primi duelli con un singolo avversario, in un crescendo continuo fino a una battaglia aperta fra Jedi e Sith (OK non sono proprio Sith, ma capitemi) e alle boss fight con Desann[3] e la sua apprendista, è qui il vero cuore pulsante del titolo, il motivo per cui ogni volta che esce un The Force Unleashed o un Battlefront dentro tutti noi c'è ancora quella vocina che dice "sì, ok, tutto molto interessante, ma non è figo come Jedi Outcast".

Jedi Outcast, dove puoi lanciarti in mezzo a un gruppo di stormtrooper e farne spezzatino; oppure puoi usare Force Speed, saltare ad altezze inumane e fargli piovere addosso granate e blaster; oppure, puoi comportarti come un vero Jedi: deviare i loro blaster e correre in mezzo a loro, intoccato, e disarmarli uno alla volta con il Force Pull, e quando sono tutti lì a correre per la stanza con le mani alzate puoi spegnere la spada laser e immaginarti un monologo da Che Guevara della Galassia Lontana Lontana. 



Incidentalmente, Kyle Katarn non ascolta la volontà della Forza: è la Forza che ascolta la volontà di Kyle Katarn.


[1] Ché peraltro: c'è da ammettere che con tutti quei poteri da bindare o da scorrere singolarmente, senza un mouse da gaming il tutto mi sarebbe risultato molto macchinoso e poco fluido. Come diavolo facevamo all'epoca? Davvero abbandonavamo la posizione WASD per estenderci innaturalmente fino a F8 ogni volta che volevamo fulminare uno stormtrooper? Sono troppo viziato, ormai, non riesco a ricordare i tempi bui prima di possedere un mouse con 12x2 tasti programmabili.

[2] Seriamente. Create un file autoexec, mettetelo nella cartella GameData/base del gioco, e scriveteci:
helpusobi 1
g_saberrealisticcombat 3
g_dismemberment 9
g_dismemberprobabilities 100
Non serve altro nella vita. 


[3] Una boss fight osticissima, che richiede di pensare fuori dagli schemi di tutti i duelli avuti finora e che ha un paio di trucchetti nascosti nel livello per vincere in astuzia.

1 feb 2018

[Recensione] Shimoneta to iu gainen ga sonzai shinai taikutsu na sekai

下ネタという概念が存在しない退屈な世界 (lett. "Un mondo noioso dove il concetto di battute sconce non esiste"), 2015

Shimoneta (o Shimoseka, come viene abbreviato il titolo) presenta una di quelle premesse talmente idiote che solo un anime poteva tirare fuori, e solo un anime poteva fare funzionare. La storia è ambientata in un Giappone distopico in cui, da ormai sedici anni, lo Stato ha dato un stretto giro di vite alla repressione delle oscenità e della pornografia nel nome della moralità e della salute dei giovani: è proibito dire le parolacce, è proibita qualunque rappresentazione della sessualità, e sono proibiti i contatti sessuali. Un collare rileva automaticamente le parole e addirittura le azioni vietate, e le condanne per chi viola le regole della Retta Via sono severissime. In questo mondo, è emersa una terrorista per la libertà: una misteriosa ragazza vestita solo di un lenzuolo compare dal nulla, mascherata con un paio di mutandine, urla oscenità, distribuisce immagini pornografiche, e svanisce nel nulla. Il protagonista, Okuma Tanukichi, è un ragazzo appena entrato nel liceo leader nazionale per gli standard morali che, nonostante la sua conoscenza ben sopra la media di tutto ciò che ha a che fare col sesso, vorrebbe solo una vita "normale". La terrorista (o "tettorista", come intelligentemente Dynit traduce dal giapponese "perorisuto" e "erorisuto") però lo contatta per arruolarlo nella propria organizzazione, la SOX*, in aperta lotta con la presidente del consiglio studentesco Anna Nishikinomiya, figlia di importanti politici e quindi poster child della Retta Via... di cui però Tanukichi è perdutamente innamorato.


Ayame in a nutshell.
Ancora una volta una premessa apparentemente idiota riesce a sorprendermi non solo con dell'ottima commedia e con dei personaggi divertenti, ma anche con un sotto-tema tutt'altro che privo di idee intelligenti. Ambientandosi in un mondo in cui il "buon costume" è così tanto una preoccupazione, riesce a presentare i due estremi del rapporto con la sessualità. Da un lato, la totale soppressione di ciò che è "osceno" porta a un'intera generazione senza alcuna nozione di sex ed e quindi totalmente impreparata di fronte ai propri istinti naturali. L'esempio supremo è : pura, innocente, e ingenua fino all'inverosimile, al primo contatto accidentale con un maschio si sente ribollire in un modo a cui non sa come rispondere, e non sapendo riconoscere la reazione del suo corpo come eccitazione, non sapendola controllare o sfogare, la scambia per amore (cioè qualcosa di giusto e puro) e ne diventa ossessionata, arrivando a compiere azioni non solo "perverse" ma proprio violente e illegali. Diciamo pure che diventa una delle yandere più genuinamente inquietanti che ricordi. E stiamo attenti a considerare questo aspetto come "irrealistico", perché il mondo reale ci insegna che proprio laddove l'educazione sessuale è assente o limitata all'insegnare l'astinenza (vedi le scuole "abstinence-only" negli USA) l'incidenza di malattie veneree e di gravidanze indesiderate fra i teenager schizza a numeri ben sopra la media! 

Dall'altro, la reazione a questa soppressione che prende la forma di una perversione fine a sé stessa, di un lasciarsi agli istinti più bassi semplicemente perché sì (esempio principe sono ovviamente i maniaci delle mutandine che si formano a imitazione della SOX). In mezzo ci sono Ayame, che infila battute volgari e doppisensi in ogni buco in cui riesce, ma "nei fatti" si trova in imbarazzo (si scandalizza la prima volta che vede un pene dal vivo, dimostrando di avere un rapporto ambivalente ed estremamente immaturo con la sessualità, cosa tutto sommato normale alla sua età), e Tanukichi, che conosce la sessualità ma cerca di mettere altre cose al di sopra degli istinti. Questa triplice dinamica, in particolare quella fra Anna e Ayame, è semplicemente perfetta per spremere tutto il potenziale comico del setup. Il tutto è anche molto "meta", perché (quantomeno nella versione televisiva) nulla viene effettivamente pronunciato o mostrato: le parole vengono censurate da effetti sonori, e bollini tattici coprono le parti di schermo incriminate (compresi scritte e gesti delle mani). Sembra ipocrisia, come spesso accade nel rapporto fra il Giappone e la sessualità, ma se consideriamo la direzione in cui è andato il Giappone a fasi alterne della propria storia, comprese alcune durissime leggi degli ultimi anni (per esempio quella che ha assassinato il manga Aki Sora), per un pubblico giapponese il tutto è abbastanza rilevante.

La Libertè guidant le peuple, 1830. Una gloriosa rivoluzione contro le catene dell'oppressione e della censura, al grido di "OCHINPOOOO!". Ci tengo a far notare che questa NON è una fanart.

Ci sono anche tutte le dinamiche dei movimenti rivoluzionari, ma questi sono temi MOLTO secondari, più sottotesti che veri e propri messaggi, di un anime che ha chiaramente come scopo primario la commedia. C'è una quantità di battute, giochi di parole e doppi sensi allucinante, ed è di una stupidità semplicemente adorabile. Non si prende sul serio, ma mette in mostra quanto si prendano sul serio i personaggi, con quella giustapposizione tipica di molti anime leggeri che permette di ridere di quanto eccessiva e insensata sia la situazione, ma al tempo stesso di calarcisi dentro e di legare con le motivazioni di personaggi, che così riescono a non essere solo macchiette comiche.
 

Il Blu del Campo Innevato
Mi sento (di nuovo) di lodare l'eccellente adattamento della Dynit (visibile in streaming gratuito e legale su VVVVID): i sottotitoli rendono perfettamente tutti i giochi di parole senza commettere l'errore di "esplicitare" quello che i dialoghi giapponesi censurano. In particolare, credo che uno scambio in particolare meriti un monumento: a un certo punto dell'episodio 3, un personaggio dice "village-village" come battuta per prenderne in giro un altro, perché "villaggio" in giapponese si dice mura (村、むら) ma esiste anche l'onomatopea muramura (ムラムラ) che è usata anche come eufemismo per l'erezione; in italiano, diventa "sky hard"... ovvero "cielo duro". Sono sinceramente convinto che non si sarebbe potuta tradurre in modo più efficace di così.

Tuttavia, ahimè, Shimoneta è piagato dal solito retrogusto di brodo annacquato, e dal frequente problema che diventa ripetitivo e stanco nella sua seconda metà. Già i romanzi di partenza erano molto derivativi (la dinamica fra Ayame e Tanukichi è ESTREMAMENTE alla Haruhi-Kyon, e l'autore ha dichiarato che il nome SOX è una citazione esplicita alla Brigata SOS), e l'anime soffre del tipico difetto degli adattamenti di light novel: un finale inconcludente che non porta a compimento nessuno degli elementi della trama orizzontale, né quelli primari (il conflitto rivoluzionario contro il mondo noioso dove non esiste il concetto di battute sconce) né quelli secondari (le relazioni fra i protagonisti o i loro character arc, che pur avevano raggiunto un punto interessante e ricco di potenziale). Questo lo rende indubbiamente divertente, indubbiamente degno di una guardata se cercate un po' di comicità spinta senza scadere in idiozie totalmente prive di cervello come Ninja Nonsense, ma tutto sommato inutile.




In coda, come ho fatto per il mio articolo su Toradora!, alcuni dei commenti e delle battute che mi sono segnato episodio-per-episodio:

24 gen 2018

[Rant] Panico pre-elettorale, l'indecisione del pugno chiuso

AVVERTENZA: questo non è un articolo "serio" con pretesa di universalità. È lo sfogo di una persona fortemente di sinistra già stressata dalla prospettiva di dover scegliere dove schierarsi.

Forse questo è il nostro destino. La frammentazione, il distinguo continuo. Perché laddove l'ideale è più complesso di "minchia la patria abbasso gli stranieri abbasso i gay", il pragmatismo passa un po' il secondo piano. La certezza della propria posizione e del metodo con cui la si è costruita (
il lavoro di pialla issue per issue sull'architettura delle proprie idee politiche per edificare una filosofia il più possibile onnicomprensiva) diventa una ragione di vita tanto quanto il dubbio su quella altrui, il gioco a chi è più puro e intelligente. E chi, come me, cerca di avvicinarsi non solo alla militanza "elettorale" ma anche a quella attiva (dopo anni di un'accidia francamente vergognosa per chi tanto orgogliosamente si professa rivoluzionario), fa una fatica boia a capire chi rappresenti al meglio le proprie posizioni.

Il mio cuore e la mia ragione mi spingono, oggi, in questo clusterfuck indistricabile che sono le elezioni politiche 2018, verso due possibili liste: il Partito Comunista e Potere al Popolo. Ma di nessuna delle due sono davvero convinto.

Il PC, per via delle sue posizioni radicalmente antieuropeiste; per via delle occasionali uscite da tankie del segretario Rizzo (va bene Lenin, ma arrivare a difendere a spada tratta pure Stalin e Corea del Nord anche no, dai...); per via di certe uscite di supporto incondizionato ai palestinesi contro gli israeliani, ché sì, certo, è ovvio che si sostengano i comunisti palestinesi, ma per chiunque abbia studiato la storia di quel conflitto pretendere di trovarci un "buono" è un "cattivo" è semplicemente irricevibile (per non dire da imbecilli); per via del passato da "politico navigato" di Rizzo, che, la Prima Repubblica ci insegna, può essere tanto un pregio quanto un rischio; per via di una intransigenza che, in una democrazia parlamentare, rischia di essere suicida sul breve termine.

PaP, per via della sua retorica  I D E N T I C A  a quella del M5S delle origini; per via del suo richiamo continuo a una democraticità diretta e dal basso che, per quanto nobile, si scontra col problema che "la gente" spesso non capisce un cazzo («very few people have any idea what they're talking about», direbbe John Cleese); per via delle sue occasionali uscite vicine a quelle del neofemminismo americano più becero (tipo il recente essere cascati come pere nella bufala del gender wage gap "sessista" al 23%, smontata almeno dagli anni '00); per via delle sue origini nell'antagonismo anarchico, che per come la vedo io sta alla politica seria e "adulta" come Kurt Cobain sta ai virtuosismi di chitarra; per via di sparate come quella di abolire il 41bis; per via di una intransigenza e di un'arroganza che una lista appena nata non può permettersi e che, in una democrazia parlamentare, rischiano di essere suicide sul breve termine.

Entrambi, poi, condividono la generale tendenza a a predicare ai convertiti, ovvero un'incapacità di generare consenso (necessario tanto per la politica istituzionale che per la rivoluzione) in chi non sia già nella loro area politica.

Eppure, l'anticapitalismo radicale del PC e il suo sforzo per una vera coordinazione internazionale fra i comunisti sono ciò di cui abbiamo bisogno come il pane, e un partito ben oliato, con una direzione salda e una solida preparazione teorica dei quadri, garantisce efficienza e coerenza. Eppure, il programma di PaP è comprensivo e praticabile, ha il supporto di molte sigle dell'area (PCI e Risorgimento Socialista in primis), e il loro nascere veramente dal basso garantisce una presenza capillare sul territorio e una "concretezza della lotta" di cui c'è bisogno.

Facciamo che votare tutti Sargeras per la distruzione dell'universo e va' là che va bene?
 E se volessi tirarmi fuori da questa scelta? Tanto difficilmente uno di questi due partiti raggiungerà la soglia di sbarramento, quindi in ogni caso saranno voti sprecati (se vogliamo cedere all'infame retorica del voto utile). Cos'altro mi resta?

I radicali della Bonino? Per carità, tanta stima e tanto supporto per le loro battaglie per i diritti e per il loro realismo, ma a parte la loro storia di sostegno a politiche di massacro sociale ed intervento militare all'estero, si son già belli che apparentati al PD, dai, i dieci voti in croce che prenderanno finiranno a Renzi e Bonino sarà relegata per l'ennesima volta all'irrilevanza! Non è che l'europeismo basti per farmi ignorare l'apparentamento ai centristi...

Liberi e Uguali? Forse è il miglior compromesso fra idealismo e pragmatismo, ma posso fidarmi di cariatidi informi come D'Alema e di liberalizzatori come Bersani? Posso fidarmi che il loro "socialismo moderato" (forse troppo, in un'epoca in cui cambiamento climatico e automazione del lavoro stanno per arrivarci in faccia come un treno) non diventi di nuovo un supporto al PD? Posso vedere in loro un programma organico e serio, oltre a sparate lodevoli ma inattuabili come quella delle tasse universitarie?

Il Movimento 5 Stelle? Fra i Tre Grandi che possono realisticamente contendersi la vittoria mi stanno sembrando quelli più seri e coi piedi per terra  (il che è tutto un dire!), e indubbiamente sono quelli più vicini alle mie idee (sì, lo so che qualcuno li considera "estrema destra", ma quelle persone, oggettivamente, si sbagliano). Sono il più grande e più forte argine alle destre. Ma hanno ampiamente dimostrato la loro inaffidabilità, la loro incoerenza e incompetenza, occasionali uscite sovraniste, il loro cadere in retoriche e ragionamenti da asilo nido che spesso li rendono indistinguibili da PD e Lega, la loro reticenza ad assumere posizioni nette per paura di alienarsi degli elettori, e la loro schifosa propaganda social che stuzzica fasce dell'elettorato che andrebbero rialfabetizzate, non fomentate. Per non parlare delle loro nebbiose dinamiche interne, e del loro substrato putrido di complottisti, populisti, analfabeti funzionali e pure qualche fascista.

Insomma, il senso di questo post credo si possa riassumere con queste parole.



23 gen 2018

[Recensione] Happiness


Una liceale innamorata del proprio professore. Un ragazzo vittima di bullismo che pensa al suicidio. Una ragazza dalle condizioni famigliari disastrose che cerca un rifugio nel satanismo. Una ragazza con disturbi mentali che fugge da casa e viene ingannata e abusata. Un hikikomori ossessionato dall'aspetto che aveva la sua cugina da bambina. Questi e altri sono i soggetti delle otto storie brevi che costituiscono questo volume unico di Usamaru Furuya dal titolo ESTREMAMENTE fuorviante.
Un paragone che mi è venuto in mente leggendo questo manga è quello col naturalismo francese, in particolare quello di Zola, per via dell'attenzione che viene data a vari tipi di "alienati sociali", ovvero agli strati più bassi, squallidi e dimenticati della società, alle circostanze socio-psicologiche dietro ai problemi che affliggono i personaggi. Non c'è una particolare complessità e profondità psicologica (in storie così brevi non ce n'è fisicamente lo spazio, a meno che tu non sia Yukio Mishima), ma Furuya riesce comunque a dipingere un quadro abbastanza completo dei suoi protagonisti con pochi tratti e poche parole (i picchi più alti, in questo senso, sono le storie Happiness, La canzone del diavolo e Una stanza di nuvole), almeno quanto basta a farli funzionare bene nell'ambito della loro storia e a far loro avere un impatto sorprendentemente duraturo. È difficile non provare compassione per la povera Yama-chan, non commuoversi per la backstory di Mika, non sentirsi disgustati ma al tempo stesso commossi da Atsushi ecc.


Underground Doll
Le storie sono molto crude e adulte pur nella loro relativa semplicità e linearità, ma ognuna è trattata con una delicatezza molto evocativa e molto efficace nel trasmettere il significato desiderato, senza mai scadere nello squallore fine a sé stesso (nonostante la presenza di scene di nudo e persino di stupro!). I finali, pur evitando come la peste di avere un "happy ending" (il massimo che si può sperare è un finale dolceamaro, con una sola eccezione), non cercano la lacrima facile o di commuovere a tutti i costi, quanto di essere disturbanti, cupi, di far pensare, di catturare delle situazioni e dei personaggi tragici e di trasmettere con essi un'intensità emotiva costante e mai forzata.

Il disegno di Furuya, in questo senso, fa molto per
Lolita 7
ottenere questo effetto, soprattutto il suo character design: abbastanza vario da rendere ogni personaggio ben riconoscibile, e abbastanza dettagliato da trasmetterne efficacemente la personalità, soprattutto nelle straordinarie espressioni facciali nei primi piani. Similmente, la cura delle location e degli sfondi riesce a catturare la giusta sensazione di decadenza, di sporcizia, di miseria. In particolare mi sento di lodare La stanza di nuvole (per la regia e per il pregnante simbolismo di una scena) e La canzone del diavolo (per una scena molto disturbante con un design che sembra dover molto al Devilman di Gō Nagai). Tuttavia, a volte alcune scene non riescono a non sembrarmi un po' confuse, come se affrettate.

In generale, comunque, come collezione di storie drammatiche che danno spazio ai dannati, agli "strani", a vari tipi di emarginati dalla società, funziona bene. Non lo definirei un capolavoro assoluto, ma in una discussione sulla natura artistica del manga, ovvero se il manga come medium abbia il potenziale di raggiungere lo stato di "arte elevata", è un titolo che tirerei in ballo. Ma che sia chiaro, non è una lettura "leggera": è un fumetto col Sigillo di Approvazione di Mariottide, quindi non prendetelo in mano a meno che non abbiate voglia di qualcosa di più cupo e più adulto nei temi trattati, un po' più vicino a quelli che potrebbero essere racconti naturalisti o persino sosekiani/mishimiani. Ma merita, e parecchio.

In Italia è edito da GOEN Edizioni nella collana ULTRA GO!.