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20 ott 2017

[Rant] Il secondo rischio del complottismo: l'anticomplottismo

Il complottismo è sempre stato uno dei grandi cancri dell'internet, quindi nessuno si sorprende se nell'era della post-verità abbia trovato ampio terreno dove attecchire e diffondersi. Ormai conosciamo i rischi del credere al primo sito altervista che giura di aver scoperto le prove che il governo brutto e cattivo vuole ucciderci tutti nel nome di una massoneria onnipresente composta da villain fra cui figurano Iago, Blofeld, Rockerduck, Charles zi Britannia, Melkor Morgoth, il cancelliere Palpatine, e ovviamente il tuo capo, sì, proprio il tuo, mica credevi che fosse semplicemente uno stronzo come tanti datori di lavoro italiani? Il movimento antivax è forse l’esempio più recente e plateale, ma possiamo anche ricordare il movimento anti-olio di palma. 

Ma io vorrei far notare anche un altro rischio, più subdolo ma non meno reale: l’anti-complottismo a priori. Ovvero, credere acriticamente a quello che viene annunciato, e reagire pavlovianamente a chiunque ponga il benché minimo dubbio sulle notizie ufficiali gridando al complottista, all'analfabeta funzionale, al populista e, ovviamente, al grillino (perché non c'è peggior idiota di chi crede che solo nello schieramento avverso stiano gli idioti).

Sì, perché c'è una bella differenza fra chi si fa domande sull'utilità e la potenziale dannosità dei vaccini e chi rimane inamovibilmente convinto che causino l’autismo nonostante le prove inoppugnabili del contrario. C'è differenza fra "ho qualche dubbio che quattro aerei dirottati possano viaggiare liberamente per così tanto tempo senza essere intercettati e che un edificio toccato da danni perimetrali e lievi incendi possa crollare in verticale dalla base" e "gli aerei erano dei missili also è colpa degli ebrei". C'è differenza fra evidenziare incongruenze e illogicità in ricostruzioni ufficiali e dire che la sparatoria è stata orchestrata dalle lobby anti-armi per attaccare il vostro prezioso secondo emendamento. C'è differenza fra pensare che ci possano essere accordi economici fra trafficanti di uomini e entità criminali italiane e credere fermamente che esista un Piano Kalergi dei Poteri Forti™ per il genocidio dei bianchi e sostituirci tutti coi nekri cacca pupù. Insomma, la differenza fra una persona dotata di raziocinio e senso critico, e Carlo Sibilia. 

Altrimenti, a furia di “dagli all’untore” di fronte al minimo paventare retroscena segreti, si finisce col fare la figura del cretino. Come quei politici che accusavano il (pur ormai indifendibile) Luigi Di Maio per le sue parole sulle ONG prima che un magistrato della Repubblica e le stesse decisioni del governo italiano dimostrassero che proprio tutti i torti non li aveva. O come quel meraviglioso commentatore facebookiano che ne accusò un altro di essere un "complottista analfabeta funzionale fascista grillino Alex Jones cacca pupù" perché aveva parlato dell'Operazione Gladio e dell'Operazione Northwoods, evidentemente non sapendo che queste non sono teorie cospirazioniste ma verità storiche dimostrate, con tanto di documenti de-secretati della FBI e candide ammissioni dalle vive voci di Andreotti e Cossiga. Il senso critico va applicato nel merito dei fatti, caso per caso, altrimenti gli anti-complottisti finiscono per dimostrarsi ignoranti e aprioristi quanto i complottisti.

Non vorrei che, nel nostro pur sacrosanto sforzo di contrastare le fake news e i creduloni depensanti del web, finisse col passare l'idea che le operazioni false flag siano un'invenzione di Napalm51 nei primi anni 2000. La strategia della tensione, con parti dei servizi segreti che aiutavano e coprivano il terrorismo nero, è successa. Il supporto CIA per fomentare e dirigere colpi di stato in paesi sudamericani o mediorientali è un fatto accertato. I poliziotti agitatori infiltrati durante il G8 di Genova (e non solo) sono un fatto accertato. Che la versione ufficiale dell'epoca dell'incidente del Golfo del Tonchino sia stata falsificata (al punto da inventare completamente l'attacco del 4 agosto) al preciso scopo di creare un casus belli contro il Vietnam è una verità storica sostenuta persino da una relazione della NSA. Non c'è motivo di pensare che oggi cose di quel tipo non esistano, o quantomeno non possano assolutamente esistere.

Del resto, io se fossi un banchiere massone illuminato col cilindro, che si arriccia i baffetti fumando un sigaro e accarezzando un persiano su una sedia in pelle umana, sapete cosa farei? Diffonderei voci sconclusionate sul mio conto. Darei più visibilità possibile a gente come Alex Jones e Paolo Barnard. I cospirazionisti che propagano teorie chiaramente folli e ridicole sarebbero I miei migliori alleati, coscientemente o meno, perché… ricordate la favola di Pierino e il lupo? Se anche mai qualcuna delle mie effettive "cospirazioni" venisse fuori, chi la noterebbe in mezzo all'orgia di siti-fuffa e improbabili giri di prostituzione minorile nascosti nello scantinato di una pizzeria? Chi ci crederebbe?

C'è molto middle ground fra il credere ad ogni belinata letta su internet, rifiutando a prescindere qualsivoglia fonte d'informazione tradizionale ("EVERYBODY IS FAKE NEWS! Except Breitbart/Tze Tze, of course"), e il credere a prescindere alle fonti d'informazione tradizionali (solo quelle che ci danno ragione, naturalmente; perché loro non hanno mai deliberatamente distorto o fatto cherry-picking con le notizie, nevvero?), rifiutare a prescindere anche solo il dubbio. Un middle ground fatto di senso critico, analisi individuale, memoria storica, valutazione specifica di prove e incongruenze. Ricordiamo sempre la favola di Pierino e il lupo, ma anche il vecchio adagio per il quale anche un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno.

4 ott 2017

[Commenti] Star Wars - Dark Forces (serie)

Star Wars: Dark Forces



Dall'epoca in cui il brand Star Wars non tappezzava ogni centimetro quadrato dell'universo conosciuto e il circle-strafing era ancora la soluzione a tutti i problemi della vita, riemerge uno sparatutto che, pur impiantandosi dei tanti "cloni" di Doom, era riuscito a portare una ventata di novità, sia nel genere che nel proprio franchise. Dark Forces è ancora oggi un piccolo gioiello, anche se un po' sporcato dagli anni: a parte alcune innovazioni tecnico-fisiche di discutibile importanza, fu il primo FPS a cercare una maggiore integrazione fra il gioco e la storia, attraverso missioni con obiettivi più elaborati, mappe più varie, personaggi con un minimo di personalità, e sequenze animate e doppiate.

La trama introduce Kyle Katarn, mercenario al soldo dell'Alleanza Ribelle e versione starwarsiana di Chuck Norris, che dopo aver rubato con successo i piani della Morte Nera (yep, non me ne frega niente di episodi VII e di Rogue One, i piani della Morte Nera li ha rubati Katarn. Perché non esiste un Ordine dei Sith, solo una lista di Sith a cui Kyle Katarn permette di vivere) si trova coinvolto nel combattere un pericoloso progetto imperiale che minaccia di spazzare via i ribelli. Anche scusando l'irrealismo del vedere un singolo mercenario sterminare senza grosse difficoltà numeri a tre cifre di soldati imperiali e mercenari (perdonabile, considerando che l'abilità di distruggere un pianeta è insignificante in confronto alla potenza di Kyle Katarn), la trama non ha granché di cui vantarsi, ma funziona nel creare un contesto e una motivazione alle azioni del giocatore, e funziona nel creare in particolare due personaggi (Kyle Katarn e Jan Ors) d'impatto.

Il vero focus ovviamente è nel gameplay frenetico e intenso alla Doom: decine di nemici sullo schermo, munizioni e salute da raccogliere e conservare, chiavi da trovare, esplorare ogni anfratto alla ricerca di provviste o porte o interruttori; e ovviamente decine e decine di stormtrooper che cadono sotto un'impietosa pioggia di blaser, quindi fuck yeah crepate fascisti bastardi. Indubbiamente ha alcuni difetti che ne tradiscono l'età: alcune mappe sono spaventosamente confusionarie; il sistema "a vite" era obsoleto già all'epoca, figuriamoci oggi; alcune delle armi, per quanto varie e divertenti, risultano quasi inutili, considerando che la maggior parte delle mappe si svolge in luoghi troppo chiusi perché usare armi esplosive non risulti controproducente, soprattutto in relazione a quanto più facile sia trovare munizioni per le altre. Nonostante ciò, il divertimento e la catarsi nelle fasi più concitate del gioco sono più che sufficienti a compensare. Non importa quella terribile mappa nel ghiaccio, o quel Boba Fett a sorpresa che mi ha costretto a ricominciare il livello perché porco cane già il livello è difficile e lunghissimo come diavolo avrei potuto immaginarmelo: ho appena steso un drago a mani nude e adesso sono nella Executor e sto macinando stormtrooper come una mietitrebbia, tu non sei mai riuscito a fare una roba del genere, Skywalker! Rimane un gioco valido sia per fan di Star Wars che per fan dello sparatutto vecchio stampo, e una piccola pietra miliare.


Star Wars: Jedi Knight - Dark Forces II


La saga del Chuck Norris della galassia lontana lontana continua in Dark Forces II - Jedi Knight, in cui il mercenario Kyle Katarn, mentre è impegnato nell'inseguimento di un droide in possesso di una mappa che apparteneva a suo padre, viene a scontrarsi con un gruppo di sette Jedi Oscuri alla ricerca della leggendaria Valle dei Jedi, imparando lui stesso le vie della Forza.

Jedi Knight viene da quell'epoca di transizione nella storia del videogioco, in cui il CD era abbastanza grande da ospitare giochi interamente in tre dimensioni, con pure abbastanza spazio avanzato per farci stare delle scene FMV live action (recitate malissimo e scritte peggio), ma in cui la grafica 3D non era abbastanza avanzata da non farti pensare che forse gli sprite 2D di Doom e i disegni di Monkey Island erano più realistici. Oltre che più dignitosi. Come gameplay, arricchisce la tipica struttura dello sparatutto classico (nove armi, protagonista solo contro tutti, esplorare e aprire porte ecc.) introducendo la possibilità di giocare in terza persona, e, soprattutto, la spada laser e i poteri della Forza. E se in Dark Forces strafare intorno a gruppi di stormtrooper falciandoli con una pioggia di blaster era divertentissimo, corrergli incontro deviando i loro colpi o rubandogli l'arma con la Forza per poi abbatterne due o tre con un solo fendente di lightsaber è, tipo, la ragione per cui è stato inventato il videogioco.

La storia è lineare e di scarsissimo valore, con personaggi vari ma superficiali e poco interessanti (esclusa la dinamica fra Kyle e Jan Ors, di cui, sia sempre chiaro a tutti, Jyn e Cassian sono solo una pallida imitazione, perché Kyle Katarn ha fatto la rotta di Kessel in 2 parsec. A piedi.), ma non è né ha mai preteso di essere il focus del gioco. I sette Dark Jedi servono solo a fornire una serie di epici duelli, e in questo senso funzionano molto bene: impegnativi e catartici. C'è anche una sorta di "karma system" ante litteram, ovvero una meccanica Lato Chiaro-Lato Oscuro: alcune azioni nel corso del gioco e la scelta di quali poteri sbloccare portano Kyle verso il Lato Chiaro o il Lato Oscuro, e il lato prevalente determina, a un certo punto del gioco, in quale di due possibili direzioni prosegue la trama, verso quindi un "finale buono" e un "finale malvagio". Se la mia memoria non mi inganna, questa è la prima apparizione di questo sistema, che diventerà una presenza stabile in molti giochi di Star Wars.

Insomma, un classicone "ingenuo" e con la sua dose fisiologica di difetti (mappe confusionarie, parecchio trial-and-error, picchi di difficoltà che sanno un po' di forzato, utilizzo dei poteri un po' macchinoso), ma indimenticabile, divertente e coinvolgente, soprattutto grazie ai duelli Jedi, all'uso della spada laser, e al fatto che Kyle Katarn è obbiettivamente un figo inarrivabile. A proposito, Kyle Katarn ha sparato prima di Han.



Star Wars Jedi Knight: Mysteries of the Sith


Uscita pochi mesi dopo il rilascio del primo, leggendario Jedi Knight, questa espansione potrebbe essere considerata un seguito vero e proprio: nonostante il gameplay sia fondamentalmente invariato, presenta dei poteri della Forza in più, un level design eccezionale, una storia canonica (almeno nell'Universo Espanso, prima della Great EU Purge della Disney), una difficoltà non indifferente, delle cutscene fatte direttamente col motore del gioco, e una durata pressoché identica a quella del titolo principale. La trama è ambientata cinque anni dopo la sconfitta di Jerec, con un Kyle Katarn ormai Maestro Jedi e ufficiale della Nuova Repubblica che ha preso un'apprendista, Mara Jade, della quale vestiremo i panni per la maggior parte del gioco. Durante una battaglia contro le forze dell'Impero Rimanente (i rimasugli dell'Impero rimasti in piedi dopo la caduta di Palpatine), Kyle scopre di un antico tempio Sith su Dromund Kaas che l'Impero sembrava cercare di tenere nascosto, e va a investigare, lasciando il campo a Mara.

Il gioco in sé ha poche differenze sostanziali dal primo Jedi Knight. Il fatto che si cominci essendo già Jedi fatti e finiti, però, accentua di molto quel problema che già in parte aveva l'ultimo terzo del titolo originale: quello di dare troppe possibili soluzioni a problemi tutto sommato semplici. Nel senso che, quando hai una lightsaber e dei poteri della Forza che ti permettono di disarmare, diventare invisibile, vedere al buio, strozzare, fulminare, curarti ecc., sinceramente, che cosa te ne fai dei blaster? A chi verrebbe in mente di tirare fuori un blaster quando ha una spada laser, se non in quelle tutto sommato rare volte in cui ci si trova ad affrontare corazzati o nemici in posizioni rialzate? La mia combo preferita (Force Pull per disarmare e Force Grip per uccidere) è efficace su tutti i nemici umanoidi, e non smette mai di essere divertente. Il calo di importanza del fattore shooter, però, è persin giustificato alla luce degli ultimi tre livelli, in cui le armi non funzionano e bisogna fare affidamento esclusivamente sui propri poteri Jedi.

Peccato, però, che quei tre livelli rappresentino anche un picco di difficoltà semplicemente irragionevole, sia dal punto di vista dell'azione che dal punto di vista dell'esplorazione e degli enigmi. Molti li considerano i livelli di maggiore qualità del gioco, mentre io invece li ho trovati insopportabili. Fra animali immuni alla Forza, quelle tigri di merda che prendono tre colpi di lightsaber e bi-shottano con balzi da distanze assurde, sezioni subacquee di puro trial-and-error (=se non ci si muore almeno tre-quattro volte, è impossibile sapere anche solo da che parte bisogna andare) e un'architettura confusionaria, c'è da passare delle ore solo sull'ultimo livello. Il fatto che il giocatore possa scegliere quali poteri sviluppare e quanto potenziarli, poi, crea delle pesanti disparità una volta arrivati in questa sezione: se non avete Force Healing e Force Absorb, lasciate perdere, ricominciate il gioco da capo, non avete nessuna possibilità di vincere; se non avete Force Jump e Force Speed abbastanza sviluppati, avrete delle difficoltà molto maggiori a muovervi; se avete messo tanti punti in Force Grip e Force Deadly Sight, vi ritroverete con una parte importante del vostro arsenale resa completamente inutile. 

Bella l'atmosfera da "Tomb Raider se Lara Croft fosse una Jedi", per carità, ma io a un certo punto sono stato costretto a usare le cheat perché la cosa stava diventando surreale.

Ho anche delle lamentele sulle due boss fight di questa zona: il primo è un boss-spugna che prende botte per mezz'ora prima di capitolare, e il secondo... beh, è molto apprezzabile il fatto che l'unico modo per batterlo sia adottare una strategia allo stesso tempo non convenzionale eppure perfettamente da Jedi, è una cosa intelligente anche a livello narrativo, ma non sono sicuro che sia stata implementata in modo sufficientemente intuitivo nel contesto di un gioco in cui le botte sono stata l'unica soluzione adottabile; nel senso che mancano indizi per spingere il giocatore verso quella decisione, anzi, mancano proprio indizi per spingere il giocatore a pensare strategie alternative, se non il semplice "lo sto menando da mezz'ora ed è ancora vivo". Sono pronto a scommettere che molti giocatori della prima ora abbiano superato questo scontro totalmente per caso, magari premendo inavvertitamente il tasto giusto al momento giusto.

Ma queste mie lamentele non vi scoraggino, perché grazie a Dio esiste GameFAQ, e Mysteries of the Sith rimane un più che degno successore del classicone che è stato Jedi Knight

Per i fan di Star Wars, poi, rappresenta una pietra miliare anche dal punto di vista del lore, in quanto è stato la prima volta in cui opere di media diversi nell'Universo Espanso si sono basate l'una sull'altra e si sono influenzate a vicenda: Mara Jade, infatti, è comparsa per la prima volta nella trilogia letteraria "L'erede dell'Impero" di Timothy Zahn, e la sua storia è data come già nota nel gioco, che così diventa una tappa ulteriore del suo sviluppo (da contrabbandiera e spia dell'Imperatore a caposaldo del Nuovo Ordine dei Jedi, e, più avanti, moglie di Luke Skywalker); similmente, gli eventi di Mysteries of the Sith verranno considerati canonici non solo nei successivi videogiochi della serie, ma anche nei libri e nei fumetti che continuano la storia della Nuova Repubblica, nei quali sia Mara Jade che Kyle Katarn continueranno ad avere un ruolo importante. Insomma, questo titolo ci ricorda l'epoca in cui autori e media diversi contribuivano a fare di Star Wars una mitologia ampia e collettiva, prima che arrivasse la Disney a cagarci sopra per sostituirle con storie largamente inferiori sotto tutti i punti di vista.

31 lug 2017

[Recensione/Essay] BioShock: oggettivismo e libertarianismo


BioShock, il gioco che ha portato l'FPS alla System Shock nell'era PS3 e ha ricordato alla generazione che anche gli shooter potevano avere storie complesse e filosofiche. Nonostante possa essere definito non tanto un “sequel spirituale” quanto un vero e proprio calco di System Shock 2 (si farebbe prima a elencare in cosa i due giochi non si somigliano), BioShock può vantare un’atmosfera steampunk originale e una trama tematicamente ricchissima. Parlerò brevemente del gioco in sé, ma vorrei concentrarmi soprattutto su quest'ultimo aspetto.

Ludicamente parlando, è solido ma, a mio avviso, non eccezionale. La caratteristica peculiare di questo FPS è data dai "plasmidi", sostanze ricombinanti che forniscono bonus passivi o abilità attive. Può essere equipaggiato solo un numero limitato di plasmidi, facendo quindi scegliere il giocatore fra molti possibili approcci alle sfide del gioco. 

Lodevolmente, Bioshock riduce la massacrante difficoltà del suo predecessore, ma finisce con l'esagerare nel senso opposto. [...] L'eccellente atmosfera quasi horror perde il suo mordente in un attimo.

In teoria, le possibilità sono davvero molte: una torretta può essere distrutta, hackerata (attraverso un minigame piuttosto tedioso), o elusa tramite esche; un nemico può essere cecchinato, preso a colpi di chiave inglese alle spalle, attirato nell’acqua e fulminato, congelato e fatto a pezzi, trasformato in bersaglio di un Big Daddy o di una torretta ecc. In pratica, però, il fatto che non ci siano limiti a quali potenziamenti si possono equipaggiare, né a quale e quanto equipaggiamento si può portare, né all’efficacia del personaggio con le varie abilità o armi, fa sì che molti plasmidi diventino di fatto inutili o ridondanti (una modifica per lanciare api? Una passiva per far durare gli allarmi qualche secondo di meno? Wow, buon Natale! Posali accanto a quel gigantesco lanciafiamme che fa lo stesso loro lavoro però meglio e in meno tempo).

Lodevolmente, BioShock riduce la massacrante difficoltà del suo predecessore (in cui la mancanza di specifici upgrade entro un certo punto significava di fatto “hai perso, ricomincia da capo”), ma finisce con l'esagerare nel senso opposto: munizioni e medkit sono abbastanza abbondanti da farcisi la doccia, le camere rigeneranti non richiedono attivazione e sono ovunque quindi non c'è nessuna punizione per la morte e nessun incentivo a essere cauti. Così facendo, l'eccellente atmosfera quasi horror perde il suo mordente in un attimo. Data anche la poca varietà di nemici, il tutto diventa molto monotono e molto tedioso molto in fretta. 

Infine, vogliamo parlare del sistema morale? Di quelli alla InFamous, con solo due finali talmente manichei da risultare estranianti? Secondo BioShock, la differenza fra l’essere un filantropo che dedica la vita agli orfanelli e un novello Adolf Hitler che si lancia alla conquista del mondo con un esercito di mutanti è la differenza fra 20/21 e 19/21.

Ma nonostante tutto questo, il gioco rimane uno dei picchi di qualità della sua generazione grazie alla sua atmosfera, allo stile visivo dei suoi ambienti, alla narrativa ambientale e, soprattutto, alla profondità filosofica e politica che viene messa in mostra dall'utopia di Rapture e dalla sua caduta. 

Una profondità forse non così efficacemente trasmessa, ma a mio avviso molto importante, in quanto rende BioShock uno dei pochi videogiochi di alto profilo che include elementi tematici così intimamente politici

Ne farò qui sotto una mia analisi, personale e SPOILEROSISSIMA.

No gods or kings. Except me, of course. I mean, look at this huge statue of me right here. Bow down and obey, parasite.

Il gioco rimane uno dei picchi di qualità della sua generazione grazie alla sua atmosfera, allo stile visivo dei suoi ambienti, alla narrativa ambientale e, soprattutto, alla profondità filosofica e politica che viene messa in mostra dall'utopia di Rapture e dalla sua caduta. 

Rispetto a System Shock 2, il focus non è su IA impazzite o infezioni aliene, ma sulla più semplice (e più interessante) pazzia e ingordigia umana: Rapture nasce come un paradiso libertariano in cui ognuno può trovare il proprio posto col solo frutto del proprio lavoro e della propria libera impresa, lontano sia dal governo americano che dal comunismo sovietico. 

Andrew Ryan, il magnate suo fondatore, definisce "parassiti" tutti coloro che "chiedono di ricevere qualcosa dagli altri": i poveri e i malati, qualunque stato o religione limiti le persone dal godere del frutto dei propri sforzi o che pensi di dirigerlo con costrizioni esterne alla loro propria ragione; addirittura, arriva a definire l'altruismo come la principale delle menzogne umane, equiparando in questo senso i bolscevichi, il New Deal roosveltiano, qualunque religione e qualunque apparato statale a forme di parassitismo che ostacolano l'individuo, che fanno sì che "il grande sia limitato dal piccolo". 

Questo dà al nostro villain un impianto filosofico e politico ben preciso: infatti, è un'incarnazione dell'oggettivismo individualista di Ayn Rand, e di conseguenza di una grossa parte del partito repubblicano statunitense[1]. Nonché, di almeno una incarnazione dell'Ordine dei Sith negli anni della Vecchia Repubblica[2], ma tralasciamo. Le iconografie in Rapture riprendono l'immagine iconica di La rivolta di Atlante, un personaggio si chiama "Atlas", il concetto della Grande Catena sembra essere un riferimento diretto alla "Mano Invisibile" di Adam Smith[3], insomma i parallelismi sono relativamente espliciti.

Rapture, però, cade presto a pezzi, schiacciata in una sorta di guerra civile fra due forze: da un lato, Frank Fontaine, un criminale che porta alla città prodotti e servizi largamente richiesti fino a raggiungere un potere e un'influenza in grado di rivaleggiare quelli di Ryan; dall'altro, Andrew Ryan stesso, che considerando Rapture la sua creazione e l'opera del suo genio arriva a voler proteggere la sua visione di essa a tutti i costi, anche a costo di rompere i propri stessi principi. 

Rapture sarebbe sopravvissuta e prosperata, forse, se Ryan avesse compiuto un ragionamento contrario all'oggettivismo, che mettesse il suo interesse personale in secondo piano rispetto all'interesse sociale: ovvero, un ragionamento altruista.

Sì, perché Ryan, in barba ai principi libertariani, chiude la città a qualunque contatto commerciale con l'esterno. Questo dà spazio a un personaggio senza scrupoli come Fontaine per arricchirsi a dismisura tramite il contrabbando di beni richiesti, permettendogli poi di “espandersi” in settori legali; alcuni “moralmente grigi”, come i plasmidi, ma altri invece apparentemente lodevoli, come orfanotrofi e servizi per i poveri. 

Se si escludono i suoi modi violenti, Fontaine è una perfetta rappresentazione del sogno di Ryan: senza alcun freno morale e con le proprie sole forze, compresa la lucidità di sfruttare biecamente le falle del sistema, si arricchisce offrendo ai compratori un prodotto che desiderano, guadagnandone così la stima. Eppure, Ryan, dopo un primo periodo in cui ne “difende” l’ascesa («Se non ti va quello che sta facendo Fontaine, beh, ti consiglio di trovare un modo di offrire un prodotto migliore»), decide di ostacolarlo con la forza dello Stato quando diventa abbastanza potente da essere una minaccia per lui. 

A parte tutto, è solo a me che sparare così tanti proiettili in una città sul fondo dell'oceano sembra poco saggio?

Nel frattempo, in Rapture quei pochi geni che riuscivano ad emergere guadagnavano un'influenza e un potere quasi feudali, mentre la maggior parte della popolazione viveva nel dolore e nella frustrazione

Per citare un audiolog, "vengono a Rapture convinti di diventare tutti capitani d'industria, ma si dimenticano che qualcuno deve ben pulire i cessi". Un'idea, questa, che costituisce la più ovvia falla di qualunque visione del mondo di stampo radicalmente liberista o anarco-capitalista: si possono convincere le persone che con l'intelletto e l'industria tutti possono diventare grandi e ricchi, ma la realtà è che senza operatori fognari, braccianti agricoli, e muratori, nessuna società può esistere. Anche in un mondo di 7 miliardi di Steve Jobs e Bill Gates, qualcuno di questi dovrà raccogliere i pomodori e pulire le strade.

These sad saps. They come to Rapture thinking they're gonna be captains of industry, but they all forget that somebody's gotta scrub the toilets. What an angle they gave me... I hand these mugs a cot and a bowl of soup, and they give me their lives.

Quindi, il problema che sembra emergerne è triplice:
1) Un'ideale di assoluto libero mercato e puro individualismo, senza regolamenti statali, welfare, o "reti di sicurezza sociali", inevitabilmente destina ampie fette della popolazione a una vita di insoddisfazione, infelicità, e povertà. Il tutto mentre i pochi che "ce l'hanno fatta", in virtù della loro importanza e influenza, sono liberi di agire anche nei modi più orribili, senza essere ostacolati né dalla morale né dallo Stato (in Rapture: il chirurgo estetico, l’artista folle, la ricercatrice tedesca, la vineria che annacqua il vino ecc.).
Questo crea inevitabilmente conflitti di classe, ergo un substrato di malcontento pronto a esplodere; oppure o a venire manipolato da chiunque, come Fontaine, offra loro una via d'uscita.

2) Fontaine agisce, indubbiamente, nell'illegalità e nella violenza, all’inizio, ma successivamente dà alla popolazione quello di cui ha bisogno: non solo beni materiali, ma cibo per gli affamati e i malati mentali, un tetto agli orfani, e ovviamente l'ADAM, una sostanza pericolosa che però prometteva di rendere più forti, più intelligenti, migliori del prossimo, di far vincere la gara verso il sogno americano rapturiano", con solo il piccolo effetto collaterale di far impazzire chi, magari disperato per l'impossibilità di migliorare la propria condizione, ne fa uso smodato. (i paragoni con la cocaina o con altre droghe eccitanti si sprecano) Creandosi, così, un ampio bacino da manipolare per prodursi un esercito.
Insomma: la Grande Catena ha creato sia una classe di disperati sia un Fontaine pronto ad approfittarne. In altre parole: ha piantato il seme della propria distruzione. Ci sarebbero stati molti modi di evitarlo: vietare l'ADAM in quanto pericoloso, un maggiore impegno di polizia e giustizia per fermare Fontaine, ecc. Ma questo avrebbe significato rompere i precetti del capitalismo laissez-faire.

3) Ryan agisce in maniera contraria all'aspetto economico dell'oggettivismo, ma in maniera perfettamente in linea con i suoi aspetti individualisti: nascondendo Rapture al mondo e agendo per contrastare Fontaine e nazionalizzare le sue aziende, agisce semplicemente nel proprio interesse, per difendere la propria posizione e il proprio potere. Del resto, è al comando perché se l'è meritato, ha tutto il diritto di pensare a sé stesso con i mezzi che è riuscito a procurarsi con le proprie forze, no? Sei forse un parassita che vuole impedirgli di godere del frutto del suo lavoro? 

Rapture sarebbe sopravvissuta
e prosperata, forse, se Ryan avesse compiuto un ragionamento contrario all'oggettivismo, che mettesse il suo interesse personale in secondo piano rispetto all'interesse sociale: ovvero, un ragionamento altruista.


Anche le scelte morali sembrano essere incentrate intorno a questa “dualità” fra altruismo e individualismo: uccido le Sorelline, per badare ai miei interessi e guadagnare un grosso vantaggio nella mia corsa contro i miei nemici (come spinge a fare Fontaine, non a caso), o le salvo, perché è giusto farlo anche se mi danneggia nel breve termine? Oppure le ignoro, lasciandole nella loro miseria, per non correre rischi e/o per non dare inizio a violenza non necessaria contro i Big Daddy (e qui si potrebbe tracciare un parallelo con il concetto di NAP o "Non-Aggression Principle" centrale nella filosofia anarco-capitalista)?

Tutto questo mi fa pensare che l'aspetto narrativo di BioShock sia, in gran parte, una critica a questo modello sociale ed etico; o in quanto fondamentalmente fallato per via dell’insostenibilità di un individualismo così estremo (senza salvaguardie etiche e istituzionali contro di esso, cosa impedisce a colossi come Fontaine e Ryan di “sconfinare”, di “truccare le carte” in proprio favore?), oppure in quanto utopistico e irrealizzabile per via della natura corruttibile dell'uomo.


[1] L’idea per la quale un malato non in grado di pagarsi le cure che chiede di, tipo, non morire sarebbe un “parassita che avrebbe dovuto lavorare di più e pensarci prima” è qualcosa che ho davvero sentito espresso da politici come Ted Cruz e Paul Ryan. A una persona razionale fa un po’ ridere e un po’ orrore, ma c’è gente che lo sostiene e viene pure votata. Da persone presumibilmente alfabetizzate, peraltro!
[2] Il che è divertente, perché la prima volta che ho letto i principi dell’anarco-capitalismo e dell’oggettivismo, me li sono immaginati esattamente così o così.
[3] Concetto, peraltro, mistico e irrazionale, quindi teoricamente dovrebbe essere rifiutato da oggettivisti e da personaggi come Ryan.

23 lug 2017

[Rant] Su Chester Bennington e il suicidio dell'artista

Quindi, Chester Bennington dei Linkin Park è morto. Ve ne sarete accorti, dall'inesorabile torrente di post sui social e sui giornali online a riguardo. E come potrebbe essere altrimenti? Per coloro che sono nati fra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, i Linkin Park sono stati una delle voci dell'adolescenza. Tutti ci siamo passati, in un modo o nell'altro, anche chi poi li ha odiati, anche chi poi è passato ad altri generi. Persino noi Straight to Pain, un gruppo death metal maledizione, abbiamo sentito il bisogno di farci un post. Perché coi loro testi e la loro musica erano una perfetta incarnazione della ribellione adolescenziale, un perfetto sfogo delle sofferenze e delle frustrazioni per le quali obbligatoriamente, proprio per contratto, passa qualunque adolescente. Ironico come oggi tutti possano vedere come i testi e il cantato quasi scream di Chester fossero molto più di un elaborato "fuck you, dad", ma una sincera espressione di sofferenze emotive profonde. 

Ma il punto è che la sua morte, per suicidio peraltro, non è solo l'ennesima morte di un artista, pianta solo dai fan: è uno shock generazionale. Il primo, per molti. È il Jim Morrison o il Kurt Cobain dei millenial: la voce che ha rappresentato così tanto per così tanti, un punto di riferimento in positivo o in negativo per un'intera generazione, non c'è più. E si è tolta la vita. Perché quando cantava "these wounds they will not heal" e "I'm my own worst enemy, I'm giving up, [...] put me out of my fucking misery" diceva maledettamente sul serio.


Lo ammetto senza vergogna: ho pianto. E mi sono sorpreso, perché il mio rapporto coi Linkin Park è stato esattamente alla rovescia: da adolescente li snobbavo. La mia ribellione si esprimeva nel cercare di essere più maturo, più adulto; nello schifare tutto ciò che fosse rap, anzi, tutto ciò che non fosse rock puro o musica ricercata. Io ero quello che ascoltava i Blind Guardian e gli Iron Maiden perché i testi parlano di libri e di storia, mica le vostre cagatine da bimbetti che sanno solo urlare; quello che ascoltava gli Aerosmith e i Kiss perché la musica moderna fa schifo, una volta sì che c'era musica vera; quello che ascoltava Guccini perché la borghesia il proletariato lotta di classe cazzo (cit. Gaber).

È stato solo tornando ai Linkin Park da adulto, da musicista, dopo un'educazione universitaria, che li ho davvero apprezzati; che ho amato la loro ecletticità, la loro sperimentazione, il loro sincretismo, i loro testi così evidentemente sentiti e sinceri. Chester mi ha ispirato "intellettualmente", spingendomi a studiare di più il rasp melodico e a esplorare in modo diverso il mio registro alto (e facendomi molta invidia, maledetti tenori che hanno sempre le canzoni più divertenti da cantare, nessuno pensa mai a noi poveri baritoni). Ci credete che secondo me Minutes to Midnight e A Thousand Suns sono due spanne sopra Hybrid Theory? Giuro! Eppure, ho pianto. 

Perché? Certo, è vero che ho del coinvolgimento emotivo "di secondo grado": la mia ragazza lo adora, Chester la ha aiutata a superare un periodo difficile della sua vita (già per questo gli devo un debito di gratitudine inqualificabile), e la reazione di lei alla notizia è stata quella naturale e immaginabile. Ma non è stato solo per il ruolo che i LP hanno assunto nella nostra coppia. Indubbiamente, se tutto questo fosse successo due anni fa non starei scrivendo questo articolo, ma non è l'unico motivo.

Quando un artista si suicida, c'è sempre, nella mia mente almeno, un elemento di shock in più. La rottura delle illusioni che ci si era costruiti su di lui; la coscienza che sotto la "persona pubblica" che si è conosciuta finora ci fosse una sofferenza esistenziale così profonda; e, ovviamente, quella che io chiamo tragedia del perché: quella terribile sensazione di non sapere il motivo di un gesto tanto estremo, quella inutile ma inevitabile tendenza ad arrovellarsi il cervello per cercare cause, spiegazioni, colpe, incongruenze, ormai inutili ipotesi su come si sarebbe potuto evitare, perché eccome se si sarebbe potuto evitare, cazzo. La vita di Chester Bennington è stata tutt'altro che una passeggiata: violentato da giovanissimo, bullizzato, finito in mezzo al divorzio dei genitori, buttatosi in alcol e droghe (per ribellione? Per attenzione? Per sfuggire al dolore? E chi lo sa?), aveva trovato uno sfogo nella musica e, successivamente, una riabilitazione. Ma evidentemente, gli equilibri che si era costruito non sono bastati, o sono crollati, se neanche un matrimonio almeno pubblicamente felice, sei figli che adorava, la fama, i soldi, gli amici, l'adorazione del pubblico e il lavoro che amava sono bastati a tirarlo fuori dagli abissi della sua mente. 

E adesso così tanti dei suoi testi assumono un altro significato, nevvero?, a rileggerli col privilegio del senno di poi.  Sembrano tutti così veri, così profetici, così sentiti. Ci si chiede, inevitabilmente, se le recenti Heavy, One More Light, Nobody Can Save Me non fossero una richiesta d'aiuto, o la sua versione della suicide note; se quando si è calato fra le prime file di quel pubblico di cui, molti metri indietro, anche io e la mia ragazza eravamo parte, il suo non fosse un addio calcolato prima di un gesto già pianificato, o al contrario la ricerca di un ultimo appiglio. Domande tanto inutili e dietrologiche quanto emotivamente inevitabili. Domande che aggiungono dolore al dolore, alimentano la tragedia del perché, e arrivano a un'ultima, devastante ironia: colui che, esprimendo sé stesso, ha ispirato così tanti ragazzi e ragazze, in molti casi salvandoli dai loro demoni, dai loro dolori, dalle loro frustrazioni, dalle loro solitudini reali o percepite che fossero, non è riuscito a salvarsi dai propri. Come un luminare della cardiologia che muore d'infarto.


Bennington non è stato il primo né (temo) sarà l'ultimo della lunga serie di artisti morti suicidi relativamente giovani. Da Vincent van Gogh a Mishima Yukio, da Virginia Woolf a Ingo Schwichtenberg, da hide degli X-Japan a Chris Cornell. Viene da chiedersi se un certo grado di dolore e di difficoltà ad affrontare certe sfide della vita non siano il prezzo da pagare per fare della grande arte, ovvero se la stessa sensibilità che crea l'artista non lo esponga maggiormente all'usura delle sofferenze piccole e grandi, ordinarie e straordinarie, della vita; o se, al contrario, la capacità di creare arte emozionante non sia la compensazione che viene data a chi soffre di quelle terribili condizioni di depressione, spleen, o come vogliamo chiamarle. Ogni volta me lo chiedo. 

Ma in questo caso, mi rendo conto che rischio di trivializzare la depressione, la quale, checché ne dicano i vari novelli Freud del webbe, è una cosa molto seria, che non riguarda solo celebrità straricche e cantanti influenti, ma milioni di persone, e che, secondo uno studio dell'OMS, potrebbe diventare la seconda principale causa di morte per malattia nei paesi occidentali entro il 2020. È una battaglia costante con un demone che ha ormai conquistato il dominio nella tua testa, che non puoi scacciare ma solo eludere; che può tornare senza preavviso, intrappolarti nel suo territorio, e lì sconfiggere tutte le forze della tua razionalità, dell'amore, delle soddisfazioni; e con una sola vittoria, far spegnere un'altra luce.

Ma, come ha brillantemente scritto mio cognato, che è ben lontano dall'essere un fan dei Linkin Park, «gli artisti hanno questo di bello, di grande: che la loro arte sopravvive. E quello che ci resta è la parte migliore di loro, quello che ci hanno lasciato è quanto di meglio avevano da offrire.» Una consolazione non da poco per tutte quelle persone che avevano fatto un grosso investimento emotivo su di lui, e che ora si ritrovano un grosso buco nei bilanci dei loro sogni, desideri, ricordi e sostegni; una consolazione che, peraltro, rientra perfettamente in parole che lo stesso Bennington scrisse nel 2007:

«When my time comes, forget the wrongs that I've done
Help me leave behind some reasons to be missed
And don't resent me, and when you're feeling empty
Keep me in your memories, leave out all the rest
Leave out all the rest»


28 giu 2017

[Recensione] Red Faction

Uscito su PS2 e poco dopo su PC (oggi su Steam e GOG, in una conversione relativamente buggosa).

Dove può andare un nostalgico vecchio comunista per vivere la fantasia di un'insurrezione dei lavoratori contro un padrone e le condizioni di lavoro inumane che impone? Non sul primo Red Faction, senz'altro.

La storia di questo gioco, appunto incentrata sulla ribellione dei lavoratori di una miniera, è poco più di un pretesto, una rozza cornice: il nostro protagonista, Parker, va a lavorare su Marte alle dipendenze della potente compagnia UAC Weyland-Yutani Black Mesa Umbrella Corp. Apple Inc. Ultor, ma le condizioni sono a dir poco da incubo: turni di lavoro massacranti, guardie fin troppo solerti col manganello, lavoratori costretti a dividersi i letti, e una misteriosa malattia che sta decimando i minatori. Il sogno erotico del capitalismo, insomma. Ma, spinti dalla leader Eos, i lavoratori si stanno organizzando nella Red Faction per preparare una rivolta, che parte prematuramente dopo un piccolo incidente. Parker ne diventa l'eroico Terminator, mentre intorno a lui gli altri compagni muoiono con una facilità imbarazzante, perché era il 2001, nella difficile fase di transizione fra gli shooter classici alla Doom o Quake e quelli "tattici" o "pseudo-realistici" alla Half-Life o Call of Duty, per cui gli NPC amichevoli erano una roba ancora un po' così. Si vede, comunque, dalla qualità terrificante dei dialoghi, da quanto Parker sia obbiettivamente una testa di cazzo, e dal fatto che i vari subplot vengano tirati fuori dal nulla e messi via alla belin di cane, che la storia non è mai stata alta nella lista delle priorità degli sviluppatori. I mutanti che vengono introdotti in un singolo combattimento e poi completamente dimenticati per tutto il resto del gioco, come se la loro presenza non fosse un plot point fondamentale, e i mercenari che compaiono dal nulla e diventano inspiegabilmente il boss finale sono quasi surreali; si finisce senza avere la minima idea di quale fosse il piano di questa compagnia, che sembra essere malvagia senza nessuna ragione sensata. Uh, e le espressioni facciali ridicole e il visibile ritardo nel lip-synching sono impagabili!

Derp.

No, chiaramente il focus è sul gameplay e, in particolare, sulle destruction physics del GeoMod. E il gameplay è effettivamente solido: le armi sono molte e creative (il rail gun!), le brevi ma divertenti sezioni sui veicoli introducono quel po' di variabilità che non fa mai male, e anche se gli scontri a fuoco in sé sono molto ripetitivi la difficoltà e la quantità di armi li rendono comunque mediamente divertenti. Ci sono due sezioni di stealth, una delle quali obbligata, ed è uno stealth fatto abbastanza male e basato sul trial-and-error ma tutto sommato passabile. Meno accettabili sono le boss fight. Soprattutto la penultima, perché si tratta proprio di un errore grossolano di presentazione: dopo una lunga cutscene in cui il boss si vanta del proprio scudo ipertecnologico che blocca i proiettili del protagonista, credo non sia stato irragionevole da parte mia (come da parte, sono sicuro, di molti altri) arrivare alla conclusione che questo fosse un modo del gioco di dirmi che per abbatterlo bisognasse trovare una qualche alternativa alle armi; così ho passato una ventina di tentativi correndo per la stanza alla vana ricerca di qualche interruttore, arma non convenzionale, macchinario o punto debole, venendo miseramente e ripetutamente ucciso da questa specie di cyborg volante di Dragon Ball Z, per poi scoprire che sparando per un po' sullo scudo quello si disattiva e il tizio torna vulnerabile. Eh no, eh. Questo non è accettabile. Questo è un livello di pigrizia (o, ancora peggio, di incompetenza sul linguaggio del medium) che è al limite della deliberata presa per il culo. Cos'era, THQ, una doppia sovversione? Mi fai pensare che serva usare il cervello per poi dirmi "Ah-ha, fregato!, invece basta fare circle-strafing come negli anni '90"?

Le armi sono molto particolari, e gli scontri rimangono impegnativi fino alla fine.

Infine, il GeoMod. Ora, io non nego che vedere i razzi e le granate che lasciano buchi nella roccia sia una figata. Non nego che reagire a una porta bloccata facendo saltare il muro sia una cosa che porco giuda chiamatemi Demolition Man, com'è che non è stato mai più fatto? Ma quando su alcune superfici funziona e su altre no in modo assolutamente arbitrario, quando metà del gioco è ambientata in corridoi lineari all'interno di edifici a prova di bomba, quando le occasioni in cui questa meccanica ha un impatto sensibile se non fondamentale nel progresso del gioco sono tipo due o tre, ecco, un po' ti viene la sensazione che questo GeoMod sia una gimmick buttata lì, tanto per dire che c'è. Ma in fondo era la prima volta che veniva usato, quindi è comprensibile la scelta di implementarlo in modo limitato ma ben fatto, e quel poco che c'è è effettivamente fatto bene.

Tuttavia nel suo complesso rimane un gioco fondamentalmente insipido. Intrattiene finché dura, ma viene presto a noia e non lascia nulla quando passa. I suoi difetti lo rendono frustrante (quando non insulso), e i suoi pregi non bastano a renderlo memorabile e degno di nota se non come un punto nella storia dello sviluppo di un certo tipo di motore fisico e di un certo tipo di shooter.




PS: Uh, e a proposito di bug. Vorrei condividere una mia esperienza, giusto perché mi piace lamentarmi.

Vedete quel sottomarino? Quel sottomarino è essenziale per proseguire. A quanto leggo, è un bug comune. Per qualche motivo legato al maggiore framerate dei PC moderni, il sottomarino invece di calare nell'acqua, esplode. Con la stessa animazione di quando esplode sott'acqua, peraltro. Alla fine ho dovuto rinunciare e usare le cheat e superare la sezione seguente a nuoto. Questo è il tipo di merda che mi indispone nei confronti di un gioco, va bene?