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9 mar 2020

[Rant] Corona non perdona - Le lezioni che questa epidemia può insegnarci

In un modo o nell'altro, prima o poi, la tempesta del Coronavirus passerà. Quando succederà, mi piacerebbe che diventasse il catalizzatore per imporci un paio di riflessioni valide anche in periodi "non-emergenziali".

LEZIONE N°1:

Se vai a lavorare (o obblighi a lavorare) con 38 di febbre, non sei un eroe: sei un cretino.

Un cretino e un irresponsabile, che mette a repentaglio la propria salute e quella altrui. Questo, sia chiaro, non solo "ai tempi del Coronavirus", ma anche col più banale dei raffreddori stagionali: perché andando in ufficio si rischiano peggioramenti o ricadute, e si rischia di contagiare colleghi che potrebbero avere, fra i parenti o gli amici, persone anziane o immunodepresse. E uno Stato che non consente a tutti i lavoratori (TUTTI, autonomi compresi) il diritto alla malattia, espone quelli meno agiati ad un ricatto che costituisce un minaccia attiva alla salute pubblica.

Sarà capitato a tutti di sentir qualcuno dire "io sono andato a lavorare anche con 38 di febbre!", o "io da incinta ho lavorato fino al giorno prima del parto e il giorno dopo ero già alla scrivania!" o cose del genere, come se fossero atti eroice di cui vantarsi. Tant'è che poi parte quasi la gara, no?
-"Io una volta sono andato a lavorare con 39 di febbre!"
-"Io con 40!"
-"Io con la polmonite!"
-"Io col vaiolo!"
-"Io con la lebbra!"
-"Io un mattino ho avuto un infarto in catena di montaggio ma ho stretto i denti e resistito fino a fine turno, poi prima di andare dal dottore sono ancora passato in banca e dall'assicurazione!"
-"Eeeeh, quante storie, io sono morto due anni fa eppure ogni mattina mi alzo dalla tomba e vengo a lavorare!"

Ecco, vorrei che la storia della diffusione del Covid-19, soprattutto nel suo focolaio iniziale in Lombardia, diventasse l'esempio per capire quanto questa mentalità sia pericolosa, per sé stessi e per gli altri.


LEZIONE N°2:

L'importanza di una sanità pubblica ed efficace.

Laddove "efficace", per un "sistema di sicurezza", significa innanzitutto ridondante, ben equipaggiata, capillare sul territorio, dotata di tutto il personale necessario e poi ancora un po' di più ché non si sa mai. Di fronte alle grandi emergenze (che sono, per definizione, impossibili da programmare) è la sanità pubblica (o convenzionata) ad assorbire l'impatto; non certo quella privata, che mossa inevitabilmente da logiche di profitto e di efficientamento dei costi ha tutto l'interesse a non attuare (e a non essere equipaggiata per attuare) misure capillari di cura, contenimento, isolamento.

Sono felice di notare che molti commentatori e molte testate giornalistiche sembrano aver recepito e rilanciato questa lezione. Ma da questa, ne consegue un'altra: che tutti i politici e le istituzioni che negli ultimi anni hanno eseguito più di 37 miliardi di tagli al SSN, che sbandierano l'importanza di "tagliare gli sprechi della sanità pubblica", che parlano di esternalizzazioni, aziendalizzazioni, finanziamenti alla sanità privata; da Berlusconi (quindi la destra) a Monti (quindi la destra) al triplete Letta-Renzi-Gentiloni (quindi la destra), dai governatori Zaia, Toti e Fontana (quindi la destra) a Bonaccini (quindi la destra), vanno chiamati col loro nome. Un nome che il mio avvocato mi sconsiglia di riportare qui.

Ma dopo averli chiamati col loro nome, bisogna agire di conseguenza. Questa gente non deve più vedere un voto nemmeno dai suoi parenti.

LEZIONE N°3

L'irresponsabilità del giornalismo.
 
Quanto hanno calcato la mano su 'sta nuova epidemia finché era solo in Cina? Quanto hanno alimentato l'allarmismo, con servizi continui e dirette e bollettini di contagio? Quanti  abbiamo visto titolare con OMMIODDIO TRE CASI A VERGATE SUL MEMBRO QUARANTENA IMMAGINI DI AMBULANZE NIINOOO NIINOOOO PANICOPAPANICOPAPANICOEPAURA, per poi aprire l'articolo e scoprire che erano magari casi sospetti, di persone presentatesi volontariamente per il test, a cui poi sono risultate negative?

Poi abbiamo visto le stesse testate, le stesse firme, meravigliarsi per la psicosi, per le piazze vuote, per gli assalti ai supermercati; fare appelli all'equilibrio dopo aver visto i danni economici che la situazione stava creando. Poi, abbiamo visto pubblicare notizie discordanti e non verificate, voci discordanti e poi smentite su ceppi italici pre-cinesi o manager lombardi di ritorno dalla Cina; lo stesso virus presentato nelle ore pari come la nuova peste bubbonica e nelle ore dispari come poco più di un'influenza. Fino all'estremo della sera del 7 marzo, in cui svariati giornali online hanno titolato con informazioni parziali trapelate da bozze in corso d'opera di decreti governativi. Come potrebbe questa micidiale combinazione non generare confusione, rabbia, sfiducia, impulsività e panico in una popolazione già preda di una paura tutto sommato naturale?

Ecco. Possiamo parlare, se non di fake news e di sciacallaggio, quantomeno di irresponsabilità, o sono termini che valgono solo se si contano musse sui personaggi politici che stanno simpatici a quel particolare giornale?

LEZIONE N°4

Il parassitismo del capitalismo non si ferma davanti a niente.

Nemmeno di fronte ad un pericolo di epidemia tanto i giganti dell'e-commerce quanto piccoli commercianti si sono trattenuti dallo speculare sui prezzi di amuchina, mascherine e altri beni sanitari, aumentandone i prezzi a dismisura. Il tutto mentre ospedali e personale sanitario ne sono drammaticamente a corto, peraltro. E non parliamo della borsa e della fuga dei capitali, ché lì davvero mi viene la bava alla bocca.

Ora, credo che nessuno, a parte qualche ultraliberale coi poster di Margareth Thatcher in camera, difenda manovre di questo tipo, e appunto in Italia non sono mancate denunce e azioni giudiziarie per contrastarle, quindi penso di poter dire che questa lezione è stata assimilata ben prima che io o chiunque altro la facessimo notare. Vorrei però porre l'accento su un aspetto che sta un passettino più in là: manovre come questa non sono colpa di qualcuno che è brutto e cattivo, non sono problemi morali individuali, ma sistemici, intrinsechi già solo nella legge della domanda e dell'offerta che sta al cuore del capitalismo come metodo di produzione e distribuzione dei beni.

Comportamenti di questo tipo sono non solo permessi, non solo incoraggiati, ma premiati nell'economia capitalista competitiva, e chi non li attua rimane indietro, pone in svantaggio la propria attività (e, di conseguenza, la propria sopravvivenza e quella di eventuali famigliari, impiegati ecc.).


LEZIONE N°5

L'estrema fragilità della nostra società economica globalizzata. 

Da che esiste la civiltà umana, l'interculturalità e lo scambio fra popoli sono stati una costante e un catalizzatore di sviluppo ed evoluzione. Persino i comunisti non criticano la globalizzazione in quanto tale, ma le "regole del gioco" che la muovono e gli interessi di chi la dirige (che oggi come oggi la rendono l'equivalente dell'aprire i recinti per far pascolare pecore e galline nello stesso campo dove vagano faine, volpi, leoni, velociraptor, sciami di Zerg, e i predatori più spietati e sanguinari di tutti: gli speculatori di borsa). No, il problema non è l'interconnessione di per sé, ma l'interdipendenza, e la sua inafferrabile velocità.

Prima ancora che, in appena due mesi e con pochissimi gradi di separazione, un solo centro di diffusione generesse focolai secondari a migliaia di chilometri di distanza solo tramite viaggiatori umani (il focolaio lombardo è emblematico in questo senso), le misure prese dal governo cinese avevano provocato conseguenze economiche concretissime in tutto il mondo, perché aziende americane ed europee di automobili, elettronica ecc. si sono improvvisamente trovate con i fornitori fermi. Questo prima ancora che si palesasse tutto il tragico domino su turismo, ristorazione, compagnie aeree, assicurazioni, musei, teatri, spettacolo, cultura, mercati finanziari ecc. ecc. che sta mettendo in ginocchio Italia e altri Stati europei. Economie in cui migliaia di persone, dipendenti e autonomi, vivono in zone a rischio e hanno contatti a rischio ma letteralmente non si possono permettere di non andare a lavorare.

Il nostro sistema economico è imperniato sul libero mercato globale di merci e capitali, così radicalmente ostile a regolamentazione e pianificazione, impostato sulla dislocazione e la frammentazione della produzione in base alle convenienze contingenti, improntato alla logica just-in-time, alla velocità di distribuzione e alla continua ricerca di novità (di modo che i concetti di progettare per la longevità e di fare scorta per le emergenze sono venuti a sparire), in cui la maggior parte delle persone e delle attività si barcamena costantemente sul ciglio della bancarotta senza la stabilità economica per sostenere l'impatto di un'emergenza imprevedibile. È una costruzione certamente colossale, ma che si regge su sottili fondamenta di cartone, tali che un minimo tremore provoca conseguenze devastanti, un solo bullone saltato crolli diffusi. 

Tutto questo a causa di una malattia certo grave e pericolosa, ma non catastrofica, incomparabile per mortalità e virulenza alle grandi epidemie del passato (peste, colera, vaiolo?) o alle rischiate epidemie del recente (ebola?). Se comparissero patogeni peggiori, magari quei microorganismi antichi che pare si libereranno dallo scioglimento dei ghiacci, cosa succederebbe? Come potremmo sperare di tenerci in piedi?

Forse dovremmo ricominciare a pianificare per le emergenze. Anzi: a pianificare, punto. Tenere scorte, favorire l'autoproduzione di alcune risorse alimentari dovunque possibile, costituire filiere corte e locali ovunque possibili, garantire reti di sicurezza sociali diffuse, ecc. ecc.


LEZIONE N°6

Siamo soli.

When shit hits the fan, in tutte le grandi istituzioni internazionali che tanto abbiamo glorificato (UE, NATO, ONU), regna un solo imperativo: "si salvi chi può". Se non fossero bastate le lezioni del genocidio in Ruanda, dei conflitti arabo-israeliani, dell'invasione turca della Siria, dell'attentato terroristico compiuto dagli Stati Uniti contro l'Iran ecc., ecco quella del Coronavirus.

Appena abbiamo iniziato a sembrare gli appestati d'Europa, una nazione dopo l'altra ha chiuso gli accessi a cittadini italiani, bloccato le esportazioni di materiale medico, posto limiti ai prodotti italiani, solo divisione e dinieghi. Abbiamo Stati che nascondono i dati del contagio per non danneggiare l'economia, o che limitano i tamponi per limitare i casi confermati, o che soppesano se privilegiare le borse o il contenimento. Tutto quello che possiamo sperare dall'UE è di elemosinare qualche miliardino di "flessibilità" rispetto al feticismo dei parametri e dei bilanci per le "spese d'emergenza". Paradossalmente, l'unica cooperazione concreta è giunta dalla Cina (!!!) e, nei confronti di quest'ultima, da Cuba.

Mettiamocelo in testa: non esiste solidarietà internazionale all'interno delle istituzioni borghesi, o meglio, esiste solo finché può essere fatta coincidere col profitto.


LEZIONE N°7

Il telelavoro esiste.

Dato che con la paura del virus abbiamo scoperto che in molti settori è possibile lavorare tranquillamente da casa, chissà, magari ce ne ricorderemo anche quando la paura sarà passata, e ci renderemo conto che (per auto-citarmi) «farsi 20km ogni giorno per lavorare su un foglio Excel è un insulto all'intelligenza umana». A quel punto i vantaggi dello smart working saranno "solo" correlati a minore inquinamento, maggiore produttività, riduzione di traffico stradale e relativi incidenti, riduzione dello stress ecc.

LEZIONE N°8

Non siamo pronti. Leggetelo come se ve lo dicesse Illidan Stormrage: You are not prepared.

Come evidenziato in un brillante monologo di Maurizio Crozza, questa è la prima volta dopo decenni che capita un evento di questa portata a una nazione sviluppata del Primo Mondo, e tanto fra i governanti quanto fra la popolazione è emerso quanto siamo impreparati ad affrontarla, anche a livello mentale e individuale, drogati come siamo di fatturato, di individualismo, di vite viziate e iperattive.

Gli stessi italiani che avevano avuto un rigurgito di sinofobia alla vista di un paio d'occhi vagamente a mandorla, che alle prime avvisaglie avevano svaligiato i supermercati, oggi, col contagio galoppante sotto casa, si sforzano di eludere quarantene e controlli.... per andare a sciare. Ignorano le disperate richieste del personale sanitario di evitare assembramenti e stare in casa... per apericena scaccia-paura o per andare a vedere Elettra fuckin' Lamborghini o per la solita, insulsa gitarella del weekend in Riviera M'OU BELIN 'STI FORESTI MANGIANÊGIA COSSE GH'AN DA VEGNÎ A SANNA O L'È FINN-A MARSO. Talvolta condendole pure con retoriche cringe tipo "Milano non si ferma" o "In un mondo che ci vuole chiusi in casa, uscire è un atto rivoluzionario".

Se la Cina ha saputo reagire con manovre decise, che sono state lodate anche dall'OMS per la loro efficacia nel contenere il virus (anche grazie una sanità statale e a imprese statali), e il suo popolo ha saputo recepirle ed applicarle, noialtri Paesi "liberi" e "civilizzati" e "democratici" abbiamo dimostrato di non avere nemmeno la mentalità e la coscienza sociale per sacrificare temporaneamente le nostre comodità, le nostre routine, alle indicazioni delle autorità volte a salvaguardare la salute pubblica (se siano misure efficaci, necessarie e/o sufficienti è un altro discorso); non abbiamo la lucidità di renderci conto del peso potenziale che ognuno di noi ha nella collettività; né esponenti del nostro giornalismo e del nostro potere esecutivo hanno avuto il senso di responsabilità di non diffondere notizie su bozze in fieri di decreti governativi prima che venissero ufficializzate e messe a punto, scatenando panico e reazioni incontrollate che rischiano di vanificare due settimane di sforzi.

Per citare un meme che va molto di moda ultimamente (un meme originato dalla destra americana, non vogliatemene): non siamo un clown, siamo l'intero circo.

4 mar 2020

[Angolo del Muguno] A.d.M. 10 - Pagliacci incoronati

Bentornati all'Angolo del Mugugno, la rubrica occasionale in cui mi concedo di delirare sugli argomenti più disparati assumendo toni che in un bar di paese mi frutterebbero prima o poi una sacrosanta bottigliata in testa ma che, a quanto pare, sono considerati accettabili dalle grandi firme della grande stampa nazionale.

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1) Sapete cosa odio? OK, tante cose. OK, troppe cose. OK, quasi tutto, ma in questo preciso momento, dico? L'ipocrisia di chi, soprattutto fra i politici e gli appassionati di politica, si riempie la bocca di LASSCIENZA e LASSCIENZA NON È DEMOCRATICA, ma solo quando fa comodo. Quelli, cioè, che quando si parla di vaccini e antivaccinismo allora LASSCIENZA di qui LASSCIENZA di là e sono anche disposti a parlare di patentino di voto e misure repressive, ma quando la stessa LASSCIENZA dice che per il rispetto dei ritmi biologici e per la salute neurologica tanto degli adolescenti quanto degli adulti scuole e uffici non dovrebbero aprire prima delle 10, altrimenti si sottopone il cervello a uno stress letteralmente equivalente a quello di una tortura, insieme a decine di altri studi e statistiche che evidenziano l'insostenibilità fisica e psicologica dei ritmi lavorativi impostisi negli ultimi decenni, allora manco se ne discute. Già, perché è molto più facile blastare un poveraccio poco istruito che non sa distinguere una notizia falsa da una vera che mettere in discussione lo status quo del nostro modello socioeconomico, vero?


2) NEW RULE: Chi, per difendere l'immigrazione dagli strali di razzisti e destre assortite, usa discorsi come "ci pagheranno la pensione" o i "lavori che gli italiani non vogliono fare", è dieci volte più razzista dei razzisti.
"C'è bisogno di persone che raccolgano il cotone pomodori ed arance vivendo in bidonville". Chi parla così ha perfettamente individuato un problema di fondo, che contribuisce tanto al perché venga favorita un'immigrazione in tali numeri quanto al perché venga accolta con diffusi e orrendi rigurgiti di razzismo: gli italiani non vogliono fare quei lavori. Perché sono senza orari, senza contratti, senza diritti, con stipendi da fame.
Il problema non è che i lavoratori italiani non sono disposti a fare quei lavori, è che i padroni italiani non sono disposti a pagarli dignitosamente, mentre gli immigrati (non per colpa loro, ci tengo a sottolineare) sono abbastanza disperati da accettare anche quello pur di sopravvivere. Chi li ringrazia in quanto disposti a coprire questo ruolo, quindi, li vede non come esseri umani, degni in quanto tali di rispetto, dignità, diritti e benessere, ma come schiavi, come tanti piccoli Atlante sulle cui spalle caricare il peso del nostro stile di vita.
2bis) Questo, ovviamente, non giustifica né rende meno grave il cascare come polli nella retorica da guerra fra poveri, capolavoro delle classi dominanti perfettamente ritratto in una vignetta satirica che gira molto ultimamente. Ma, ahimè, non basta l'amore a curare l'odio, e non basta leggere e viaggiare per curare la xenofobia. A volte bisogna anche cambiare qualcosa nella realtà oggettiva.

Non ritratto: un signore più giovane e sbarazzino seduto su un gigantesco trono fatto di biscotti si cruccia del razzismo contro gli immigrati senza biscotti, e sostiene che se gli operai non hanno biscotti è perché sono pigri e improduttivi e dovrebbero darsi da fare di più.
Non conosco l'autore, se me lo dite vi regalo un biscotto.

3) NEW RULE: qualsiasi partito che voglia davvero dirsi di cambiamento e moralità deve includere nel proprio programma politico la possibilità di (per usare un termine tecnico giuridico) scendere una ramata di masconi sul cranio di quei fumatori che gettano a terra i mozziconi di sigaretta. La considero una battaglia di civiltà: non è possibile che nel 2020 io possa vedere lo scempio quotidiano di un tizio che getta un mozzicone su un marciapiede o in mezzo a una piazza storica senza avere il diritto di roncolargli il setto nasale.


4) Qualche tempo fa ho acquistato due pacchi di un certo prodotto italiano. Li ho acquistati tramite Amazon, perché servivano urgentemente per lavoro ma i miei impegni della settimana non mi consentivano il tempo di andare in un negozio fisico come faccio di solito, ma direttamente dalla pagina ufficiale del produttore, ovvero dal "negozio Amazon" del produttore. Per qualche ragione, queste due confezioni dello stesso prodotto mi sono state mandate in due spedizioni diverse, fatte da due corrieri diversi, a 24 ore di distanza l'una dall'altra.
Ora, quando giustamente ascoltiamo Greta Thumberg, e più che giustamente ci impegniamo a prendere borracce e ad andare più spesso a piedi, e più che più che giustamente pretendiamo azioni da governi e istituzioni, vorrei che ci ricordassimo anche di aberranti pagliacciate come questa. E vorrei che ci ricordassimo che aberranti idiozie come questa non possono essere risolte a suon di "bambini buoni sentimenti felici e contenti" (cit.) o a suon di cartelloni con battute sagaci - e vagamente sessuali - ma solo con iniziative politico-legislative statali e internazionali che abbiano il coraggio di sollevare per la collottola le grandi aziende, i mercati, gli investitori, i loro interessi, e perché no anche l'abitudine alla comodità di noi consumatori, e metta loro una solida catena al collo. E quindi, con forze politiche che abbiano quel tipo di intenzione e quel tipo di coraggio.

IL MAESTRO PHAZYO DELIVERA ANCORA UNA VOLTA LA VERITÀ

5) Sapete cosa mi ricorda, 'sta questione del Coronavirus in Italia e dell'ennesima, ridicola, tardiva psicosi collettiva che ne è risultata? Quella delle alluvioni e del dissesto idrogeologico in Liguria: per tutto l'anno non si spende un euro per pulire i fiumi, rimettere in sesto i versanti montani, impedire gli abusi edilizi e le cementificazioni selvagge, verificare la manutenzione di strade ecc.; poi, però, alla prima disgrazia, scatta emergenza continua, e appena minaccia due gocce di pioggia si chiudono scuole e uffici. Certo, è sempre meglio che non fare assolutamente nulla, ma ci si limita a tamponare un problema che si dovrebbe, si potrebbe e si sarebbe potuto risolvere più a monte. Ad esempio, non tagliando 37 miliardi e 70.000 posti letto nella sanità pubblica negli ultimi 10 anni.
E invece? E invece assistiamo a pagliacciate incrociate; scontri fra esperti che dipingono due estremi opposti del contagio; giornali che prima cercano il sensazionalismo e creano il panico e poi si stupiscono se la gente si fa prendere dal panico; chiusure parziali di pura facciata (sospese le lezioni, ma personale regolarmente al lavoro, attività regolarmente aperte, e ragazzini liberi di vagare in lungo e in largo in queste insperate due settimane di ferie nel bel mezzo del pentamestre); onanismo retorico sulla grandiosità della nostra risposta mentre il personale sta per scoppiare, gli ospedali si saturano, il materiale sanitario semplicemente non c'è, e la gente scappa dalle zone sotto quarantena per andare a svernare nella riviera ligure.


6) Con l'emergenza Coronavirus, sembriamo esserci dimenticati che il secondo meme del 2020, dopo quello del papa gangsta che picchia la cinese, è stato la minaccia della terza guerra mondiale, ma vorrei ricordarlo un attimino. Il 3 gennaio 2020 gli USA hanno compiuto un raid militare contro una struttura di uno stato sovrano, l'Iraq, al fine di uccidere il generale di un altro stato sovrano, l'Iran.
A prescindere da qualunque opinione sul generale ucciso o sull'Iran in generale, questo fu senza dubbio un atto illegale, che se avessimo subito in Europa per mano di una qualsivoglia nazione musulmana non avremmo esitato a definire "attentato terroristico". Perché questo è: terrorismo internazionale. Chissà come mai, però, questa volta non abbiamo visto, dal variopinto circo degli organi internazionali in teoria nati per garantire la pace, sanzioni economiche, né ritorsioni diplomatiche; non sono giunte dure condanne o critiche unanimi né dalla cosiddetta "sinistra" (che dovrebbe rifiutare queste violazioni aggressive del diritto internazionale, che tanto difende invece in materia di immigrazione) né dai cosiddetti "sovranisti" (che dovrebbero rifiutare queste violazioni, appunto, della sovranità e dei confini nazionali altrui, che tanto difendono invece quando si tratta di lasciar morire in mare dei poveracci).
6bis) Provate a immaginarvelo traslato qui. Se l'aviazione, chessò, siriana avesse attaccato un aereoporto italiano uccidendo una dozzina di civili al fine di eliminale un generale spagnolo, o al contrario, avesse ucciso un generale italiano bombardando un'autostrada polacca. O se, chessò, i servizi segreti americani avessero rapito in Italia un residente italian... ah no aspetta quello è successo davvero.
6ter) Se gli Stati Uniti si potessero guardare da fuori, avrebbero tutte le caratteristiche per auto-definirsi "Stato-canaglia".

28 feb 2020

[Recensione] Saya no uta - Song of Saya

沙耶の唄, 2003
Saya no uta è un perfetto esempio di quei miscugli inumani di generi che possono uscire dal Giappone, e che solo una visual novel giapponese poteva sperare di far funzionare così bene. Potremmo definirla una storia di horror lovecraftiano con forti elementi thriller, romantici ed erotici.

Una qualità che non dovrebbe sorprenderci, considerando che è frutto del genio malato di Gen "Urobutcher" Urobuchi, che sarebbe diventato autore di Psycho Pass, Fate/Zero e Puella Magi Madoka Magica!

A seguito di un terribile incidente stradale, Sakisaka Fuminori, uno studente di medicina, ha perso i genitori ed ha dovuto subire una procedura neurochirurgica sperimentale per salvarsi da un coma altrimenti irreversibile. Al suo risveglio, però, il mondo è cambiato: ogni cosa sembra ricoperta di uno strato di carne e viscere; le persone intorno a lui, compresi i suoi amici di sempre, hanno l'aspetto di mostri indefinibili, viscosi e purulenti, coperti di occhi e tentacoli, la cui stessa voce è una tale distorsione blasfema dei suoni umani da urtargli le orecchie; persino al tatto e all'olfatto il mondo che conosceva si è trasformato in un inferno nauseabondo che minaccia ogni giorno di farlo impazzire. Lui sa, è abbastanza razionale e istruito da rendersene conto, che la sua è solo una distorsione cognitiva causata dall'incidente, mentre la realtà non è cambiata affatto, ma n quelle condizioni ogni parvenza di vita normale gli è preclusa. Mentre contempla il suicidio, però, una notte, nella sua camera d'ospedale compare una ragazzina, Saya, l'unica ad apparirgli perfettamente normale e anzi incredibilmente bella e angelica. Divenuti l'un l'altra l'unico rifugio di affetto e serenità in un mondo di estraniante solitudine, i due iniziano presto a vivere insieme. Ma...


Ma è molto difficile a questo punto provare a descrivere cosa sia Saya no Uta senza commettere reato di spoiler e quindi rovinare l'effetto delle sue scene migliori. Certo posso dire questo: erano anni che un videogioco o un libro (nelle visual novel il confine fra i due reami è molto labile) non mi facevano provare un'esperienza di Orrore di questa intensità.

Perché la visual novel, evitando di commettere l'errore che troppi horror hanno commesso negli anni, ovvero quello di mostrare la natura e la forma di ciò di cui dovremmo aver paura, valorizza a fondo il carattere lovecraftiano del setting (creature talmente abominevoli che la mente semplicemente non riesce a comprenderle, e la cui visione è sufficiente a mandare in frantumi la razionalità umana), abilmente evidenziato anche da molti degli ottimi dialoghi, e lascia che l'orrore si formi da solo nella testa del lettore/giocatore molto prima di divenire esplicito. Anche i disegni spesso si soffermano su dettagli parziali, lasciando tutto il resto in ombra.




Inoltre, Saya no Uta è anche un eroge, quindi ci sono scene... esplicite. Come se non bastassero abomini purulenti e e il gore e il cannibalismo, vogliamo farci mancare efebofilia, stupro e tortura? Ma non sia mai, Urobuchi, non sia mai!

Battute a parte, le scene di sesso sono abbastanza poche e danno l'impressione di essere messe lì a caso, giusto perché la Nitroplus si sentiva in dovere di onorare il proprio brand; spesso mi sono sembrate forzate e non necessarie, e non certo perché erano troppo "fucked up" per essere erotiche (insomma... il mio limite è un po' più in là). Allo stesso tempo, però, ho trovato che la maggior parte di esse non stonassero nel complesso, dato il contesto di degenerazione mentale mista a dolce intimità in cui si svolge la storia. Certo la loro assenza dalla versione censurata del gioco presente su Steam non ne inficia il godimento, anzi, potrebbe sicuramente migliorarlo per le persone... più sensibili. O meglio, meno malate. (Per noialtri, invece, c'è JAST USA.)

Perché oltre agli elementi pruriginosi, al suo cuore Saya no Uta è altro. La narrazione si incentra di volta in volta su personaggi diversi, facendoci vedere il mondo dalla loro prospettiva, e ho trovato interessante notare come il genere della storia sembrasse mutare ad ogni cambio: per Koji era un thriller, per Yō e Omi era un horror splatter, ma per Saya e Fuminori è, indiscutibilmente, una storia d'amore. Di amore vero, sincero, tenero, fra due persone che hanno solo l'un l'altra in un mondo che li rifiuta ed emarginalizza senza che né gli uni né gli altri ne abbiano alcuna colpa, e che sono disposti a tutto per aiutarsi e per raggiungere la propria felicità.


Ecco, questo, forse, è il più grande risultato di Song of Saya: più dell'efficacia dell'atmosfera e della colonna sonora, più della paura e dell'orrore, più della qualità dei dialoghi e dei disegni, più del suo tono lovecraftiano, è il cambio radicale, quasi ontologico di prospettiva a cui obbliga il lettore senza nemmeno che se ne renda conto. In una storia in cui protagonisti, villain, e anti-eroi che si aggrappano disperatamente all'ultimo filo di lucidità rimasto sono mescolati in un continuo gioco delle tre carte, Saya no Uta riesce a dipingere l'abominevole e, con un gioco di mano, a renderlo... bello. Romantico. Malinconicamente dolce.

22 feb 2020

[Recensione] Il Seggio Vacante

The Casual Vacancy, 2012

Il Seggio Vacante, primo libro di J.K. Rowling destinato esclusivamente a un pubblico adulto, abbandona totalmente l'universo Harry Potter per lanciarsi nel campo minato della quotidianità, della psicologia e della politica, e ne esce decisamente a testa alta, dimostrando una sensibilità e una qualità narrativa da me del tutto inaspettate.

La vita del tranquillo paesino di Pagford, nella campagna inglese, è sconvolta dalla morte improvvisa di Barry Fairbrother, stimato insegnante e personalità molto attiva nella comunità locale. La sua scomparsa, e ancora più il seggio che lascia vuoto nel consiglio comunale, saranno il catalizzatore che farà emergere prepotentemente i conflitti e le ipocrisie che ribollivano appena sotto la superficie apparentemente idilliaca di Pagford.
«Kay ci rimase malissimo, non avrebbe dovuto fare nomi; a Londra non era una precauzione importante, ma a Pagford evidentemente si conoscevano proprio tutti.»
Leggendo Il Seggio Vacante, il mio primo paragone è stato con I Malavoglia: un romanzo corale di una piccola comunità di pettegoli il cui fragile equilibrio è spezzato da un singolo evento casuale, e in cui le vite dei personaggi si intrecciano e si influenzano a vicenda in una complessità tanto (spesso) indistricabile quanto perfettamente realistica.

Lo stile narrativo è ovviamente ben diverso: la Rowling, per quanto efficace nel suo continuo cambiare il focus del suo sguardo indagatore mantenendo una voce neutrale e priva di giudizi, non ha il piglio verista di Verga, anzi sparse qua e là nel romanzo sono diffuse una miriade di immagini e analogie, poetiche tanto quelle più raffinate quanto quelle più crude e caustiche; ma qualcosa nella carrellata di presentazioni che si susseguono nella prima parte del libro mi ha riportato la mente ad Aci Trezza.

«Krystal era passata lentamente da una classe all'altra come una capra che avanza nel corpo di un boa constrictor: visibilissima e disagevole per entrambe le parti.»

A differenza del capolavoro verghiano, però, la tematica è tanto intimamente personale (la psicologia dei personaggi e i loro conflitti, sia interiori che esteriori) quanto apertamente politica: questa, infatti, intesa come piccola politica locale con le sue questioni specifiche e le sue bassezze, è presente con chiarezza nella testa di ognuno dei personaggi, e anzi molti ne sono attivamente coinvolti, laddove in Verga i cambiamenti del Risorgimento erano un qualcosa di indefinito che si agitava sullo sfondo e di cui si sentivano solo gli effetti remoti, le onde d'urto.

Che dire, quindi, di questo cast corale? Detta nel modo più semplice e brutale, è una carrellata variopinta di persone di merda. A parte Barry Fairbrother, la cui assenza aleggia su tutte le vicende del romanzo e che pur coi suoi difetti sembra veramente l'unica persona decente in paese, per motivi diversi e in modi diversi sono tutte persone di merda; quella merda banale, quotidiana, tutto sommato perdonabile nella maggior parte dei casi, che ciascuno di noi sicuramente conosce e riconosce bene, ma che viene accuratamente nascosta sotto un velo più o meno sottile di ipocrisia, finzione e opportunismo, o al contrario esposta con ricercata e ribelle ostentazione.

Ognuno dei personaggi è ben delineato, caratterizzato in maniera complessa e tridimensionale, e l'autrice dimostra una maestria non indifferente sia nel farli emergere con chiarezza dalle pagine sia nel dar loro un arco o quantomeno una backstory.  

Quasi nessuno, infatti, è presentato come del tutto "negativo" o irredimibile. Da Sukhvinder, fondamentalmente una vittima; a Colin "Cubicle" Wall, una persona ansiosa, severa, con un brutto segreto, ma profondamente buono, che si rende conto di essere malato e si impegna con tutte le sue forze per non fare del male al prossimo; a Krystal Weedon, una ragazza problematica e violenta ma, come Barry ha saputo dimostrare, capace di migliorare perché, in fondo, col cuore al posto giusto, sebbene piagato da condizioni difficilissime su cui non ha alcuna colpa; persino a Simon Price, quasi l'archetipo dell'orco domestico che viene inspiegabilmente sempre difeso e giustificato dalla moglie, e a Stuart "Ciccio" Wall, curiosissimo misto fra un patetico bulletto adolescente e un ricercato filosofo nichilista, la Rowling non nega l'emergere di un barlume di luce, una speranza di redenzione. Quasi paradossalmente, la persona ritratta in maniera più impietosa è Shirley, apparentemente una vecchietta innocua, socialmente attiva e affabile, ma in realtà astiosa, egocentrica, vendicativa, assetata di potere, razzista e omofoba; ma nemmeno lei è priva di una storia che, almeno in parte, spiega il suo carattere.
«Lo sbaglio che faceva il novantanove per cento dell'umanità, secondo Ciccio, era quello di vergognarsi di se stessi: mentire su come si è, cercare di essere qualcun altro.»
Dal punto di vista del tema politico-sociale, ammetto nuovamente di essere stato sorpreso. Dalla Rowling, che ormai è diventata un meme per il suo far diventare i suoi personaggi retroattivamente gay, neri o trans o che altro a caso, mi aspettavo un'attenzione esclusiva a temi civili sovrastrutturali, denunce superficiali a esempi quasi caricaturali di razzismo o sessismo; invece, ne Il Seggio Vacante ho trovato un'attenzione molto sensibile a temi sociali quotidiani a 360°, che certo toccano anche il razzismo e l'omofobia ma che, di base, si fondano sul classismo e sul campanilismo.

Pagford, infatti, è da anni presa dal dibattito sui Fields, un quartiere problematico e disagiato costruito a seguito di una speculazione edilizia di un ex-nobile. La zona è "contesa" fra Pagford (che vorrebbe liberarsene e non averne i bambini nella propria scuola) e la vicina cittadina di Yarsil (di cui fa teoricamente parte, ma che vi fornisce ben poco in termini di servizi); inoltre, essa comprende il centro di riabilitazione per tossicodipendenti di Bellchapel (il cui edificio appartiene al comune di Pagford).

Rowling indaga con sottigliezza le varie sfumature che l'argomento acquista nelle teste dei vari personaggi, pur senza mai perdere il focus sulla loro interiorità, e intelligentemente evita di raggiungere una conclusione dogmatica e didattica (qualcuno direbbe "buonista" o "cattivista"), invece presentando tutte le dovute (e realistiche) complessità del caso.

Coincidentalmente: anche qui, come in Joker, la tragedia centrale della storia è messa in moto da tagli al servizio sanitario pubblico. Una curiosa quanto deliziosa analogia che mi sento di evidenziare.

Non riusciva mai a cogliere l'immensa mutevolezza della natura umana, né che dietro ogni faccia, anche la più anonima, si nascondeva un mondo unico e in continuo fermento esattamente come il suo.

Ma più di ogni altra cosa, a essere messo alla berlina è un comprensivo campionario di ipocrisia. Pagford e i suoi abitanti respirano ipocrisia, finzione, dissimulazione. Da questo punto di vista capisco perché Rowling l'abbia definito un romanzo "profondamente inglese". Fra i personaggi si svolge tutto un gioco di frecciatine, di finta cordialità soprattutto con persone che si odia, di passivo-aggressività, di cercare di prevalere socialmente a suon di pettegolezzi saputi (o raccontati) prima degli altri o a suon di attenzioni o compassioni ricevute; un equilibrio di facciata nel quale la ventata di genuinità ingenua di un personaggio come Ciccio (che rappresenta una "sincerità" falsa, ostentata e ipocrita quanto quella dei suoi "nemici ideologici", ma comunque profondamente destabilizzante) e il flusso di verità scomode (quasi dei segreti di Pulcinella) rivelate da "il fantasma di Fairbrother" risultano ancora più dirompenti.

Insomma, davvero un bel romanzo, maturo e ambizioso, che mostra un lato dell'autrice sorprendentemente sofisticato.