Qualche settimana fa, mi è capitato di leggere alcuni articoli riguardo l'inchiesta della Banca d'Italia sui giovani adulti che continuano a vivere a casa dei genitori, anche quelli che un lavoro ce l'hanno, il cui numero sembra decisamente sopra la media europea. In particolare, mi riferisco a questi:
TGCOM24: "Bamboccioni, ecco il nuovo identikit: hanno un lavoro e vivono al Nord"
TGCOM24: "Bamboccioni, ecco il nuovo identikit: hanno un lavoro e vivono al Nord"
Ora, prescindiamo da tutte le (scontate quanto inevitabili) considerazioni di carattere socio-economico, quali la disoccupazione, la precarietà, l'alto costo delle abitazioni, la mancanza della sicurezza lavorativa di cui godeva la generazione del boom, la perdita dei diritti tanto duramente strappati dai sessantottini eccetera: tutte cose che oggettivamente rendono difficile rendersi indipendenti, ma che sono state abbondantemente discusse. Traliasciamo anche l'ipocrisia ripugnante di una politica al costante servizio dei poteri capitalistici, che con una mano taccia questi giovani di essere bamboccioni/choosy/sfaticati, e con l'altra agisce per solidificare le posizioni di chi un lavoro ce l'ha già, per allontanare ancora di più la pensione degli anziani (e con essa il turnover generazionale), e per rendere sempre più conveniente ai padroni il lavoro precario, quando non gratuito (alternanza scuola-lavoro).
Vorrei invece vedere la cosa da un altro punto di vista, e chiedere: è davvero così sbagliato? Alla fin fine, che problema c'è?
Mi spiego meglio. L'idea che i pargoli debbano necessariamente uscire di casa a 20-25 anni e andare a vivere per conto proprio è relativamente recente nella cultura umana, e proviene più dalla cultura cittadina e/o germanico-anglosassone (in particolare quella americana, più individualista) che da quella rurale e/o mediterranea (più collettivista e pragmatica).
Non è passato che poco meno di un secolo da quando era la norma che intere famiglie allargate abitassero insieme: si pensi agli appartamenti poveri della rivoluzione industriale, o alle dozzine di romanzi che tutti noi abbiamo letto a scuola in cui il "nucleo famigliare" costituiva di padre, madre, figli, nonni, suoceri, nuore, generi, zii, nipoti e cugini (I Malavoglia, anyone?). In zone come la valle dove abito io (immaginatevi gli Appennini descritti da Guccini, ma coi cinghiali al posto dei mulini e i lisotti al pesto invece dei tortellini) non è poi così raro trovare situazioni simili ancora oggi: io stesso conosco personalmente almeno tre persone che vivono o hanno vissuto in ville o cascine sotto il cui tetto coabitavano nonni, genitori e figli; magari su piani diversi, come fossero appartamenti separati, ma comunque sotto lo stesso tetto.
Del resto, siamo pur sempre l'Italia, una nazione in cui "tengo famiglia" potrebbe essere scritto sulla bandiera (cit. Marco Travaglio): se abbiamo una cultura della famiglia così forte da dare origine a fenomeni come i clan mafiosi o il nepotismo, è così impensabile che qualcuno semplicemente voglia star vicino ai propri genitori, invece di sfruttarli fino ai 20-25 anni per poi abbandonarli proprio nell'ora del bisogno, cioè la loro vecchiaia? Non a caso, talvolta sono i genitori stessi che non vogliono lasciar allontanare i figli.
L'articolo di Repubblica, in particolare, cita come siano i figli delle famiglie più benestanti a rimandare di più l'indipendenza abitativa, e da un punto di vista freddamente razionale è sensato: se una famiglia possiede già una casa abbastanza grande da ospitare comodamente un secondo nucleo famigliare, che motivo logico avrebbe il figlio/la figlia di prendere e andarsene in un appartamentino in affitto, riducendo il proprio tenore di vita, magari avendo comunque bisogno di aiuti economici, quando potrebbero unire le forze e vivere tutti meglio (lui, loro, e il coniuge)? Se i genitori possiedono una cascina a tre piani con un fienile e un po' di terreno, per quale astrusa ragione autolesionistica il figlio dovrebbe trasferirsi a 20 anni per andare a stare in un monolocale, invece di magari aspettare i 30 e comprarsi una casa più adatta alle proprie esigenze, che sia davvero quella "definitiva"?
Mi spiego meglio. L'idea che i pargoli debbano necessariamente uscire di casa a 20-25 anni e andare a vivere per conto proprio è relativamente recente nella cultura umana, e proviene più dalla cultura cittadina e/o germanico-anglosassone (in particolare quella americana, più individualista) che da quella rurale e/o mediterranea (più collettivista e pragmatica).
Non è passato che poco meno di un secolo da quando era la norma che intere famiglie allargate abitassero insieme: si pensi agli appartamenti poveri della rivoluzione industriale, o alle dozzine di romanzi che tutti noi abbiamo letto a scuola in cui il "nucleo famigliare" costituiva di padre, madre, figli, nonni, suoceri, nuore, generi, zii, nipoti e cugini (I Malavoglia, anyone?). In zone come la valle dove abito io (immaginatevi gli Appennini descritti da Guccini, ma coi cinghiali al posto dei mulini e i lisotti al pesto invece dei tortellini) non è poi così raro trovare situazioni simili ancora oggi: io stesso conosco personalmente almeno tre persone che vivono o hanno vissuto in ville o cascine sotto il cui tetto coabitavano nonni, genitori e figli; magari su piani diversi, come fossero appartamenti separati, ma comunque sotto lo stesso tetto.
Del resto, siamo pur sempre l'Italia, una nazione in cui "tengo famiglia" potrebbe essere scritto sulla bandiera (cit. Marco Travaglio): se abbiamo una cultura della famiglia così forte da dare origine a fenomeni come i clan mafiosi o il nepotismo, è così impensabile che qualcuno semplicemente voglia star vicino ai propri genitori, invece di sfruttarli fino ai 20-25 anni per poi abbandonarli proprio nell'ora del bisogno, cioè la loro vecchiaia? Non a caso, talvolta sono i genitori stessi che non vogliono lasciar allontanare i figli.
E sticazzi? |
Per il bisogno di privacy e indipendenza, per il desiderio di essere altrove, per incompatibilità, per necessità pratiche, per inseguire i propri sogni, per sfuggire da situazioni difficili, certo, i possibili motivi possono essere migliaia, e sono tutti validi; ma si tratta appunto di desideri e bisogni, ovvero ragioni soggettive e non universalizzabili. Io potrei a 22 anni sentire il bisogno di avere uno spazio mio, qualcun altro potrebbe sentirlo già a 14, qualcun altro potrebbe sentirlo ma non abbastanza da rinunciare ad altre cose considerate più importanti, qualcun altro ancora potrebbe non sentirlo affatto.
La gamma di situazioni possibili è talmente ampia che parlare per assoluti e per universali, partendo da questi dati per lanciare invettive contro i giovani "mammoni", è semplicemente idiota. Soprattutto se queste sono lanciate
da persone che sono state assunte a tempo indeterminato dopo due anni di superiori e sono andate in pensione a cinquant'anni, contro giovani a cui viene chiesta una laurea quinquennale anche solo per fare le fotocopie nell'ambito di un contratto di apprendistato e che sentono parlare di alzare l'età pensionabile a 67 anni.
L'Italia non è l'America, perché giudicare la nostra situazione col metro americano? Oggi non è quarant'anni fa, perché giudicare la nostra situazione col metro del boom economico? Il pavanese affezionato alla propria terra non è il milanese cittadino del mondo, tant'è che anche i dati del Sole 24 Ore rilevano la nettissima differenza fra piccoli paesi e grandi città. Il figlio del proprietario di una villa non è il figlio dell'affittuario di un appartamento da 100 metri quadri. Il figlio di un genitore amorevole e malato non è il figlio di un ubriacone violento.
L'Italia non è l'America, perché giudicare la nostra situazione col metro americano? Oggi non è quarant'anni fa, perché giudicare la nostra situazione col metro del boom economico? Il pavanese affezionato alla propria terra non è il milanese cittadino del mondo, tant'è che anche i dati del Sole 24 Ore rilevano la nettissima differenza fra piccoli paesi e grandi città. Il figlio del proprietario di una villa non è il figlio dell'affittuario di un appartamento da 100 metri quadri. Il figlio di un genitore amorevole e malato non è il figlio di un ubriacone violento.
Coloro che tuonano che, a prescindere da qualunque altro fattore, lasciare casa e vivere da soli entro un certo compleanno sia l'unico e il solo modo per diventare adulti maturi in una società sana, e quindi che chi non lo fa è un mammone parassita della società fannullone o tempora o mores dove andremo a finire signora mia… ecco, forse proprio loro dovrebbero tornarci un po', dai genitori, perché mi sembra che abbiano ancora molto da crescere.