Nella mia duplice attività lavorativa a contatto con studenti, una delle cose che più mi impegno a cercare di trasmettere ai ragazzini è la passione, la curiosità, il senso di meraviglia che deriva dall'imparare, l'importanza della cultura e della conoscenza a prescindere da tutto. Perché, più di ogni altra cosa, ritengo che per un cittadino sia fondamentale restare curiosi, nonostante la scuola.
Sì, nonostante la scuola. Il sistema d'istruzione italiano, pur con i suoi numerosi e innegabili pregi, è purtroppo largamente improntato a un insegnamento nozionistico fine a sé stesso, mentre le più recenti riforme hanno invece cercato di muoverlo in senso biecamente utilitaristico, mirato cioè all'immediata spendibilità nel mondo del lavoro. Insomma, una delle peggiori combinazioni possibili. Aggiungiamo un corpo docente spesso tragicamente inadeguato, e il quadro risulta drammaticamente desolante.
Intendiamoci: esistono insegnanti straordinari, vivi di sincera passione per la loro materia, in grado di trasmettere non solo le nozioni previste dal programma ma anche quella gioia e quel trasporto che illuminano loro gli occhi mentre spiegano, con cui si complimentano con un alunno che riesce bene e spronano a migliorare un altro in difficoltà, come una sorta di virus benefico che dovunque riesca ad attecchire trasforma per il meglio i giovani. Da questo punto di vista, io posso dire di essere stato fortunato, perché ne ho avuti parecchi: le mie passioni per l'inglese, per il latino, per la storia dell'arte, per la politica, per la letteratura, per le religioni orientali, per Yukio Mishima, per l'antropologia, per la storia ecc. hanno la loro radice in nomi, cognomi e facce ben precisi, verso cui nutro una gratitudine infinita, verso cui ho un debito che non potrò mai davvero ripagare.
Insegnanti di questo tipo esistono, e sono un inestimabile patrimonio dell'umanità che viene riconosciuto troppo poco.
Insegnanti di questo tipo esistono, e sono un inestimabile patrimonio dell'umanità che viene riconosciuto troppo poco.
Ma diciamoci la verità: come esistono questi fulgidi esempi, esistono anche gli estremi opposti, ovvero persone in grado, con le loro scarse qualità umane o professionali, di rendere irreversibilmente odiosa e incomprensibile qualsivoglia disciplina.
Per come è strutturata, spesso la scuola italiana compartimentalizza e sfianca la naturale curiosità dei ragazzi, svilendola in un'attività meccanica volta solo alla prossima interrogazione; e quando si cerca di giustificarla a giovani comprensibilmente annoiati e con la testa altrove, tutto quello che si riesce a dire è:
"se non studi poi non arriverai da nessuna parte nella vita".
Questa è la cosa peggiore che si possa dire.
Innanzitutto, perché si sminuisce lo studio ad attività rozzamente utilitaristica. Deve essere fermamente rigettato qualsiasi discorso che parta dal
presupposto che la scuola debba sfornare ragazzetti impacchettati a puntino al solo fine di accontentare un mercato del
lavoro che della loro qualità umana se ne frega. Non solo: formare un ragazzo solo per renderlo appetibile quando dovrà vendersi a un qualche padrone significa formare non un cittadino, ma
un utensile, un attrezzo con una data di scadenza, che sarà gettato via nel momento
in cui un'innovazione tecnologica o un mutamento del mercato renderanno
le sue competenze obsolete; al contrario, una persona capace della
passione e del discernimento necessari per imparare continuamente ("per
essere in grado di leggere un manuale", come dice spesso Marco Rizzo) sarà sempre in grado di ri-formarsi e di adattarsi ai cambiamenti del mondo.
In secondo luogo, perché si fomenta un sentimento che sboccia in domande ovvie e, dato il contesto, perfettamente sensate: ma a cosa mi serve? A cosa mi serviranno mai le disequazioni di secondo grado e la storia dei popoli precolombiani, nella vita, se tanto da grande voglio fare il calciatore? Ma a cosa mi serviranno mai il latino o la filosofia, se tanto poi voglio fare il programmatore? Se poi la scuola stessa vira drammaticamente verso quello scopo, ad esempio con l'alternanza scuola-lavoro, come si fa a dargli torto? E come si fa poi a stupirsi per quei "milanesi imbruttiti" di quelle famose interviste su Facebook?
Io dico di no: io dico che la conoscenza, qualunque conoscenza, è di per sé stessa nobile e degna di essere ricercata, a prescindere da qualunque altro fattore. Io dico che sapere l'aramaico antico o il funzionamento del sistema cardiocircolatorio sono cose nobili e lodevoli anche se poi di mestiere si fa il fabbro. Io dico che saper discernere il giusto tempo di cottura per una lasagna o ricordare a memoria la discografia di John Coltrane o il To Be Or Not To Be in lingua Klingon sono cose nobili e lodevoli anche se poi di mestiere si fa il neurochirurgo o l'amministratore delegato.
Specializzazione e settorializzazione sono per le macchine,
non per gli esseri umani.
Io dico che non esistono "arti alte" o "arti basse", e che qualunque fruizione di prodotti dell'intelletto umano, da Fabio Volo a Marcel Proust, dal cinema concettuale a Love Live!, è di per sé stessa positiva. Sarà la fruizione stessa a rendere sempre più esigente e raffinato il vostro gusto.
Io dico che non siete il vostro lavoro o il vostro titolo di studio o il vostro "cosa vuoi fare da grande": siete delle persone con delle capacità intellettuali enormi, di cui il lavoro è solo una delle applicazioni.
Io dico che l'infinità della meraviglia e della gioia che si possono ricavare dalla natura, dal proprio corpo, dalla storia, da ogni campo del sapere e dell'attività manuale umana, è troppo grande per poter mai, davvero, essere soddisfatti del punto che si è raggiunto. Io dico che se il nostro cervello è biologicamente programmato per
secernere un ormone quando impariamo qualcosa, e se quell'ormone ci dà
dipendenza, un motivo c'è. Come una droga inebriante che non dà effetti collaterali al di fuori di un'inestinguibile voglia di vivere.
Io dico che il sapere, la conoscenza, il piacere che ci viene dallo scoprire, dall'imparare, sono una delle più grandi gioie che ci sono concesse in questa futile valle di lacrime, in questo mondo pieno di tribolazioni e persone che non mettono la freccia in rotonda, e che perdere la pulsione verso quella gioia è uno dei più grandi mali che si possano arrecare a sé stessi.
Io dico che essere buoni cittadini, buoni esseri umani, è molto più importante che essere buoni ingranaggi della grande macchina.
Io dico che saper interpretare la realtà, in quante più forme possibile, sia il modo migliore per diventare in grado di tutelarsi dagli inganni del potere, dei falsi miti di progresso, dei delinquenti, dello status quo, degli sfruttatori, del sociale spacciato come naturale. Insomma, per prendere le decisioni più giuste per la propria felicità.
Siate curiosi. Sempre.
Nonostante la scuola. Nonostante il lavoro. Nonostante la vita.