Pochi gruppi
musicali, quantomeno fra quelli famosi, gridano "i giapponesi sono
pazzi" quanto le Babymetal, la malsana unione del mondo idol con quello
metal. Nonostante abbiano conquistato il cuore di molti metallari, fino a
partecipare a festival rinomati a fianco di mostri sacri come Slayer,
Metallica, Rob Zombie e Judas Priest, sembrano essere ancora una di quelle
band che o si amano o si detestano, a giudicare dallo sdegnato disprezzo di
molti metallari.
Io, personalmente,
le adoro. Ho un debole per il J-Pop e per quelle scemate kawaii che il Giappone
sforna a raffica, quindi l'unione
di quel mondo con la musica che amo non poteva che funzionare su di me. Le sono pure andato a vedere dal vivo durante il mio viaggio in Giappone, al Summer Sonic di Osaka. Eppure,
ci ho messo un po' a farmele piacere: il mio primo impatto con loro è
stato di puro disgusto. Solo dopo la mia tesi di laurea sulla musica
tradizionale giapponese mi sono accorto che in questo progetto c'era qualcosa
di più di una semplice giapponesata furbuffa.
Facciamo un paio di
premesse:
1. Mi rendo conto che si tratta di un prodotto industriale,
tirato su a tavolino da una talent agency che ne sforna a decine, di
idol adolescenti il cui merito principale è essere carine mentre ballano e si
chiamano "-chan" a vicenda. Questo però è significativo solo fino a
un certo punto: non dimentichiamoci che la letteratura commerciale mirata al
grande pubblico ci ha dato Dickens, mentre quella
"alta" ci ha dato Ayn Rand.
2. Sorvolo sulle considerazioni sul livello tecnico altissimo[1] della
band, e su come le tre ragazze abbiano ampiamente dimostrato la loro bravura
e professionalità. Non perché non sia
vero (lo è, incontestabilmente), ma perché è poco
significativo: qualunque insegnante di conservatorio vi dirà che, al di fuori
della classica, alcuni dei musicisti più preparati tecnicamente e teoricamente
si trovano nell'esercito di turnisti senza nome che supportano i vari cantanterelli
del pop più biecamente sanremese. Due nomi su tutti: Luca Colombo e Lele Melotti. Vedere un DVD di Nana Mizuki significa vedere un livello di
professionalità e precisione (musicisti, ballerini, fonici, tecnici di palco, scenografi, costumisti, Nana stessa) di fronte al quale i Foo Fighters sono degli zuenotti che suonano
nel garage di casa.
Vorrei invece
concentrarmi su un altro aspetto: il sorprendente sincretismo e la ricercata
(ma ironica!) metamusicalità delle loro canzoni.
Guardiamo al loro
primo album: Babymetal. Il brano
introduttivo, Babymetal Death, gioca
sull'assonanza fra "death"
(pronunciato alla giapponese) e "desu"
(です, la
copula in forma cortese) per presentare la sovrapposizione di ciò che è
stereotipicamente metal e ciò che è stereotipicamente kawaii: le tre ragazze si
presentano in modo "carino" («Yui-metal
desu!»), ma il contesto musicale, il titolo e i cori sovrappongono quel
"desu" a "morte".
Ovviamente è uno stupido gioco di parole, ma è proprio questo il
punto: le Babymetal sono un'idea da non prendere poi troppo sul serio.
Però poi c'è Megitsune, un pezzo che sotto il monicker di un gruppo prog metal o metalcore sarebbe stato osannato da
tutti: una mirabile fusione di djent, power metal, synth techno e, soprattutto,
musica tradizionale giapponese. Quest'ultima non solo per il suono di koto
nell'intro e per la citazione di Sakura Sakura
nel breakdown, ma proprio per il groove che in più punti sembra preso di peso da
un brano per tamburi taiko, per lo
stile vocale di Suzuka che nel ritornello sembra rifarsi un po' al genere enka, e per le grida kakegoe con cui le ballerine/coriste
accentano il ritmo (quei "Sore!
Sore! Sore sore sore sore!" che ai non esperti possono sembrare buffi
o ridicoli, ma che in realtà sono un elemento tipico di generi quali il teatro noh, la musica marziale dei taiko e i canti tradizionali contadini).
Superati i brani Gimme Choco!! e Doki Doki ☆ Morning, che semplicemente danno
una strumentazione metal a composizioni idol dal
testo ricercatamente infantile e femminile, un pezzo curiosamente geniale nell'ambito
di questo discorso è Onedari Daisakusen.
In esso, le protagoniste del testo (le due ballerine/coriste) fanno
una serie di moine infantili a una figura paterna (del tipo "atashi, papa no oyome-san ni narun'da!"), ma solo come “scena” per
farsi fare regalini e farsi dare soldi, fino al violentissimo breakdown che è
un diretto "Katte! Katte! Chōdai! Chōdai!" ("Compramelo! Compramelo! Dammi! Dammi!"). A voler essere cinici, non ci potrebbe essere più esplicita
dichiarazione d'intenti del progetto, ma quelli come me ci cascano lo stesso.
Sulla stessa lunghezza
d'onda c'è "4 no uta",
anch'esso cantato dalle due ballerine, che, pur su una composizione decisamente
inferiore rispetto al resto dell'album, presenta un testo che è forse il picco
del tipo di giustapposizione umoristica cui mi sto riferendo.
La canzone gioca su due cardini: da un lato, la ripetizione del numero quattro,
che in Giappone è considerato numero sfortunato (a causa del fatto che la sua
pronuncia on’yomi sia shi, omofona
con 死 morte),
in un modo simile a come molti gruppi metal amavano giocare col numero 666;
dall'altro, la volontà di "ribaltare" la connotazione negativa del
numero, associando le sue pronuncie a parole positive ("shiawase no shi", "yorokobi no yon"; letteralmente
"quattro come felicità", è chiaro che in italiano non ha molto
senso). Certamente sono giochi di parole cheesy e bambineschi, ma è proprio
questo il punto! Hanno preso un trope tipico del metal, l'hanno adattato al
Giappone, e l'hanno ribaltato in modo kawaii.
Degni di nota sono anche Akatsuki e Ijime Dame Zettai, anche se molto più tipici e
lineari: il primo per la precisione assoluta con cui ricalca lo stile degli X
Japan (tant'è che, dal vivo, Suzuka lo annuncia con
un "Akatsuki da!" analogo allo storico "Kurenai da!" di Toshi), il secondo per l'essere un brano perfettamente power
(anzi, uno dei migliori brani power che abbia sentito negli ultimi anni) con un
testo bambinesco contro il bullismo.
Il secondo album, sebbene
superiore al primo per qualità tecnica degli interpreti e della produzione,
risulta per lo più meno interessante dal punto di vista del discorso
metamusicale. Presenta molte canzoni improntate più al dare una
"voce idol" a un certo stile "classico" che a giocare coi trope del
genere come avevano fatto Gimme Choco! o
l'incredibile potpourri musicale che è Iine!: Road of Resistence è
semplicemente un pezzo dei Dragonforce (letteralmente: composto e
registrato da Herman Li e Sam Totman), No
Rain No Rainbow è semplicemente una perfetta ballata in stile X Japan
(quelle armonie vocali! Quell'assolo deliziosamente neoclassico!), Tales of the Destinies e The One sono semplicemente brani che
avrebbero potuto uscire dalla penna di John Petrucci e Jordan
Rudess (con addirittura un accenno di poliritmia nella seconda
strofa di The One), Karate è semplicemente un pezzo di metal
djentoso con giusto qualche kakegoe
da parte delle coriste. Ci sono però
un paio di eccezioni degne di nota.
La prima è più importante è
Sis. Anger, che in un arrangiamento
perfettamente death metal presenta un testo di puro odio e violenza… ma come se
fosse scritto e cantato da una scolaretta. È tutto un susseguirsi di "kirai da!" (ti odio!), "fuzaken'janee zo!" (i colloquialismi
maschili come la assimilazione di "nai" in "nee" e la
particella enfatica "zo" lo rendono traducibile con "Non prendermi per il culo!") ecc., il tutto su una ritmica e una strumentazione
violentissime. Ed è semplicemente adorabile. Infine, ci sono Meta Taro (che ricalca lo stile e il
linguaggio delle sigle tokusatsu, in
particolare Ultraman, adattato però ad un “eroe del metal”) e From Dusk 'Til Dawn, che sembra rifarsi
ai Vocaloid in un contesto ambient e arioso.
Insomma, anche se è e
rimane chiaramente un progetto biecamente commerciale che fa leva sul culto
vagamente sessista del kawaii (ehi, solo perché me ne rendo conto non significa
che debba smettere di piacermi!), credo che presenti comunque molto di valido dal punto di vista musicale, soprattutto grazie a
questa continua mescolanza di stili e a questo giocare sui trope sia del mondo
metal che del mondo idol in maniera, appunto, metamusicale.
In conclusione, un rapido
riassunto di tutti i generi musicali che vengono toccati o le cui influenze si
possono distintamente riconoscere nei brani di questi due album: J-pop, power
metal, progressive metal, djent, death metal, reggae, gangsta rap, techno,
dubstep, power ballad in stile X Japan, kumidaiko, enka, Vocaloid. A
prescindere da tutto il resto, trovo anche solo questo singolo fatto
decisamente degno di nota e di rispetto.
[1]
Peraltro, uno dei
chitarristi è Leda Cygnus, ex bassista dei Galneryus e ex leader dei Deluhi,
mica roba da poco!