Nello scorso articolo ho parlato di come, pur essendo un "borderline retrogamer", io in realtà fatichi moltissimo a farmi piacere quello che era forse lo stile di gioco prevalente sulle prime console Nintendo e sugli arcade.
La mia esperienza con lo SNES Mini, invece, è stata molto migliore: entrando più propriamente nei "miei tempi" (primi anni '90) mi sono sentito molto più a casa. Quella è la generazione che ha visto Chrono Trigger, in fondo, capolavoro JRPG che ho sviscerato e amato alla follia sul Nintendo DS! (assente sulla mini-console, ma insomma, esiste hakchi2)
Dopo l'obbligatoria occhiata generale ai vari titoli proposti da questo overpriced emulator in a fancy plastic box, scoprendo non senza un pochino di vergogna che Kirby mi piace da morire, non ho potuto far a meno di notare una fondamentale differenza di mentalità fra quello che molti di questi giochi sembrano aspettarsi da me e quello che io sono abituato ad aspettarmi da loro. Mi sono concentrato su Super Mario World, in particolare, leggendaria pietra miliare del 1990 (per dire, coevo al mio primo contatto con l'arte videoludica: The Secret of Monkey Island).
Per quanto io non sia un gran fan né dei platformer in generale né tantomeno della mascotte per eccellenza di casa Nintendo, capisco perché sia considerato un classico esemplare di buon design. Le mappe rigiocabili liberamente e disposte in un mondo da sbloccare e esplorare, che finalmente dà la sensazione di star lavorando verso qualcosa di più di un semplice high score; il gameplay semplicissimo da capire ma complesso da padroneggiare, con miriadi di segreti mirati a sbloccare nuove vie e nuove scorciatoie (chissà, forse è stata una cosa ispirata dai Metroidvania?) e numerosi, divertentissimi potenziamenti (fra i quali, ovviamente, spicca Yoshi)... non c'è che dire, è un titolo straordinario, impegnativo, vario, invecchiato come un buon vino.
Ci sono alcune piccole lamentele tecniche che avrei. Ad esempio il fatto che ricaricare un punto di salvataggio faccia perdere le vite e i punti bonus accumulati. Molte sono probabilmente dovute alle limitazioni tecnologiche dell'epoca. Altre però sono più organiche, che non so se imputare al gioco in sé o al sottoscritto che non ha il mindset giusto.
Giocando a Super Mario World, ho fatto larghissimo uso dei savestate e della funzione di rewind permessa dallo SNES Mini... e sinceramente, credo che senza di esse avrei abbandonato dopo un'ora. Ancora al sesto mondo mi sembrava di non aver davvero capito come funzionava il gioco, mi sembrava tutto così... a caso: quando una cosa andava male non capivo il perché, quando una cosa andava bene non capivo il perché, quando una cosa a volte funzionava in un modo a volte in un altro non capivo il perché. Il tutto con le vite e il timer del livello, un sistema certo standard
all'epoca ma oggi giustamente superato. I livelli nelle case dei fantasmi sono ancora un mistero, per me. La maggior parte delle volte uscivo dalla sessione di gioco più nervoso di come ci ero entrato. Ho usato una guida per trovare segreti e uscite nascoste, e molte volte
ho dovuto ammettere, mestamente, che senza quell'aiuto non sarei mai riuscito a scoprirne neanché metà, se
non, appunto, rigiocando all'infinito gli stessi passaggi tentando cose a
caso.
Da più parti leggo che la filosofia di design dell'epoca era il "git gud". Forse avrei potuto (e dovuto) sforzarmi di più a studiare a dovere i movimenti, i frame, gli indizi nell''ambiente ecc. (cosa che non ho fatto anche perché l'ho giocato in un periodo particolarmente impegnato e stressante), ma... ecco, parliamone un momento.
"Git gud" è imparare le meccaniche di un gioco, padroneggiarne l'esecuzione, migliorare i propri tempi di reazione, sfruttare ogni briciolo di conoscenza del suo funzionamento e svolgimento per essere sempre massimamente efficienti. Bayonetta è "git gud". Tekken è "git gud". Fare una run col rank Big Boss in Metal Gear Solid 3 è "git gud". Per quanto mi costi ammetterlo, Dark Souls è "git gud" (non al 100%, ne avrei da dire anche lì, ma tralasciamo). Diamine, Love Live! è "git gud"!
Street Fighter II, in cui l'IA legge l'input del giocatore invece delle mosse del personaggio, non è "git gud", è fare una difficoltà letteralmente disumana perché i cabinati guadagnano con le monetine; è l'antesignano di quelle pratiche odierne giustamente tanto criticate, come le micro-transazioni pay-to-win. Super Mario World che mette l'uscita di un mondo in un tubo uguale a tutti gli altri che sono invece solo di scena, o che mette una fila di trappole con un timer tale che l'unico modo di scamparvi al primo colpo è la preveggenza, o che mette uscite segrete dentro uscite segrete dentro altre uscite segrete... tutto questo non mi sembra "git gud", è provare cose a caso finché qualcosa non funziona, è memorizzare i livelli ripetendoli decine e decine di volte come unica possibile via verso la vittoria.
Per come intendo io il concetto, un giocatore che abbia gittato gud a sufficienza (in termini di coordinazione, strategia, conoscenza delle dinamiche del gioco ecc.) dovrebbe, teoricamente, essere in grado di applicare quelle capacità per gestire ogni situazione: il senso di fairness viene dal rendersi conto che si avevano già le informazioni e i mezzi per evitare di fallire e si è fallito comunque. Insomma, se il giocatore sa leggere i segnali e sa come reagirvi, dovrebbe essergli teoricamente possibile, ad esempio, abbattere un boss al primissimo tentativo (che poi avvenga effettivamente o meno ovviamente è un altro discorso). Se invece, ad esempio, un tile perfettamente identico a tutti gli altri è in realtà una trappola mortale, non c'è gittare gud che tenga: devi morirci una volta e ritentare. Come quando a scuola invece di impegnarti per capire Hegel ti limitavi a imparare a pappagallo le frasi sul libro di testo, solo che in questo caso è l'insegnante stesso a dirti di fare così.
Sarò limitato io, ma l'idea di memorizzare e ripetere dei pattern la vedo come l'estrema antitesi del concetto di divertimento.
Quindi, ahimé, ho avuto un'esperienza profondamente diversa da quella, per così dire, "originale", o da quella da puristi. Mi rendo conto delle ragioni storiche per cui i videogiochi di quell'epoca fossero così: bisogno di guadagnare sui cabinati, bisogno di aumentare artificialmente il playtime di giochi altrimenti brevissimi, pubblico più ristretto e più omogeneo (=ragazzini maschi a malapena adolescenti con pochissimi soldi ma tantissimo tempo), medium più acerbo, elaboratori dalle capacità molto più limitate ecc. ecc. Sarebbe stupido farne loro una colpa.
Oh sta' zitto Giantdad, non mi farò dire "git gud" da una build da griefer talmente broken da essere diventata un meme. |
Street Fighter II, in cui l'IA legge l'input del giocatore invece delle mosse del personaggio, non è "git gud", è fare una difficoltà letteralmente disumana perché i cabinati guadagnano con le monetine; è l'antesignano di quelle pratiche odierne giustamente tanto criticate, come le micro-transazioni pay-to-win. Super Mario World che mette l'uscita di un mondo in un tubo uguale a tutti gli altri che sono invece solo di scena, o che mette una fila di trappole con un timer tale che l'unico modo di scamparvi al primo colpo è la preveggenza, o che mette uscite segrete dentro uscite segrete dentro altre uscite segrete... tutto questo non mi sembra "git gud", è provare cose a caso finché qualcosa non funziona, è memorizzare i livelli ripetendoli decine e decine di volte come unica possibile via verso la vittoria.
Per come intendo io il concetto, un giocatore che abbia gittato gud a sufficienza (in termini di coordinazione, strategia, conoscenza delle dinamiche del gioco ecc.) dovrebbe, teoricamente, essere in grado di applicare quelle capacità per gestire ogni situazione: il senso di fairness viene dal rendersi conto che si avevano già le informazioni e i mezzi per evitare di fallire e si è fallito comunque. Insomma, se il giocatore sa leggere i segnali e sa come reagirvi, dovrebbe essergli teoricamente possibile, ad esempio, abbattere un boss al primissimo tentativo (che poi avvenga effettivamente o meno ovviamente è un altro discorso). Se invece, ad esempio, un tile perfettamente identico a tutti gli altri è in realtà una trappola mortale, non c'è gittare gud che tenga: devi morirci una volta e ritentare. Come quando a scuola invece di impegnarti per capire Hegel ti limitavi a imparare a pappagallo le frasi sul libro di testo, solo che in questo caso è l'insegnante stesso a dirti di fare così.
Sarò limitato io, ma l'idea di memorizzare e ripetere dei pattern la vedo come l'estrema antitesi del concetto di divertimento.
Quindi, ahimé, ho avuto un'esperienza profondamente diversa da quella, per così dire, "originale", o da quella da puristi. Mi rendo conto delle ragioni storiche per cui i videogiochi di quell'epoca fossero così: bisogno di guadagnare sui cabinati, bisogno di aumentare artificialmente il playtime di giochi altrimenti brevissimi, pubblico più ristretto e più omogeneo (=ragazzini maschi a malapena adolescenti con pochissimi soldi ma tantissimo tempo), medium più acerbo, elaboratori dalle capacità molto più limitate ecc. ecc. Sarebbe stupido farne loro una colpa.
Ma per quanto Super Mario World sia certamente fra i migliori della sua generazione, e fra quelli che meglio hanno resistito al test del tempo, credo che una certa filosofia di design (di cui SMW è ben lontano dall'essere l'unico o il più significativo portatore) sia una reliquia non più accettabile, non più adatta ai gusti e alle esigenze oggettive di oggi. La nostalgia che tanti sembrano provare verso quel genere di approccio mi pare malriposta, nonostante le numerose e altrettanto insopportabili storture del gaming moderno.
Ci sono molti aspetti e molte pratiche da re-imparare dai videogiochi del passato, dai grandi pionieri del medium artistico più completo che la storia umana abbia mai conosciuto; ma ce ne sono anche molti che dovrebbero essere ricordati solo come vie da non ripetere. Il fatto che alcuni sembrino rifarsi a quelli che io considero come facenti parte dei secondi piuttosto che dei primi (looking at you, Dark Souls/Mighty No. 9) mi lascia, a essere sincero, abbastanza perplesso.
Ma non è detto che abbia ragione io. Lasciate che, la prossima volta, vi porti un esempio "positivo" di quello che intendo io quando parlo di "bei vecchi tempi".
Ma non è detto che abbia ragione io. Lasciate che, la prossima volta, vi porti un esempio "positivo" di quello che intendo io quando parlo di "bei vecchi tempi".
Molti giochi retro facevano uso di idee di game design di cui adesso ripensandoci non si può fare altro se non ridere.
RispondiEliminaNon è un caso che, quando vengono riproposti, questi giochi abbiano un sacco di strumenti - come ad esempio i save state - per facilitare la vita alle persone che non hanno tempo o voglia di sopportare meccaniche antiquate che neanche Nintendo stessa sopporta più.
Una dimostrazione pratica è il fatto che ogni loro gioco successivo, anche solo della serie di Mario, non fa altro che rendersi più accessibile e giocabile per un maggior numero di persone possibili (a parte quando ti obbligano ad usare i sensori di movimento, pensate anche alle persone disabili su), limando sempre di più il senso di frustrazione che certe scelte di design possono causare. Oppure il semplice fatto che i save state e la funzione di rewind siano stati implementati da loro stessi.
Nonostante tutto i giochi che propongono un elevato tasso di sfida esistono ancora, sono solo diventati più facoltativi. L'esempio più importante degli ultimi tempi è Celeste, guarda caso anch'esso un platformer 2D rinomato per essere parecchio difficile, ma che permette praticamente a tutti di poter raggiungere la fine grazie ad un elevato numero di opzioni di accessibilità (tra cui addirittura funzioni come invincibilità, quindi dei cheat proprio). Nonostante questo è un gioco apprezzato per l'immenso senso di sfida che propone che riesce ad essere davvero appagante, ma anche perchè rispetta le esigenze e le possibili carenze dei giocatori.
Perciò l'idea del "get gud" forzato al giocatore non credo sia la via giusta e con il passare del tempo ci stiamo fortunatamente allontanando da quella linea di pensiero. Non tutti tollerano quel tipo di stress mentale e soprattutto non tutti hanno tutto il tempo del mondo per imparare. Molti "elitisti" direbbero altrimenti e che se non stai giocando nel modo che ti viene imposto è come se non stai giocando affatto. Credo che sia un tipo di approccio insulso, nessuno dovrebbe dirti come ti devi divertire. Tornando proprio a parlare di Celeste: il gioco tratta temi come l'ansia e lo stress nella sua stessa storia, ci mancherebbe altro se obbligando il giocatore alla sfida che vuole proporre li provochi pure.
Molto interessante! Cercherò questo Celeste.
EliminaSì, secondo me ormai la via è di rendere quel grado di sfida "facoltativa", cioè permettere a chiunque di arrivare alla fine ma permettere comunque di avere sfide aggiuntive più impegnative. L'esempio più semplice è l'avere altri livelli di difficoltà, ma anche cose come obbiettivi secondari, sistemi di scoring (=il livello l'hai finito, ma con una C) ecc. ecc. Ci sono decine se non centinaia di modi possibili per essere difficili senza essere "esclusivi", come purtroppo tanti elitisti mi sembra abbiano la precisa intenzione di essere.
PS: Hey Mad, è una vita che non ci si sente, come va? :D